Una rete per l’economia consapevole

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    Cerco di trovare una posizione compatibile con lo stato di forma delle mie membra, anchilosate da altre abitudini, sul parquet di una piccola sala di meditazione. C’è una specie di primo giro di presentazione e si sente distintamente scricchiolare l’inglese colloquiale dei non madrelingua. Ogni tanto la complessità di uno stato d’animo sembra cogliere di sorpresa per primo chi parla. Di colpo, il globish affinato sul campo tra riunioni di lavoro, corrispondenza commerciale, videoconferenze con fusi orari diametrali, e condito qua e là degli accenti lirici di un testo di canzone o delle impennate gergali di qualche serie televisiva, suona diverso, esotico. Mi guardo intorno. Nel cerchio di condivisione – saremo una trentina in tutto – ci sono persone di tutte le età e di tutti i continenti.

    Osservo l’espressione della grande statua bianca del Buddha che a sua volta ci guarda. Poi torno ad ascoltare meglio che posso. C’è chi ha una pratica spirituale di vari decenni e chi è arrivato qui più o meno per caso. Chi si definisce buddhista e chi no. Uno startupper ventenne di Taiwan fa girare un foglio per prendere le mail di tutti ed è già pronto a stilare un programma di iniziative per i prossimi giorni, anche il follow up per i mesi a venire. Un dirigente d’impresa si dice entusiasta di come la pratica della mindfulness rende i suoi impiegati “più felici”.

    Un altro, un sudamericano, confessa le sue difficoltà nel conciliare il lavoro da imprenditore con il suo percorso spirituale. Ci racconta che intanto per quest’anno ha scelto di non dare obiettivi di produzione ai suoi dipendenti, e che questo ha fatto stare tutti meglio, tanto che inaspettatamente sono migliorati anche i conti della ditta. Un francese a occhio e croce mio coetaneo dice che per lui l’incontro tra spiritualità e lavoro sta nella ricerca della “retta sussistenza”, nel mantenere viva la consapevolezza di come funzionano i rapporti economici in cui siamo immersi, e nel cercare di agire, come singoli e come comunità, in modo da non essere causa di sofferenza per sé e per gli altri. Per un attimo mi sembra di ascoltare un’altra versione di me. Sorrido. Un broker statunitense sulla cinquantina parla di come il burn out lo ha spezzato, e di come poi ha cominciato a trasformarsi e a guarire. Ascolto.

    È a margine di questo incontro di condivisione su “mindfulness ed economia” che incontro Kai Romhardt, insegnante laico di Dharma nella tradizione del “buddismo impegnato” del maestro zen vietnamita Thich Nhat Hanh. Kai è il fondatore e l’animatore del Netzwerk Achtsame Wirtschaft, ovvero la Rete per l’Economia Consapevole che, attiva da più di dieci anni, conta ormai almeno un gruppo di meditazione in ognuna delle principali città tedesche. «Quando, nel 2004, abbiamo fondato la Rete per l’Economia Consapevole», racconta, «cercavamo un sostegno reciproco nella nostra pratica di meditazione, ma anche nel nostro lavoro e nelle nostre professioni.

    Ci rendevamo conto che c’era una separazione tra la vita professionale e la pratica spirituale, e volevamo trovare il modo per sanarla. Quel che abbiamo fatto allora è stato applicare le tecniche della mindfulness al lavoro quotidiano, ma anche ai nostri comportamenti di consumatori e in generale a ogni aspetto della vita. Abbiamo anche iniziato a organizzare ritiri e a formare gruppi locali di pratica spirituale, o gruppi di condivisione che si concentrassero su argomenti specifici, come l’etica negli affari. A volte con un approccio buddista, altre volte nel senso della mindfulness applicata all’etica in economia».

