Se puntiamo lo sguardo verso l’orizzonte del nostro spazio culturale, sembrano emergere sempre più spesso nuove formule in grado di modificarne prospettiva e struttura. In questo contesto, la diffusione del libro come valore sociale è un tema che merita profonda attenzione; pensare alla lettura come strumento imprescindibile per una crescita socio-culturale delle comunità urbane – in grado di influenzare in maniera positiva la qualità della vita a livello individuale e comunitario – significa rappresentare una nuova visione anche degli spazi urbani.
Da una società incentrata sul bisogno e sui prodotti si vuol passare a un’altra dove punti essenziali diventano il desiderio e le esperienze. Proprio la differenza tra bisogno e desiderio può essere ritenuta essenziale per capire come orientare le politiche pubbliche riguardanti la cultura, e in particolare la lettura. Se infatti analizziamo i due concetti, il bisogno nasce sempre dalla mancanza di un oggetto, la cui soddisfazione quindi si esaurisce nell’appagamento di un’esigenza concreta; di solito è sempre qualcosa che parte dal nostro interno e si esplica nella ricerca di un oggetto esterno.
Nel caso del desiderio invece assistiamo a un capovolgimento, e cioè non siamo di fronte a una mancanza interna, derivante dal nostro essere fisico o interiore, dalla nostra singolarità, ma è una mancanza che si avverte all’esterno e non si identifica con la ricerca di un dato oggetto, ma rappresenta piuttosto un percorso, una costruzione nuova e ricercata nel tempo che ci possa mettere nella condizione di creare intorno a noi un nuovo panorama. Questo nuovo desiderare dovrebbe diventare il punto focale di qualsiasi politica culturale.
Il Centro per il libro ha deciso di aprire una riflessione su questi temi arrivando a definire nuovi criteri di progettazione all’interno della sua attività, in modo da stimolare la crescita di un tessuto connettivo tra tutti i soggetti presenti sul territorio, per promuovere i libri e la lettura nelle città.
La riflessione sulla città e sulla lettura è partita nel 2013 con la nascita del progetto Le Città del libro che ha messo in rete le eccellenze italiane quanto a festival letterari, rassegne e fiere, raccogliendole in un portale informativo a disposizione del pubblico. Oltre a far questo, il progetto prevedeva convegni annuali in cui esperti di cultura e rappresentanti di tali realtà si potessero confrontare portando il proprio contributo.
Da questi convegni sono emersi nuovi spunti di riflessione e nuove idee su come davvero città e lettura possano interagire tra loro in un circuito virtuoso, creando quel desiderare di cui si parlava sopra. La questione che man mano è apparsa chiara era come prevedere una politica culturale non limitata ai soli giorni dei festival, delle rassegne o delle fiere; nelle comunità si avvertiva il bisogno di continuare a fruire delle iniziative nel corso dell’anno, partecipandovi anche in modi innovativi. Questo desiderio è testimoniato dal fatto che molte delle città che ospitano i festival organizzano già attività permanenti al di là dei giorni prestabiliti delle varie manifestazioni.
Si va da esempi notevoli di grandi città come Milano, che ha adottato il Patto per la lettura, a quelli di centri più piccoli come Trani, dove il festival I dialoghi di Trani fa da culmine a iniziative congiunte tra scuole, associazioni e biblioteche nel corso di tutto l’anno. Inoltre, l’esigenza di una diversa partecipazione del pubblico e il necessario audience development dei lettori portava la riflessione ancora più avanti.
Così è nata l’idea della Città che legge: sviluppare l’enorme potenziale delle città e dei festival che il progetto Le Città del libro aveva riunito.
Il Centro per il libro e la lettura, insieme all’Anci (Associazione Nazionale Comuni Italiani), il 5 dicembre 2016 ha quindi diffuso un avviso pubblico in cui le amministrazioni comunali sono invitate ad avanzare candidature per qualificarsi come Città che legge.
