Detour in Detroit

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    Ci sono due cose che amo particolarmente di Detroit. La prima è quel sistema di “organizzazione dal basso” che mi ricorda lo spirito Do It Yourself del movimento Hard Core nato nell’America di Ronald Reagan.

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    Per troppi anni i Detroiters non hanno potuto contare su un’amministrazione comunale efficiente, capace di agire per il bene della città, hanno quindi imparato a fare da soli, spesso dando vita ad associazioni non profit. La seconda è la quantità di donne che a Detroit trova lo spazio per dimostrare talento e capacità imprenditoriale. Amy Kaherl è l’incarnazione vivente di questi due aspetti. Sono una grande “believer”, mi ha detto la prima volta che ci siamo incontrate. “Believer” è una parola di cui fatico a trovare un degno corrispettivo in italiano. Una “che ci crede” non suona allo stesso modo, e tanto meno “credente”.

    Pubblichiamo un estratto da Detour in Detroit (Humboldt Books)

    Amy mi ha accolta nello spazio in cui organizza il suo lavoro. È una scrivania al secondo piano di Ponyride, un grande co-working a basso costo che accoglie creativi e giovani imprenditori “socialmente impegnati”. Si trova a Corktown, il più antico tra i quartieri di Detroit rimasti ancora in piedi, un’area storicamente occupata dagli immigrati di origine irlandese. Con una devozione per la giustizia sociale, e una laurea in teologia che non le spalancava certo le porte del mondo del lavoro, Amy ha dato vita a uno dei progetti più coinvolgenti, amati e innovativi di Detroit. Non una start up, nè qualcosa che si misura sulla popolarità nei social media. Pochi mesi dopo il lancio in America del sito Kickstarter, quando ancora il modello del crowdfunding online doveva esplodere, a Detroit Amy sperimentava un modo per finanziare i progetti locali più meritevoli nel corso di una cena comunitaria.

    Antonio Rovaldi, Detroit

    ph. Antonio Rovaldi

    Detroit Soup è iniziato nel febbraio 2010, senza un manifesto o un piano a lungo termine. È partito da Mexicantown, il quartiere messicano che si estende verso ovest a partire da una colossale stazione ferroviaria abbandonata. I proprietari di un ristorante avevano messo a disposizione un magazzino vuoto. L’idea è stata fin da subito la seguente: chiunque voglia partecipare paga cinque dollari per una cena (solitamente a base di zuppa, pane e verdure varie) e un voto.

    Prima di iniziare a mangiare vengono presentati quattro progetti selezionati da una commissione tra quelli proposti nelle settimane precedenti da privati e organizzazioni locali. Poi si mangia insieme intorno a grandi tavole, ci si confronta, e infine si vota. Tutti proventi della cena vanno a finanziare il progetto vincitore, mentre l’organizzazione recupera parte dei costi dalla vendita di bibite e birre. Quando è iniziato – una innevata domenica di febbraio (quella del Superbowl, l’evento sportivo dell’anno in USA) – si sono presentate circa trenta persone, mentre adesso la media è di 200. La sede è cambiata quasi subito: da quando, nel 2011, una donna in sedia a rotelle si è trovata in difficoltà per la mancanza di un ascensore. Dopo un periodo di incertezza, in cui è diminuita anche la frequenza delle serate, Soup ha trovato una sede fissa sul segmento est di Grand Boulevard, non lontano da Midtown, la zona universitaria.

    Antonio Rovaldi, Detroit

    ph. Antonio Rovaldi

    Nel 2012 Amy ha inoltre ricevuto un grande incentivo: un finanziamento da parte della Knight Foundation che ha permesso di estendere il progetto a diversi quartieri della città, anche quelli meno toccati dai nuovi investimenti e piani di recupero. L’anno dopo si parlava di Soup anche a Washington, alla Casa Bianca: Amy è stata nominata tra i Champion of Change “come pioniera del crowdfunding”. Non mi stupisce quindi che molti dei progetti interessanti che ho scoperto a Detroit abbiano qualche legame con lei. Mi colpisce invece un altro dato: il 75% dei progetti è proposto da donne. “Questa città è il luogo ideale per le donne con una buona idea da realizzare”, mi ha confermato Amy.

    Quello che serve più di ogni altra cosa a Detroit, ha aggiunto, sono iniziative rivolte a persone il cui livello di educazione e alfabetizzazione è ancora troppo basso. “Ormai non è più una questione di genere o di razza. O meglio, sarebbe stupido dire che non esistono più questioni razziali. Ma quello che davvero fa la differenza è la scuola, l’educazione, e questo a Detroit è ancora un grande problema. E la scuola che segna le vite fin dall’inizio”.

