Electropark 2023 riscrive i luoghi come spazi di relazione. Un dialogo con Anna Daneri

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Pubblichiamo dopo il pezzo di Hamilton Santià un secondo intervento in collaborazione con Electropark, che da luglio (dal 14 al 16) proporrà a Genova un festival con tema “Hypernature”. Hypernature è un modus vivendi e operandi che ha caratterizzato in maniera trasversale la direzione musicale, performativa, culturale e filosofica degli ultimi anni, ispirandosi al pensiero della biologa, zoologa e filosofa statunitense Donna Haraway e all’ecofemminismo. L’emancipazione dell’individuo non conforme, femminile e/o queer rispetto ai generi,siano essi biologici o artistici, è il grande leitmotiv di questi nuovi anni Venti. Hypernature evoca il movimento ecofemminista di riappropriazione collettiva delle tecnologie e dell’ambiente, la necessaria trasformazione in una comunità solidale di cyborg postumani finalmente in armonia con la natura e con il mondo. Qui il podcast a cura di Claudia Calabresi.

    Gli spettacoli si terranno in più location: Galata Museo del Mare, Mercato dei Pescatori della Darsena, Virgo Club, Bonfim Club, Mercato dei Pescatori della Darsena e Groove Island con la creazione di una piattaforma galleggiante al largo di San Michele di Pagana. Sui diversi palchi si alterneranno oltre cinquanta artiste e artisti provenienti da dodici paesi differenti. Tra i nomi in line-up spiccano i produttori James Holden e Anthony Rother, l’arpista statunitense Mary Lattimore, la percussionista Valentina Magaletti, il duo batucada-elettronico Ninos Du Brasil, l’artista sperimentale Nziria, il producer ugandese Authentically Plastic, il duo olandese No Plexus e l’etichetta/collettivo Toy Tonics. Il fitto calendario propone anche sei “performing acts” fra danza, teatro e installazioni multimediali, prodotti da altrettante compagnie da Italia, Olanda e Belgio. Per maggiori informazioni qui

    Anche se la formula è quella di un festival, Electropark a Genova sfugge al perimetro di un evento seppur importante. In questi dodici anni di vita ha svelato più i contorni di una macchina di produzione urbana, «un dispositivo per accendere culturalmente dei luoghi», la definisce Anna Daneri che del festival è co-direttrice assieme al fondatore Alessandro Mazzone.
    Filo conduttore è da sempre la musica elettronica, fonte di meticciato contemporaneo, «perché nasce da una ibridazione e germina nuove ibridazioni». L’edizione di quest’anno, in programma il 14-15-16 luglio, è dedicata all’Hypernature, secondo capitolo della trilogia WORLDS (Women, Otherness, Responsibility, Love, Desire, Sustainability). sostenuta da un bando del FUS vinto da Forevergreen, l’impresa culturale organizzatrice. Hypernature evoca «l’intreccio tra natura e tecnologie, corpi e cyborg», spiega Anna Daneri, «dunque il fulcro di questioni cruciali per il nostro tempo».

    Electropark sembra sempre voler rispondere all’urgenza di plasmare luoghi e situazioni. È questa l’anomalia del festival?
    «Il fatto è che non l’abbiamo mai pensato solo come una kermesse di intrattenimento, né immaginato di poter usare la città come semplice palcoscenico. La tre giorni (quest’anno siamo tornati alla formula originaria) è l’emersione di un lavorio culturale che prosegue durante tutto l’anno. Quello che si vede è un palinsesto di attività e di eventi, che segue la logica di selezione tipica di un festival, scegliendo con cura musicisti ed artisti, ma dando forma a un progetto più complessivo sulla città che continua sottotraccia. Penso al programma by-night nei due locali, il Virgo che è un discoclub gay a Sampierdarena a ridosso del centro e il Bonfim Club sul mare a Nervi: in questo caso significa riflettere sulla cultura del clubbing con occhi nuovi, proprio in relazione con la città. Oppure penso al progetto che stiamo realizzando dal 2017, nell’area della Darsena: Fish & Djs, così si chiama, nasce dalla collaborazione con i pescatori della cooperativa locale in un’area che è un incrocio di un’umanità così ricca e che proviamo a illuminare con una fruizione imprevista e imprevedibile. Per questo i luoghi che coinvolgiamo sono spesso un po’ dimenticati o semplicemente attraversati dai flussi di persone. Per noi è vitale provare a riscrivere quei luoghi come spazi di relazione».

