Giovedì 19 settembre 2024
Intersezionalità sociospaziale per le politiche culturali
 
La quantità di pubblicazioni e progetti che studiano la marginalità è in costante crescita, come nota Bertram Niessen di cheFare, agenzia per la trasformazione culturale. Nel suo articolo per AES #15, Niessen analizza il tema dei margini a livello sociale, filosofico e politico nell'attualità, risalendo alle origini del concetto nel pensiero ottocentesco. 

 

Tre tipi di margine nella cultura italiana oggi

La quantità di pubblicazioni, progetti, public program e iniziative che studiano, osservano, decantano il margine e la marginalità è in costante crescita. I motivi sono diversi.

Da un lato, la capacità di presa di voce e di influenza sulle agende comunicative e politiche di una serie di gruppi sociali storicamente marginalizzati è in costante crescita in molti paesi occidentali: le istanze femminili, LGBTQI+, delle persone non bianche e dei diversamente abili stanno diventando sempre più visibili, di pari passo con la messa in discussione dei privilegi storicamente sedimentati di chi si trova “al centro”. E per quanto sia evidente il tentativo costante di bloccare la presa di spazio di questi punti di vista, è anche evidente che la domanda di produzione, distribuzione e consumo di forme di cultura diverse da quelle tradizionali – che in questo caso vuol dire pensate da persone bianche, ricche e eterosessuali – è in costante crescita. Sono i margini sociali di cui parla bell hooks dalla prospettiva di una donna nera nata in una numerosa famiglia operaia del Sud segregazionista degli Stati Uniti: luoghi di possibilità radicale dove costruire alleanze e resistenze impreviste tra chi si trova escluso, per un motivo o per una molteplicità di motivi, dai privilegi riservati a chi sta al centro.

Da un altro punto di vista, si parla molto di margini quando ci si riferisce a istanze di giustizia urbana: i margini sono allora quelli delle periferie, identificate genericamente come luoghi lontani dal centro delle città nei quali si condensano e si moltiplicano le forme di povertà e di disagio. Ovviamente non tutte le periferie spaziali sono marginali dal punto di vista sociale. Anzi, in molti casi ai confini delle nostre città sono stati costruiti quartieri residenziali dove il problema principale è quello dell’eccesso di normalità, mentre in molte città medie i centri storici sono stati desertificati dalle politiche di turistificazione e si ritrovano a soffrire molto più delle periferie. Nonostante la necessità di una costante sintonizzazione situata (perché la marginalità in un’ottica di giustizia urbana non è data dallo stare più o meno vicini alla piazza centrale) è chiaro che la questione dei margini urbani è sempre più importante. È uno sguardo che si ibrida con molte altre riflessioni contemporanee sul diritto alla città: dalle questioni sull’abitare a quelle sulla città dei 15 minuti; da quelle sulla cultura di prossimità a quelle sulla mobilità sostenibile.

C’è poi una terza lettura dei margini che è caratteristica di quei paesi dell’occidente segnati da una contrapposizione tra aree fortemente urbanizzate e aree altamente spopolate, come la Spagna (dove si parla di España vaciada, Spagna svuotata) e l’Italia (dove si usa la definizione di Aree Interne). In questi paesi, porzioni significative del territorio sono afflitte da una distanza rilevante dai centri di offerta di servizi essenziali come istruzione, salute, mobilità e cultura. Sono prevalentemente aree montuose e collinari e caratterizzate da un basso livello di densità abitativa, in cui nella maggior parte dei casi la traiettoria demografica porta verso la contrazione e l’invecchiamento degli abitanti, con intuibili corollari di criticità sui piani economici, sociali, culturali e – in alcuni casi – ambientali. In questi casi, parlare di margini vuol dire adottare soprattutto una prospettiva di giustizia spaziale che vuole riconoscere agli abitanti di questi luoghi gli stessi diritti di chi vive nelle aree urbane.

 

Immagine di copertina di Jasper su Unsplash
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