Per fare rigenerazione urbana servono competenze specifiche e nuove figure manageriali

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    Questo contributo apre una serie di approfondimenti in collaborazione con il Master U-Rise dell’Università Iuav di Venezia sul rapporto tra rigenerazione urbana e innovazione sociale. Vuole discuterne gli impatti socio-spaziali, raccontare pratiche virtuose e allo stesso tempo imparare da ciò che non ha funzionato. I docenti del Master U-Rise ci accompagneranno in queste settimane con le loro analisi e riflessioni. Buona lettura.

    La Fondazione FOQUS ha avviato una collaborazione pluriennale con il Master U-Rise dello Iuav di Venezia. Il rapporto tra formazione e mondo del lavoro si basa sul presupposto della necessità del secondo di attingere continuamente alle nuove competenze che la prima alimenta. La relazione presuppone, nei settori produttivi, disponibilità espansiva, mobilità interna, possibilità occupazionali, necessità di sviluppo e innovazione, naturali dinamiche di ricambio generazionale. La rigenerazione urbana si sta costituendo come un fenomeno che trascende le singole esperienze di città e territori, per cominciare ad assumere i tratti di un settore che, pur ibrido, è in grado di garantire queste dinamiche.

    Nell’ambito della particolare complessità delle esperienze che continuiamo a definire, con termine troppo generico, rigenerazione, il tema della formazione di figure manageriali e di profili professionali specifici inizia a porsi come questione chiave di questi e dei prossimi anni, a garanzia del rafforzamento strutturale delle competenze gestionali attuali e della continuità stessa delle esperienze. La continuità delle esperienze comporta una visione di medio e lungo termine che preveda, anche con sufficiente anticipo, l’avvicendamento tra i fondatori/ispiratori e la generazione successiva.

    Stiamo entrando in una fase nuova: le politiche pubbliche iniziano a destinare risorse consistenti alle progettualità di innovazione sociale e gli enti di erogazione ripongono aspettative sempre più complesse sugli esiti e gli impatti delle progettualità generative di nuovi paradigmi di sviluppo. È sempre più evidente la necessità di una maggiore qualificazione del personale impegnato nella rigenerazione di comunità, città e territori. Alla buona volontà, generosità, improvvisazione degli inizi, si va sostituendo la necessità di figure che abbiano una formazione specialistica, da integrare e completare con l’esperienza diretta, ma non da dover iniziare ex-novo alla materia.

    Le professionalità necessarie sono numerose e diverse tra loro, ma attengono in senso lato a tre macro-aree: economia e cultura sociale, indispensabili a mantenere il difficile equilibrio tra impatto e sostenibilità economica; imprenditoriali e gestionali; tecniche sulle specifiche attività produttive (ambiente, educazione, produzione, comunicazione, …).

    Si tratta di una somma di competenze che risultano indispensabili, seppure in gradi diversi, a seconda della posizione e delle seniority, per operare con piena consapevolezza e confrontarsi con il sempre più alto grado di complessità dei temi da affrontare.

    La rigenerazione di cui stiamo parlando non è quella minuta, che agisce molecolarmente nella città, nemmeno quella che attività propriamente culturali o artistiche riverberano inevitabilmente, ma solo indirettamente, sui quartieri e le comunità a cui si propongono. Seppure anche quella svolga un ruolo, si considerano qui soprattutto i progetti di rigenerazione sistemica, che affrontano il contrasto alle povertà, all’emarginazione sociale, alle disuguaglianze; quelli direttamente rivolti alla sperimentazione di nuovi paradigmi di emancipazione, occupazione, inclusione, in quartieri, città, territori. La rigenerazione che mira a trasformare in maniera strutturale i contesti in cui si applica, a introdurre solidi fattori di contrasto alle disuguaglianze, che considera ugualmente inadeguate sia la categoria del riformismo, sia quella della rivoluzione.

    Le più strutturate esperienze europee e nazionali stanno arrivando o hanno superato il decennio di attività e, pur nella loro diversità, sono accomunate da diversi tratti, ma da uno in particolare: sono nate su iniziativa e sono state poi condotte da forti leadership personali, le cui competenze, formazione, convinzioni sono state riversate nel piano di rigenerazione, a un livello tale da dare all’intero progetto uno specifico, duraturo, molto personalizzato imprinting identitario, che fa coincidere l’identità di progetto con l’identità di leadership.

    Le più importanti esperienze di rigenerazione non-di iniziativa-pubblica (quelle che non sono state mosse direttamente dalla volontà dell’ente pubblico, ma dall’impegno, volontà e investimento di gruppi o cittadini) trovano le ragioni della propria efficacia generativa nel rapporto simbiotico che si è determinato tra progetto e promotore. In questa coincidenza tra promotore e progetto è certamente rintracciabile anche la ragione del successo sui territori: l’energia che i promotori riversano nell’azione è totalizzante e anche in virtù di questo generativa di cambiamento.

