PostMetropolis. Una serie mensile di Filippo Barbera per cheFare. La città non è finita. Ma non è neppure infinita. Cambiano i suoi confini, le sue funzioni e i rapporti che intrattiene con il policentrismo territoriale. Questo è Postmetropolis. Dove i confini creano i luoghi.
Nelle aree interne chiudono le edicole, le scuole, le panetterie, i bar, le case di riposo, i servizi di base. Sparisce l’economia “fondamentale” dei luoghi nelle aree del margine. La retorica dei “borghi” ha lasciato indietro la centralità dei “paesi” (Barbera, F., Cersosimo, D., De Rossi, A., & l’Italia, A. R. (2022). Contro i borghi: il Belpaese che dimentica i paesi, Donzelli). Come ripartire per una azione pubblica di coesione territoriale del Paese basata su un’economia per le persone-nei-luoghi? Il costrutto di economia fondamentale può aiutarci. Nell’economia fondamentale si possono distinguere tre macro-aree di interesse. La prima, corrispondente all’economia fondamentale materiale, è costituita da un insieme di attività molto ampio che comprende la fornitura di beni e servizi di base attraverso reti di distribuzione, come acquedotti ed elettrodotti, o anche attraverso reti di filiali, come nel caso degli alimenti e dei servizi bancari, o infrastrutture di connessione, come i trasporti. La seconda macro-area viene definita provvidenziale e comprende servizi tradizionalmente indicati con il nome di servizi di welfare e politiche sociali: l’istruzione, la sanità, le attività di cura, il sostegno al reddito e la lotta alla povertà. C’è poi l’economia fondamentale trascurata, che corrisponde alla piccola distribuzione di prossimità, al commercio al dettaglio, fino all’artigianato e ai servizi alla persona a basso valore aggiunto. È, questa, una parte rilevantissima della struttura economica delle aree del margine (si veda, F. Barbera, Le piazza vuote, Laterza, 2023).
PostMetropolis. Dove i confini creano i luoghi. Una serie mensile di Filippo Barbera per cheFare
A questo ultimo proposito, le tanto criticate micro-imprese (artigianato, agricoltura famigliare, piccolo commercio) hanno certamente limiti importanti in termini di innovazione e modello di business, che possono e devono essere affrontati, ma sono anche parte dell’infrastruttura sociale dei territori. La micro-impresa è un pezzo della sociabilità dei luoghi. Enfatizzarne solo i limiti del modello organizzativo e di business – senza considerarne il ruolo sociale e di cittadinanza – è riduttivo. È, questa, la posizione di economisti come Luigi Zingales, il quale ha sostenuto che il modello d’impresa dei bar/caffetterie del nostro Paese impedisce di fare economie di scala: “Basta andare alla cassa di un bar per capire, in genere c’è il proprietario che controlla tutto personalmente, niente è computerizzato o monitorato automaticamente”. Questo è certamente vero, ma se intesi come tasselli dell’economia fondamentale dei luoghi anche i bar “inadatti a scalare” e a diventare gli Starbucks italiani generano socialità, presidio territoriale e benessere quotidiano. La controprova è l’effetto devastante che si ha quando chiude l’ultima panetteria o l’ultimo bar del paese. Anche per questa ragione, gli interventi a favore del commercio di prossimità e dell’artigianato vengono spesso inseriti nell’ambito delle azioni di rigenerazione territoriale come “beni meritori” – cioè beni meritevoli di tutela pubblica indipendentemente dalla richiesta che ne fanno i potenziali utenti – che chiedono regole place-based, come la c.d. “fiscalità di vantaggio” contro la desertificazione commerciale (cfr. https://uncem.it/contro-la-desertificazione-commerciale-uncem-lancia-mobilitazione-dei-comuni-per-fiscalita-differenziata-e-per-salvare-le-imprese-anche-con-una-web-tax-sui-colossi-e-commerce-destinata-ai-territor/). Certo, occorre calibrare queste regole e accompagnarle con processi che spingano verso l’innovazione: perché conservare a tutti i costi la “vecchia” forma imprenditoriale e organizzativa è dannoso per la collettività.
Date queste caratteristiche, l’economia fondamentale è una sfera della vita economica che mal si adatta alle logiche di massimizzazione del profitto, della “scalabilità” o della finanziarizzazione e che, piuttosto, chiama in causa principi di regolazione che assicurino la connessione fra attività economiche ed esigenze della riproduzione sociale delle persone-nei-luoghi. L’economia fondamentale, pur non essendo semplicemente l’economia del territorio, è infatti sempre un’economia nel territorio, ovvero un’economia prossimale, per definizione vicina alle persone e come tale va regolata.
L’economia fondamentale nei luoghi del margine ci obbliga a considerare diversamente anche il tema dell’innovazione, uno dei mantra della nostra epoca, quasi una condanna cui è difficile sottrarsi. Chi non innova è destinato a essere sorpassato da chi – più smart – è stato capace di individuare soluzioni e strategie migliori, vuoi perché più adatte a soddisfare le preferenze dei consumatori, vuoi perché capaci di ricombinare in modo nuovo risorse esistenti. L’innovatore, poi, è spesso rappresentato come un individuo fuori del comune, quasi sempre maschio, bianco, con il dottorato di ricerca e con un buon inglese (Diversi ma non troppo: studiare gli innovatori in laboratorio, Romanò, Sara; Parisi, Tania; Barbera, Filippo; Barrera, Davide; Bocca, Giulia in “Studi organizzativi : XXIII, 2, 2021, pp. 38-66). È cosmopolita, ha legami internazionali e snoda la sua azione a livello dei contesti urbani, con particolare riferimento alle grandi città e ai quartieri “creativi”. Vive in città, meglio in quei quartieri legati alla finanza, al web e all’alta tecnologia. In questo quadro, l’innovazione è riservata a pochi “eccellenti”. Il processo di innovazione, nell’immaginario e nella narrazione associata, è poi sinonimo di velocità: innovare con lentezza è una contraddizione in termini. Eppure, se pensiamo alla biografia delle innovazioni considerando il tempo necessario per generarle, ci accorgiamo subito che l’equazione innovazione-velocità è fuorviante. Anche nel mondo tecnologico e in quello scientifico, le innovazioni richiedono tempi lunghi, grandi investimenti di risorse e di conoscenza, adattabilità ai fallimenti, pluralità di visioni e di interessi che possono non essere convergenti, protocolli di sperimentazione e modelli di misurazione degli effetti da calibrare nel tempo. L’innovazione è potenzialmente diffusa tra persone e luoghi, centrali e marginali, anche se la si associa all’eccellenza di pochi eletti che vivono e lavorano in luoghi topici. Dare voce all’innovazione diffusa è una delle priorità che l’economia fondamentale a misura di luogo ci induce a considerare.
(Profilo X di Filippo Barbera)
Immagine di copertina è stata pensata appositamente per la serie PostMetropolis da Elisabetta Bianchi, un collage di vecchie cartoline e piccole guide delle città ritrovate nei mercatini.