    Nel primo pomeriggio, quando, incrociando Kai alla Casa del tè, gli avevo domandato se l’orario del nostro incontro fosse confermato, mi ha risposto ridendo: «sono tedesco, certo che è confermato!». Gli chiedo lumi su cosa a suo avviso abbia portato uomini d’affari e imprenditori a sottrarre tempo ad agende fitte di impegni per riunioni piuttosto distanti dalle consuetudini del mestiere, incontri che vanno antieconomicamente per le lunghe, e dove le cose finiscono sempre per scendere molto sul personale. «In generale sono persone che stavano già cercando soluzioni in questa direzione. Allora si tratta di chiedere loro di riflettere sul proprio lavoro e sulla propria pratica spirituale, e su come intendono investire le proprie energie vitali, con quale scopo.

    Inizialmente, le motivazioni di chi si accosta a questa pratica possono essere le più diverse. Sono motivazioni “normali” come per esempio il desiderio di avere successo nella vita. Ma il passo successivo consiste proprio nel chiedersi: che cos’è per me il successo? Il messaggio del Buddha è di non correre dietro alla fama, ai soldi, al potere, al sesso o ai piaceri dei sensi. Ma l’esperienza della realtà che abbiamo in questo settore è proprio questa. L’idea predominante nel mondo degli affari è proprio che la felicità consista in cose del genere. Ha radici culturali molto profonde ed è amplificata e diffusa dai media e dalla pubblicità».

    Sento che le parole di Kai entrano in risonanza con alcuni dei miei pregiudizi più consolidati e punti di vista più strutturati. Sappiamo bene tutti e due come nel mondo dell’impresa, della finanza, degli affari, la pratica della mindfulness sia diventata una moda, l’ennesimo programma di sviluppo personale per essere più efficienti e produttivi, più vincenti, per spostare più in là l’asticella dell’invivibile. L’apoteosi dell’approccio che il Lama tibetano Chögyam Trungpa e il trappista Thomas Merton concordarono di chiamare “materialismo spirituale”. Ho dubbi, resistenze. Ma il racconto della sua esperienza mette le cose sotto un’altra luce.

    Il punto – mi sembra di capire – è che continui a vedere l’ingiustizia e a lavorare per sanarla, ma smetti l’abito dell’attivista arrabbiato. L’azione continua, la rabbia no. Non c’è tempo di condividere queste riflessioni con Kai ma, come a cercare una conferma, gli chiedo se e in che modo a suo avviso la pratica della sua Rete può contribuire a una reale trasformazione della società.

    «Il primo passo», mi spiega sorridendo, «è sempre la pratica individuale, e quando si tratta di economia e affari questo riguarda il proprio lavoro. Quindi, come sto lavorando? In che stato mentale mi trovo mentre lavoro? Sono sereno e in pace? Sono consapevole di tutto questo? Per esempio, quando partecipo a una riunione, i miei pensieri e le emozioni che trasmetto si traducono in azioni. La pratica consiste allora nell’assumersene la responsabilità. Impariamo a prenderci la responsabilità dei nostri pensieri, dei nostri giudizi, a  essere consapevoli di come questi giudizi, questi pensieri negativi, la rabbia, l’insofferenza, le emozioni non salutari possono davvero avvelenare l’atmosfera in un gruppo di lavoro. Allora, il miglioramento che possiamo apportare alla situazione parte sempre da noi stessi, e dipende dall’impegno personale, fin dove siamo disposti a spingerci. Le opzioni possibili sono davvero molte. Per esempio, puoi rimanere nel posto in cui lavori e provare a cambiarlo dall’interno. E il cambiamento più radicale avviene quando riesci a trasformare te stesso, quando sei una persona più serena, lucida, paziente, concentrata, consapevole, gioiosa.

