I rituali e i luoghi che non contano

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    PostMetropolis. Una serie mensile di Filippo Barbera per cheFare. La città non è finita. Ma non è neppure infinita. Cambiano i suoi confini, le sue funzioni e i rapporti che intrattiene con il policentrismo territoriale. Questo è Postmetropolis. Dove i confini creano i luoghi. La prima puntata e la seconda puntata

    PostMetropolis. Dove i confini creano i luoghi. Una serie mensile di Filippo Barbera per cheFare

    Nel suo ultimo film “The Old Oak”, il regista britannico Ken Loach racconta una storia paradigmatica. Siamo nel Nord dell’Inghilterra, in uno dei tanti “luoghi che non contano”, come li ha chiamati Andrés Rodríguez-Pose, docente di Geografia economica alla London School of Economics (Rodríguez-Pose, A. (2018). The revenge of the places that don’t matter (and what to do about it). Cambridge journal of regions, economy and society11(1), 189-209). Sono, questi, anche i territori lontani dai servizi, le conurbazioni metropolitane trasformate in dormitori, le piccole e medie città senza particolari qualità, l’Italia di mezzo e quella interna/montana, la Francia dei gilet gialli e la Rust Belt americana. Sono tutti quei luoghi lasciati ai margini dell’infrastruttura della cittadinanza e che subiscono diseguaglianze sociali, economiche e di riconoscimento. Luoghi ai margini dei progetti di infrastrutturazione del territorio, perlopiù concentrati sul potenziale innovativo della creative class nelle grandi città cool&trendy.

    In questi luoghi si può annidare il risentimento, la chiusura e il nativismo. La storia di “The Old Oak” è, appunto, paradigmatica. Un paese una volta florido anche se non ricco, con una economia industriale e una classe operaria orgogliosa, vede chiudere gli impianti produttivi, mentre le case acquistate con tanti sacrifici perdono valore, la solidarietà si sfilaccia, la povertà entra nel quotidiano, mancano i servizi, il fallimento dilaga, il futuro va solo più paura. Rimane un unico luogo di incontro, il vecchio Pub del paese, che si chiama appunto “The Old Oak”. Un giorno, senza preavviso, un gruppo di rifugiati siriani viene mandato nel paese. L’accoglienza degli abitanti, specie dei maschi bianchi ex operai ma non solo di quelli, è pessima. Nascono conflitti e dilaga il nativismo. Poveri contro poveri, la pelle come segnale di una diversità non meritevole di aiuto.

    Elisabetta Bianchi, collage

     

    Una storia tipica di molti luoghi che non contano: i voti a sostegno dei partiti che promuovono politiche migratorie restrittive sono fortemente concentrati in quei territori che hanno conosciuto storie di declino economico e dove lo spartiacque tra aree urbane e rurali, così come tra luoghi forti e deboli, è particolarmente aumentato nel tempo. Birmingham e Liverpool versus Londra e Cambridge, come anche il Galles rurale versus la sua capitale, Cardiff. Nel referendum pro o contro la Brexit, la maggior parte delle grandi città dell’area a sud-est del Paese ha votato remain (Londra, Brighton, Cambridge e Oxford). Altri grandi agglomerati urbani (Birmingham, Hull, Sheffield e Sunderland) – cioè le aree a declino industriale e quelle rurali marginali del Nord e della costa orientale – hanno optato per il leave. Nella Brexit, la più alta percentuale di voti per il leave si è registrata nel Lincolnshire, area con uno dei più bassi tassi di crescita del pil pro capite degli ultimi trent’anni. Una storia simile ce la racconta l’elezione di The Donald. Trump ha sfondato nelle aree del declino: è la Rust Belt americana tra i Monti Appalachi e la zona dei Grandi Laghi (Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin) ad aver assicurato la vittoria a Donald Trump nelle presidenziali americane del 2016. Il voto a favore di Trump è aumentato maggiormente nei luoghi che hanno subìto un declino economico e demografico di lungo periodo e presentano ampie disuguaglianze; in quelli con elevato capitale sociale ed elevata diseguaglianza;  dove si è verificato un declino economico e demografico di lungo periodo, coniugato ad un elevato capitale sociale pregresso. La Francia non fa eccezione: il sostegno a Marine Le Pen è venuto principalmente dalle città medie e piccole delle aree rurali e della Rust Belt francese (Nord e Nord-Est, Champagne-Ardenne, Franca Contea, Lorena, Nord-Passo di Calais e Piccardia).

