Arco della Pace. Sempione, Milano 24 aprile 2017. Bande con tamburi e cantautori italiani alle casse per dire che “Se Macao non ci fosse…” … bisognerebbe (re)inventarlo. Non bisognerebbe demolirlo, non bisognerebbe lottizzarlo, non bisognerebbe venderlo, non bisognerebbe pagarlo.
La questione è annosa, lo so. Lo sappiamo. L’implicazione sta in ciò che noi costruiamo come “comune”. E prima ancora in ciò che noi intendiamo come tale.
Mettiamola così: Macao c’è da cinque anni e ha prodotto gioia, salute mentale, divertimento, uno spazio in più dove respirare liberamente. Questi bisogni sono talmente antropologicamente dati che non è davvero il caso di doversene privare. Siamo stati pagati per questa produzione? No di certo. Siamo stati sovvenzionati? Ogni tanto le entrate andavano a contributo.
Oggi la minaccia è che Macao scompaia, che venga ingoiato silenziosamente da una società del Comune di Milano per il 99%, una cosiddetta in house (azienda pubblica) che si chiama Sogemi e che, come si vede, ha interessi suoi specifici, diversi da quelli di ciò che per inerzia chiamiamo ancora “Comune”. Sono interessi privati, tediosamente di profitto.
Ma – abbasso i vittimismi! – possiamo ancora tentare la carta del comune col Comune. Possiamo, in altre parole, ricordare al Comune che abbiamo prodotto bellezza insieme (e non ce la siamo fatta pagare), ma adesso però non è che bisogna togliere con la solita carta del profitto qualcosa che è di tutti; una ricchezza di tutti, che – noi proponiamo – al posto di essere accumulata sarà diffusa. Di questo si tratta: diffondere al posto di accentrare. È così che potremo davvero ritrovarci più ricchi.
Sogemi – “la Società per Azioni che, per conto del Comune di Milano, gestisce tutti i mercati agroalimentari all’ingrosso della Città, garantendone il funzionamento tramite l’erogazione di qualificati servizi atti a supportare le attività commerciali svolte dagli operatori” – propone l’ennesimo polo enogastronomico per impoveriti spendaccioni presi per la gola. Ma a leccarsi i baffi non saremo tutti. Sarà in primis la Sogemi S.p.A.
Il Comune non ha affatto detto No a Macao. C’è spazio per negoziare un diverso uso della palazzina Liberty di Viale Molise 68.
Ma spetta a noi tutti, cittadini e non, trovare la tattica giusta per offrire una proposta concreta che non faccia finire questo spazio nel tritacarne della speculazione edilizia. Allora, sono giunti consigli preziosissimi dall’esperienza tedesca degli ultimi vent’anni.
È nel 1990 che nasce il Mietshäuser Syndikat a Friburgo. Un’astuzia giuridica, così ben congegnata che dura ancora, permette di evitare gli sfratti. Un’idea deliziosamente ambiziosa: comprare casa collettivamente. E come si fa? Negli anni in Germania (e poi in Norvegia, in Svezia, Svizzera, Olanda…) si è affinata una tecnica che pare essere stata inizialmente concepita da un avvocato engagé, Matthias Neuling.
L’idea è questa: una forma societaria assimilabile all’italiana SrL (società a responsabilità limitata) ha la proprietà del bene, e i suoi due azionisti sono l’assemblea di abitanti e il sindacato. L’assemblea è sovrana nella gestione del luogo, ma per decisioni per così dire straordinarie, ossia di trasformazione del luogo, di diverse destinazioni d’uso etc. la scelta deve essere congiunta (assemblea + sindacato).
Gli abitanti pagano un contributo mensile (che nel caso tedesco di solito si aggira attorno ai 300 euro comprensivi di spese) per l’uso del luogo, che rimane distinto dalla proprietà, la quale rimane collettiva. Questi canoni di locazione sono dei crediti bancari a tassi simbolici.
Sì perché, di fatto, la questione sta tutta nel trovare un 40 % di capitale proprio e farsi prestare da banche che hanno vocazione particolarmente etica il 60 %. Allora, la prima percentuale dove andarla a pescare? Cioè, il problema abitativo sta proprio nel fatto che gli immobili hanno un costo proibitivo.
A mano a mano che il Mietshäuser Syndikat, dimostrando l’efficacia del proprio operato, ha ricevuto fiducia, è diventato più facile trovare quel 40 % mediante il prestito di amici e di sostenitori – oggi si potrebbe anche pensare a un crowdfunding. E’ così che questo conglomerato di progetti abitativi anche molto differenti l’uno dall’altro consta già di 123 progetti, 2.839 abitanti, investimenti per 129 milioni di euro, per sempre strappati alla speculazione immobiliare.
Chiaramente, le regole ci sono. Principalmente, i luoghi condivisi implicano, come ricorda Emanuele Braga, che
1. non si vada in rosso.
2. non se ne tragga profitto.
3. non si venda.
Gli obiettivi che legano tutti i progetti immobiliari, pur nella loro diversità, sono i punti di partenza comuni:
– Una comunità di persone localizza case vuote/disabitate: decide di abitare insieme sul lungo periodo, cerca strutture adeguate, spesso con spazi comuni per eventi pubblici, assemblee, progetti e iniziative imprenditoriali.
– Oppure, residenti di lungo periodo di una casa che non si rassegnano alle intenzioni del proprietario di vendere, progettano in modo auto-organizzato di acquisire la “loro casa”.
– Oppure, gli occupanti di un immobile destinato alla demolizione (o ad altro uso) cercano una prospettiva nonostante gli inevitabili contraccolpi emotivi derivanti dalle minacce di sfratto e negoziazioni.
Perché farlo?
– desiderio di auto-organizzazione
– necessità di alloggi a prezzi accessibili (lotta contro i meccanismi di gentrificazione)
– avere uno spazio culturale
– creare uno spazio politico
– abitazioni ecologiche
– “nuove” forme di convivenza (vivere insieme e non da soli)
– motivazione politica (mettendo in discussione e trasformando il concetto di proprietà)
– creazione di proprietà gestite dai commons
– rete di solidarietà della Mietshäuser Syndikat
Se Macao fosse immesso nel mercato immobiliare questa chance non ci sarebbe. È evidente che sui soldi si è sempre perdenti. Non ci si può battere con la Sogemi SpA perché le armi non sono pari. Ma Macao è ancora un luogo comune, per il quale ci si può battere anche con astuzia giuridica.