    La consapevolezza ha un effetto molto forte, perché entrando in un contatto profondo con te stesso riesci a connetterti con gli altri. Allora ti senti meno solo, meno irritato dagli altri, più vicino, e inizi a vedere le cose meno da una prospettiva personale e limitata e più da un punto di vista collettivo. E naturalmente un’altra possibilità è quella di fondare una nuova impresa basata su questi valori, con persone che condividono una visione altruistica. Può essere un’impresa di consulting, che offre questa visione come un servizio, per aiutare altre imprese a sviluppare modalità operative e prodotti benefici. Ora, in tutte queste azioni, cerchiamo di conformarci al principio del non nuocere. Certo, non in senso assoluto. Le nostre azioni sono sempre in qualche modo nocive, non si tratta di voler diventare perfetti, dei santi che non sbagliano mai. Ma di sviluppare un atteggiamento diverso rispetto alle azioni anche piccole che compiamo ogni giorno. Assumercene la responsabilità e sorridere. Sorridere è molto importante, è un pilastro della nostra pratica. Fa bene, ed è quel che ti connette davvero al mondo».

    La Rete per l’Economia Consapevole basa la sua pratica su sei “Impegni di consapevolezza”, di impostazione non confessionale e laica.

    Ne proponiamo qui per la prima volta una traduzione italiana.

    Primo Impegno: consolidare la pratica personale. Nella mia pratica personale di meditazione e di consapevolezza, mi impegno a: riservare  alla pratica spirituale tempo ed energie sufficienti, sia nella vita quotidiana, sia partecipando a ritiri e giornate di pratica; mantenere viva la consapevolezza nell’arco della giornata, in particolare nelle situazioni difficili; trovare un sostegno affidabile nei compagni di pratica e negli insegnanti, entrando a far parte di una comunità di pratica o di un Sangha; aprire il cuore coltivando compassione, gentilezza amorevole, gioia simpatetica e non discriminazione. Mi soffermerò regolarmente a meditare e praticherò cercando di: entrare in contatto con le mie difficoltà, le mie ferite e la mia sofferenza, comprenderle e guarirle; riconsiderare i miei criteri personali di successo e lasciar andare gradualmente ogni standard esteriore di efficacia o riuscita; liberarmi dall’idea che ricchezza, influenza, popolarità e piaceri conducono a una felicità duratura; essere gentile e paziente con me stesso e sorridere amorevolmente alle mie imperfezioni.

    Secondo Impegno: consapevolezza di pensiero e azione in economia. Nei rapporti economici e nelle relazioni d’affari, mi impegno a: seguire i princìpi del non nuocere e della non violenza; coltivare e diffondere la vera felicità, mitigando e alleviando la mia sofferenza e  al contempo quella degli altri; mettere al primo posto il senso rispetto al guadagno, orientando investimenti, creatività e produttività su prodotti e servizi realmente utili; elaborare e sperimentare alternative positive al pensiero e alle pratiche dominanti in economia. Mi soffermerò regolarmente a meditare e praticare cercando di: non rifugiarmi nei consumi, nella ricchezza, nel potere o nel sesso; vedere cosa c’è dietro princìpi economici dominanti come crescita, successo, efficacia, profitto e competizione, liberandomi dai loro aspetti controproducenti e orientandomi nel mio quotidiano verso alternative salutari; lasciar andare ogni partito preso, ideologia o “verità” e non trasformare nulla – incluse la pratica e la visione buddista – in un dogma; riconoscere la differenza tra frugalità e avarizia, generosità e stravaganza, come anche tra soddisfazione e compiacimento.

    Terzo impegno: consapevolezza del lavoro. Sul lavoro, mi impegno a: scegliere un’occupazione che sia significativa per me e abbia un impatto positivo sul mondo; ascoltare profondamente e comprendere gli altri; riconoscere i miei limiti e trovare un giusto equilibrio tra lavoro e non lavoro; vedere i miei colleghi, dipendenti, dirigenti, clienti e fornitori per se stessi e non come mezzi in vista di un fine; coltivare princìpi di consapevolezza sul lavoro come mitigare gli impulsi, avere coscienza dei passaggi, guardare regolarmente alla propria interiorità, evitare il multitasking e offrirsi momenti di svago. Mi soffermerò regolarmente a meditare e praticare cercando di: non fare confronti con gli altri e lasciare andare i complessi di superiorità, di inferiorità e di uguaglianza; concentrarmi sull’interconnessione e sull’“insiemità” invece di perdermi nella competizione o farmi cogliere da propositi bellicosi; disinnescare stati mentali controproducenti come rabbia, invidia o insoddisfazione; sviluppare gentilezza amorevole e compassione per me stesso e per gli altri.