Dietro alla redazione di questo avviso pubblico c’è una politica culturale che parte innanzitutto dalla consapevolezza di un nuovo modo di pensare al territorio, alle città e ai rapporti che intercorrono tra gli individui. La cultura, strumento indispensabile per trasformare l’identità dei luoghi e i rapporti di chi li abita, spesso è già presente all’interno delle comunità, ma a volte occupa uno spazio interstiziale e nascosto, manifestandosi in progetti dal basso diretti solo a piccoli segmenti di utenti e privi di un coordinamento in grado di renderli fruibili a un pubblico più vasto e desideroso di nuove esperienze.
Mantenendo il ruolo qualificante dei festival e delle rassegne – che erano fin dall’inizio nel progetto delle Città del libro – il Centro per il libro ha deciso di coinvolgere le Amministrazioni comunali chiedendo loro di assumersi il ruolo di coordinatrici e promotrici delle azioni che riguardano la lettura presenti sul territorio e di cui, a volte, non sono a conoscenza. Dichiarando di avere cinque requisiti fondamentali, quali: la presenza di un festival, di almeno una biblioteca, di almeno una libreria, di iniziative congiunte tra associazioni e altre realtà locali e la partecipazione a una delle campagne nazionali del Centro per il libro (Libriamoci, Maggio dei libri o In Vitro), i Comuni possono candidarsi per ricevere la qualifica di Città che legge. Qualifica che darà loro il diritto di entrare in un elenco ristretto di città a cui saranno dedicati bandi e finanziamenti lanciati nel 2017 dal Centro per il libro, per premiare i progetti più innovativi e meritevoli.
L’idea della qualifica mira sia a premiare quelle città che dispongono già di ciò che serve per promuovere la lettura – ma che magari non lo hanno ancora messo a sistema – sia a dare delle linee guida – attraverso i requisiti richiesti – a quelle che intendono mettere in atto politiche culturali di questo genere.
Ultima ma fondamentale parte dell’iniziativa della Città che legge è la richiesta che il Comune firmi, al momento della presentazione della candidatura, l’impegno a costituire un Patto locale per la lettura. Il Patto, già brillantemente adottato dalla città di Milano, è un vero e proprio contratto che attiva la collaborazione continuativa di istituzioni ed enti pubblici, biblioteche, scuole, università, librerie, associazioni, strutture sanitarie, enti sociali, soggetti privati e rappresentanti della filiera del libro, allo scopo di realizzare un’azione coordinata e collettiva che renda libri e lettura parte del desiderio quotidiano dei cittadini.
Il progetto mira a rendere la lettura un bene comune, ovvero un bene specifico condiviso da tutta la comunità, utilizzato da più soggetti e quindi una risorsa priva di restrizioni e indispensabile al benessere degli individui. Nel caso della lettura/cultura l’intervento delle Istituzioni (statali e locali) è indispensabile e le comunità, se messe nelle giuste condizioni, sono in grado di gestire le risorse messe a disposizione. In questo contesto l’individuo non viene più visto come soggetto passivo del processo, ma come protagonista attivo e consapevole.
Questa nuova visione dell’individualità ci porta alla differenza sociologica tra società e comunità; se la prima rappresenta l’individuo solo nella contemporaneità, la seconda invece lo lega ad altri individui che come lui condividono nascita e radici. Nel nostro caso, questa nuova comunità non si configura su basi identitarie, ma su un preciso desiderio di cultura in grado di generare nuovi “percorsi urbani” e stimolare una nuova solidarietà, che ha come obiettivi: la diminuzione delle diseguaglianze di accesso alle risorse, l’aumento delle relazioni tra gli individui e la prevenzione del disagio sociale.
Il progetto Città che legge rappresenta in definitiva una riappropriazione dello spazio urbano attraverso la coesione degli individui, dove il punto di partenza per il cambiamento è rappresentato dalla lettura e dai libri.