    L’innovatore promotore di un progetto porta capacità di lettura e ascolto, metodologie, approcci, competenze, interventi fino a quel momento ignoti per quel contesto, spesso letteralmente innovativi e per questo efficaci. Ma l’innovatività per definizione è di momento, è regolata dai cicli: chiede di essere assimilata e, una volta accettata e applicata, diventa ordinarietà. Nel suo successo esaurisce il suo potenziale innovativo.

    In ogni organizzazione si determina un punto in cui, così come per la curva di apprendimento, anche quella di innovazione raggiunge il suo culmine, si compie, si conclude.

    La possibilità di innovazione è indefinita? Si, se ci stiamo riferendo alla possibilità di un contesto di ricevere sollecitazioni trasformative, che ne possono modificare all’infinito la struttura, fino a trasformarla e ritrasformarla di nuovo. No, se ci stiamo riferendo alla possibilità per un innovatore di produrre indefinitamente esperienze innovative per uno stesso contesto. Per l’innovatore si determina un momento in cui si satura il rapporto tra la competenza e la quantità di esperienze per lui possibili in quel sistema.

    Da quel momento la sua azione non sarà più generativa, ma riguarderà la gestione, la manutenzione delle innovazioni prodotte. Il sistema, il contesto in cui quell’innovatore ha portato trasformazione, potrebbero invece recepire ulteriore innovazione: quella periferia, quella città, quel territorio molto probabilmente non hanno risolto tutte le proprie emergenze, non hanno visto trasformarsi tutte le proprie fragilità o ridursi fino all’accettabilità le diseguaglianze.

    In quel contesto servirebbero (serviranno) nuove competenze per procedere nel cambiamento, oltre a quelle ricevute, perché quelle che sono servite per arrivare sino a quel punto hanno esaurito la propria curva di efficacia generativa. Per disegnarne una nuova, che ascenderà e anch’essa, raggiunto l’apice, inizierà la propria stabilizzazione, serviranno nuovi innovatori, portatori di nuovi saperi, nuove culture, nuove metodologie. Prima che la linea di capacità di innovazione, da curva ascendente, diventi linea orizzontale, come quella di un encefalogramma esausto, occorre preparare il ricambio, predisporre le condizioni per l’apertura di un ciclo nuovo, capace di superare il precedente.

    La questione, dato che l’innovazione promossa da uno stesso innovatore non può essere permanente, diventa allora: fino a quando l’innovatore che ha promosso, fondato, iniziato il progetto, è in grado di confermarsi innovatore, di portare innovazione sociale e non ridurre la propria azione a mera gestione delle innovazioni oramai assimilate dal contesto?

    La risposta dipende da quale delle due centralità vogliamo garantire innanzitutto: l’innovatore (che ha voluto, promosso, realizzato il progetto) o il contesto che ha motivato l’azione dell’innovatore? Per chi scrive non vi è dubbio: il progetto di innovazione e cambiamento deve essere liberato dal fondatore e dall’innovatore, quando essi abbiano esaurito la spinta e la capacità innovativa; deve poter trovare nuovi sguardi, nuovi approcci, nuove metodologie, che rimettano in crisi un’altra volta l’ordinarietà appena raggiunta, per superarla in una diversa direzione.

    Per garantire a un progetto di mantenere la propria attualità (e giustificare la continuità) occorre che le leadership, appena esauriscano la loro capacità di guida di processo, siano disponibili a essere cambiate, rigenerate. Le leadership di forte personalità devono confermare la loro capacità di visione preparando le condizioni per il loro stesso superamento. Probabilmente potranno essere nuovamente innovative in un nuovo, diverso contesto, che necessiti di inaspettati e inediti punti di vista, strumenti di comprensione dei fenomeni, modelli di azioni generative di cambiamento. In un diverso contesto, non nel contesto dove hanno introdotto, applicato e infine esaurito il proprio potenziale innovativo.

    Anche in questa prospettiva assume un’importanza strategica il rapporto tra esperienze di innovazione sociale e formazione accademica sui temi della rigenerazione urbana o di territori. Soprattutto se assumiamo che un ricambio di leadership impegnate nel settore dell’innovazione sociale e urbana debba essere anche generazionale. Per quanto nei gruppi di lavoro che hanno affiancato le leadership possano essere cresciute competenze professionali di livello, un ricambio di leadership nel settore dell’innovazione, per essere davvero utile alla prosecuzione e allo sviluppo del progetto (che è di innovazione), deve essere un cambiamento letterale, radicale, di storie culturali, di saperi, di stili, di competenze, per non porsi in continuità alla leadership precedente. Il rinnovamento in questo settore più che in ogni altro, per poter rispettare i risultati e il lavoro svolto sino a quel momento, deve significare discontinuità rispetto a quel prima, così come era stato discontinuo rispetto al presente quell’inizio, che ora si conclude e va a rendere possibile un nuovo ciclo.

    La formazione di nuove competenze nell’ambito dei migliori master universitari, soprattutto se poi perfezionata attraverso l’esperienza diretta sul campo, può ambire a preparare una nuova generazione di leader dell’innovazione sociale, capaci di raccogliere e ricominciare verso nuove direzioni un processo di innovazione che non può ripetere i modelli tipici di ogni altro settore produttivo e per questo deve ciclicamente liberarsi dei suoi leader.

    Note