    Antonio Rovaldi, Detroit

    ph. Antonio Rovaldi

    Amy mi ha citato allora due progetti che stanno dando una speranza a chi questa ingiustizia l’ha subita. “Hai presente i gioielli Rebel Nell? Li vendono in diversi negozi qui a Detroit, e non solo. Sono fatti con frammenti di colore che si scrosta dai vecchi graffiti, una risorsa che a Detroit non manca”. Li avevo visti. Il colore è trattato in un modo particolare per cui si squaglia formando dei pattern sempre diversi, cerchi, linee sinuose, spirali. “Loro per esempio assumono donne in disagio sociale, insegnano loro il mestiere e le aiutano a ricostruirsi una vita”, mi ha spiegato. “E sai una cosa? La mia testa scoppia quando penso che è con i soldi raccolti da Soup che l’Empowerment Plant ha fatto la sua prima assunzione. Da noi avevano raccolto 850 dollari in una sera, ora credo che abbiamo un budget di 850,000”.

    The urban tale of Veronika Scott, ovvero come si migliora la vita di migliaia di persone a ventanni (senza inventare Facebook)

    “The best thing of my life”. Così Demetria mi ha descritto il suo lavoro al The Empowerment Plan, un’organizzazione non profit che ha sede nello stesso building in cui ho incontrato Amy Kaherl, Ponyride. La mattina Demetria esce di casa con i suoi tre bambini, due gemelli maschi e una femmina, li porta a scuola, raggiunge il suo posto di lavoro, si siede alla macchina da cucire e mentre scorrono i punti respira la gioia di avere di nuovo una vita. Fino a pochi anni fa abitava in uno dei tanti “shelter”, rifugi per senzatetto, della città.

    Non aveva avuto scelta: era rimasta sola, dipendente dalle droghe, con tre figli piccoli, senza una casa. In quel luogo, un centro di accoglienza per sole donne e bambini, ha vissuto due lunghi anni. E ci sarebbe rimasta forse anche di più se non avesse conosciuto Veronika Scott. “Ora vivo in una casa con tre camere da letto”, mi racconta quasi commossa, “ognuno ha la sua stanza”.

    Detroit

    ph. Antonio Rovaldi

    Veronika Scott ha fondato The Empowerment Plan nel 2011, ad appena 21 anni, con un’idea: dare lavoro a chi non aspettava altro, producendo qualcosa per chi ha bisogno. Quando era studente al College for Creative Studies ha disegnato un oggetto che a Detroit, più che da ogni altra parte, risponde a un grande necessità: una giacca che si trasforma in sacco a pelo per chi vive in strada.

    Per realizzarla ha deciso di assumere potenziali destinatarie del suo prodotto: donne rimaste senza casa, magari con dei figli a carico. Ora dà lavoro a una ventina di persone, ha confezionato 4.500 giacche nel 2014, distribuendole in 29 stati americani e tre province del Canada, e il suo obiettivo è arrivare a produrne 6.500 assumendo nuove persone. Come ha fatto a fare tutto questo poco più che ventenne? Anche lei è una “believer”. La sua determinazione è diventata un esempio per tutta la nazione (la sua storia è stata raccontata dal New York Times, Cnn e Al Jazeera) ed è stata premiata.

    Detroit

    A Detroit ha conquistato il sostegno di grandi aziende, fondazioni, e generosi filantropi. Una tra tutte Carhart, lo storico marchio di indumenti da lavoro indistruttibili, che le ha fornito macchine da cucire industriali oltre che tutto il tessuto utilizzato per le giacche.

    Prima di allora Veronika si era trovata costretta ad usare come rivestimento esterno una plastica bianca, usata anche nell’edilizia, che aveva buone proprietà isolanti ma si sporcava un po’ troppo facilmente nella vita di strada. “Non sai quante richieste ci arrivano da sportivi, cacciatori, gente appassionata di montagna e attività all’aperto”, mi ha detto Erika George, una coetanea di Veronika che lavora come Project Manager dell’organizzazione. “Ma noi non possiamo accontentarli, almeno non ora, siamo solo una non profit. Le nostre giacche sono solo per chi all’aperto vive tutto l’anno. Chiunque può comparle, devono però essere un dono”.

    Detour in Detroit di Francesca Berardi (fotografie di Antonio Rovaldi) pubblicato da Humboldt Books verrà presentato oggi pomeriggio a Torino presso nb:notabene (Via Bellezia 12/c) alle 18.30. Con gli autori Chiara Lucchini

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