    Quarto impegno: consapevolezza nei consumi. Negli acquisti e nei consumi, mi impegno a: consumare ciò che nutre sia la mente che il corpo; sapere che cosa compro, tenendo conto dell’intera filiera di un prodotto, al fine di scegliere con accortezza; avere la misura di quel che è sufficiente, moderando gli impulsi e scegliendo a ragion veduta tra i miei desideri, consapevole che spesso al crescere delle esigenze aumenta anche l’insoddisfazione; apprezzare le condizioni che già ora rendono possibile la felicità della mia vita e celebrare la pienezza e la ricchezza di cui già dispongo. Mi soffermerò regolarmente a meditare e praticare cercando di: proteggere la mente e i sensi dalla pubblicità e dalla manipolazione professionale; nelle situazioni difficili, ricordare a me stesso di tornare al respiro e alla pratica, senza cercare rifugio in alcolici, farmaci o altri intossicanti; prendermi cura delle emozioni difficili; osservare gli impulsi interni ed esterni e averne piena contezza, rallentando la tendenza a seguirli immediatamente e riducendo gradualmente la mia reattività.

    Quinto impegno: consapevolezza nella gestione delle finanze e delle risorse. Nel maneggiare denaro e risorse, mi impegno a: mantenere la mia libertà finanziaria non vivendo al di sopra dei miei mezzi ed evitando di contrarre debiti non necessari; rinforzare la mia generosità interiore ed esteriore e imparare a donare senza un secondo fine e a ricevere senza vergogna; sperimentare e approfondire la gioia del condividere senza aspettative; vedere il denaro come un’energia che ha il potere di sortire effetti fasti o nefasti, consapevole che ogni volta che spendo un dollaro, una sterlina, un euro, un franco o una corona è come se dessi il mio voto. Mi soffermerò regolarmente a meditare e praticherò cercando di: investire in imprese di cui apprezzo prodotti, scopi, metodi e condizioni lavorative; astenermi da speculazioni e scommesse in borsa; lasciare andare la redditività degli investimenti e il guadagno finanziario come criteri dominanti nella mia gestione del denaro; riconoscere le gioie che derivano dalla libera scelta di una vita semplice.

    Sesto impegno: consapevolezza nell’azione di gruppo e nelle organizzazioni. Nel mio lavoro in o per gruppi, organizzazioni e società, mi impegno a: scegliere – e creare – ambienti di lavoro salubri; unirmi a persone di cui condivido lo stile di vita per esplorare e sperimentare forme consapevoli di comunità; cercare alternative abili piuttosto che ricadere in quel che ha l’apparenza rassicurante della normalità; evitare manipolazioni e doppiezze e non trarre profitto dalle debolezze degli altri; fare attenzione ai lati positivi delle persone più che a quelli negativi. Mi soffermerò regolarmente a meditare e praticherò cercando di: non indottrinare, ingannare o sfruttare gli altri in nessun modo; osservare chi agisce in modo distruttivo con gli occhi della compassione per vedere la sofferenza che costituisce la nostra comune condizione umana; seguire il percorso individuale e collettivo di consapevolezza con fiducia, fermezza e umiltà; guardare in profondità nel mio ambiente e osservarlo con onestà, ricordando di mantenere leggerezza e senso dell’umorismo a sostegno della mia consapevolezza; condividere la mia esperienza personale di pratica, consapevole che la condivisione più efficace consiste nell’incarnare in sé consapevolezza e trasformazione.

    Note