    Le cose, però, non finiscono qui. Anche nei luoghi che non contano è possibile cambiare e, di nuovo, anche in questo caso si tratta di un episodio paradigmatico. Le cose incominciano a prendere una piega diversa quanto, con l’aiuto del proprietario del vecchio Pub e contro la volontà dei clienti più assidui, si restaurano i locali attigui – rimasti a lungo chiusi – e si incomincia a cucinare insieme: vecchi e nuovi cittadini. Un grande rituale collettivo, che genera effervescenza, identità condivisa, senso del rispetto reciproco e coesione sociale. Corpi che “danzano” insieme, a un ritmo comune, nello stesso spazio. La sfera pubblica che riprende spessore fisico, i rituali di cittadinanza che riempiono di nuovo senso una comunità svuotata di capacità di futuro. I rituali sono sequenze di interazioni focalizzate sullo stesso obiettivo, caratterizzate da compresenza fisica ed emozioni comuni. Nel corso di tali rituali, la presenza di un comune focus di attenzione in situazioni di interazione faccia-a-faccia genera un crescendo emozionale – uno stato di effervescenza, appunto – che si solidifica in valori morali condivisi, senso di appartenenza collettiva e sacralità degli oggetti assurti a simbolo del gruppo. L’effervescenza collettiva e i rituali come forma dell’interazione non implicano questo o quel particolare contenuto a valenza positiva. Possono veicolare eroismi o barbarie, sacralizzare il valore dell’inclusione come quello dell’esclusione, essere progressivi o regressivi e così via. In “The Old Oak” si capisce bene come i rituali sono progressivi e inclusivi solo se costituiti dalla “voce” degli attori marginali, più deboli, subalterni e/o con minor potere.

    Anche in questo caso la storia raccontata da Ken Loach è paradigmatica. Come mostrato dal progetto europeo “Matilde a Bussoleno (Val di Susa), la presenza e l’uso consapevole degli spazi pubblici nelle aree interne e montane da parte dei migranti e richiedenti asilo è stata una leva altrettanto importante del lavoro per promuoverne l’integrazione sociale dei nuovi abitanti. Si è quindi riscontrato anche qui l’effetto positivo del fare insieme in spazi pubblici dedicati. In questo modo, il processo di creazione dello spazio diventa un processo di costruzione di significati condivisi (cfr. M. Gilli, A. Membretti (a cura di), MATILDE – 13 Reports on Action-Research Results in Each Case Study: Deliverable 5.3, DOI: 10.5281/zenodo.6372113).  Si tratta di iniziative che, oltre a connettere “nuovi” e “vecchi” abitanti provano anche a costruire una diversa narrazione del territorio, valorizzandone gli aspetti meno noti. Come nel caso dell’associazione “LaCasaRotta” a Cherasco (CN). Che dal 2011 vede impegnato un gruppo di giovani con competenze nei più svariati ambiti: ambientale, agricolo, culturale, gastronomico, artistico, architettonico.

    L’associazione vuole percorrere nuove vie ma anche rintracciare quelle dimenticate, vuole creare nuovi luoghi di aggregazione, di vero scambio tra generazioni e culture, di occasioni di solidarietà per favorire l’inclusione e ritornare a essere insieme, comunità locale. Spazi dedicati e infrastrutture sociali possono quindi aiutare i “luoghi che non contano” a nutrire la capacità di aspirare delle persone, dove i bisogni individuali si intrecciano a concezioni della vita buona e della libertà sostanziale delle persone di perseguirla. Una potenzialità per un futuro condiviso tra vecchi e nuovi abitanti che si dispiega solo se questi spazi sono porosi, non hanno confini e sono co-costituiti dalla diversità della “voice” dei marginali.

    (Profilo X di Filippo Barbera)

    L’immagine di copertina è stata pensata appositamente per la serie PostMetropolis da Elisabetta Bianchi

    Note