Che fine hanno fatto le smart city?

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    Una domanda piuttosto importante, dato che qualche anno fa non si parlava d’altro. La smart city doveva essere il paradigma che avrebbe condotto la vita nelle città (che rappresentano la principale forma aggregativa per l’umanità) verso condizioni migliori: minori sprechi energetici, maggiore attenzione all’ambiente, migliori condizioni culturali, maggiore welfare e più engagement della cittadinanza.

    Nel 2017, il rapporto Cities in Motion ha stilato una classifica delle città più interessanti secondo il fenomeno della smart city, che tiene in considerazione 10 indicatori principali. Come si sono posizionate le città italiane?

    La risposta, probabilmente, è scontata: non molto bene.

    Ovviamente, nessuna delle nostre città è rientrata nella top-ten, che elenca, in ordine, New York, Londra, Parigi, Boston, San Francisco, Washington, Seul, Tokio, Berlino ed Amsterdam. Per trovare la prima italiana, bisogna scendere di qualche posizione, e con maggior precisione la 38° (Milano), seguita da Roma (43°), Firenze (49°), Torino (61°), con Napoli (93°) che chiude la presenza dello stivale.

    Oltre ad essere utile per ricordare a molti italiani che il Bel Paese non è così centrale negli equilibri mondiali, questa classifica può essere utilizzata anche per approfondire un po’ le differenze domestiche. In primo luogo, è da notare quante città siano assenti dal radar.

    In secondo luogo, è interessante valutare quali siano come e quali le differenze possano essere più importanti tra le nostre città. Più nel dettaglio, le dimensioni analizzate dal rapporto sono Economia, Capitale Umano, Coesione Sociale, Ambiente, Management Pubblico, Governance, Pianificazione Urbana (Urban Planning), Connessione Internazionale, Tecnologia, Mobilità e Trasporti.

    La lettura della tabella permette di individuare quali siano le dimensioni in cui meglio “performano” e in quali le nostre città potrebbero notevolmente migliorare. Se Milano spicca per le dimensioni economiche, il capitale umano e la mobilità, Firenze ha invece il primato nostrano per Coesione Sociale e Governance, mentre a Torino spetta il podio per l’Ambiente e la Pianificazione Urbana. Peggio di tutte Napoli, che segue le altre in ogni dimensione venga esaminata, soprattutto per quanto riguarda il capitale umano, il management pubblico e le connessioni internazionali. In generale, la dimensione in cui le nostre città sono meno attrattive è quella definita come “management pubblico”, formata 6 indicatori che misurano nello specifico: la pressione fiscale sulle imprese, Riserve (?) e Riserve (Per capita), numero di ambasciate presenti nel territorio urbano, gli utenti di Twitter in posizioni prominenti e imposte sulla vendita. Per questa dimensione, il primato va a Ginevra – Svizzera, seguita da Washington D.C. e Baltimora.

    Ci sono altre valutazioni che sicuramente colpiscono: la Coesione Sociale di Roma, ad esempio, la più bassa tra quelle italiane, e la valutazione in merito al Management Pubblico di Torino, surclassata dai risultati attribuiti alla città di Napoli.
    Certo, questo report avrà sicuramente dei margini di discrezionalità, e gli indicatori (si rimanda alla metodologia dello stesso report per approfondire la questione) possono essere giudicati più o meno indicativi, ma senza ombra di dubbio, i risultati di questo report forniscono una visione chiara del grande percorso che ancora c’è da fare per l’affermazione delle città italiane a livello globale.

    Un’ultima riflessione riguarda il Capitale Umano: a comporre la dimensione sono indicatori inerenti il livello di studi (Proporzione della Popolazione con almeno il diploma), il numero di Business Schools, Il numero di università, quello dei musei e delle gallerie d’arte e infine la spesa per attività di leisure e di entertainment.

    Quella del Capitale Umano è tra tutte le dimensioni esaminate, quella che presenta maggiori difficoltà strutturali per le nostre città di “scalare” la classifica. Un miglioramento del nostro asset culturale, così come attività volte a stimolare la domanda (a pagamento, e non gratuita) sono sicuramente obiettivi più raggiungibili della riduzione del coefficiente di Gini.
    Essere smart, in fondo, non vuol dire anche questo?

    Note