    ph. Silvia Ascaroli

    Allo stesso modo, non ospitate solo gli artisti e le artiste per metterli in scena, ma puntate su produzioni e residenze.
    «È un impegno che nasce fin dall’inizio del festival. Quest’anno mi sembra particolarmente interessante il progetto di residenza, organizzato insieme a Noiscapes, che ha visto al lavoro Inner8 + sYn, un duo di musicisti, videomakers e sound designers nelle grotte di Balzi Rossi a Ventimiglia.
    È un sito archeologico sorprendente e uno dei più importanti del Mediterraneo: qui sono stati trovati reperti preistorici e graffiti lasciati dagli uomini e dalle donne che in quel tempo remoto hanno attraversato il mare e sono approdati dall’Africa in Europa. I due artisti hanno lavorato su quella storia, leggendola con la cronaca del giorno d’oggi e utilizzando i disegni lasciati dalle persone in transito che da qui provano ad attraversare il confine di Ventimiglia, uno dei punti più militarizzati delle rotte migratorie europee. Per il progetto ci siamo affidati alla collaborazione del Museo dei Balzi Rossi e dei e delle solidali di Progetto 20K, la rete di volontari che assiste le persone di passaggio con informazioni mediche, legali, logistiche.
    Per noi è vitale creare alleanze, reti, collaborazioni con gruppi, comunità, associazioni: è nel DNA della nostra esperienza, così come avere relazioni strette ma di grande autonomia con le istituzioni locali. Insomma, tutto questo dà senso alla parola festival e al fatto di stare qui, in questa città e non altrove. È lo stesso motivo per cui abbiamo promosso il collettivo artistico di ricerca Corpi Idrici, in collaborazione con la Fondazione Feltrinelli del 2021, un progetto transdisciplinare con cui artiste video, fotografe, musicisti e giuriste hanno mappato gli oltre 70 torrenti che attraversano la città. Peraltro, una delle realizzazioni recenti è IMMERSE, la mappa interattiva realizzata da Corpi Idrici insieme a Zones Portuaires e commissionata da CCA Holon e dal Goethe Institut Genua».

    Come scegliete i luoghi su cui intervenire o da mettere in scena per il festival?
    «In alcuni casi per il loro valore simbolico, come Palazzo Ducale Fondazione per la cultura che quest’anno ospiterà Dreamscape, l’installazione sonora immersiva dell’artista multimediale Eva Frapiccini con musiche di Sara Berts (che farà un live al festival), prodotta da AlbumArte e sostenuta dal bando Art Waves di Fondazione Compagnia San Paolo.
    In altri casi nasce da una sorta di relazione affettiva. E poi ci sono alcuni luoghi che consideriamo strategici culturalmente, come il caso della Darsena. Ad ogni modo anche nei luoghi più ‘marginali’ o dimenticati, preferiamo non parlare di “rigenerazione”, perché è una parola che ha assunto una carica molto ambigua, usata spesso come cavallo di troia per operazioni di uso o di estrazione di valore da cui siamo lontani. Per questo preferiamo parlare di ‘attivazione culturale’: si può dare valore a un luogo senza che sia sinonimo di attrazione turistica o di uso predatorio. Non vogliamo, per dirla in modo esplicito, fare da apripista a nuova movida. D’altra parte, Genova è una città molto particolare, prima di tutto fisicamente: si snoda per 33 km, stretta tra mare e collina e con un centro storico imponente, uno dei più grandi d’Europa. È difficile intervenire in molte zone, per questo preferiamo lavorare puntualmente: quei luoghi li accendiamo, li rendiamo visibili, leggibili, lasciando nel caso ad altri attori, prima di tutto pubblici, la possibilità di intervenire. Quanto questo succeda è difficile da valutare, a volte capita che su un luogo messo a fuoco dal festival si apra una progettualità da parte delle istituzioni, altre volte no. Nel caso del Mercato dei pescatori della Darsena il lavoro è stato continuativo, direi sartoriale per come l’abbiamo portato avanti in questi anni».

    ph. Francesco Margaroli

     

    Voi usate gli strumenti dell’arte contemporanea, dalla musica alle arti performative. La città è aperta ai nuovi linguaggi? Vi sembra sia interessata a investirci?

    «In realtà è una città poco abituata ai linguaggi del contemporaneo. Ha un buon panorama musicale, penso alla trap e una bella scena teatrale. Ma sulle arti visive è più refrattaria. Per le arti, il baricentro resta Palazzo Ducale Fondazione per la cultura, dunque un luogo istituzionale.
    Credo sia il risultato di un insieme di fattori: storicamente Genova ha vissuto di una ricchezza stratificata, che le ha assicurato il primato italiano per l’accumulazione di patrimoni concentrati (e immobili). Ha fatto poco lo sforzo di investire, progettare, guardare al nuovo; si è un po’ afferrata alla sua dimensione provinciale che però è diventata un freno invece che un’opportunità per fare uno slancio. Forse ha anche a che fare col suo essere la città più longeva d’Italia e tra le più longeve al mondo. Chissà, forse ha un suo peso questo dato anagrafico e demografico.
    Da parte nostra abbiamo provato a spingere sul versante internazionale e così è nato il progetto TranstroniX, con cui abbiamo vinto il bando ministeriale Boarding Pass Plus. Scommettiamo sulla dimensione transdisciplinare delle pratiche artistiche, di cui la musica elettronica è una fucina, coinvolgendo una rete europea di realtà culturali. Il focus iniziale è su due aree riconosciute storicamente come all’avanguardia per questo ambito di ricerca, Germania e Olanda. Da qui arrivano i partner creativi e operativi del progetto: il festival transmediale di Berlino, lo Spielart di Monaco di Baviera e il Fringe Festival di Amsterdam. Noi faremo da capofila di una filiera di istituzioni italiane, che vede la partecipazione di Mediterraneo / Andersen festival di Sestri Levante e l’Associazione Ludwig di Milano / Mare culturale urbano e infine il Goethe Institut Genua, come ente garante. È un esperimento, un modo per accelerare i processi di internazionalizzazione delle nostre esperienze».

    Da questo punto di vista voi provate a innovare anche dal punto di vista della curatela: la Call Under 35 è un’iniziativa singolare nel panorama italiano, perché significa mettersi in discussione aprendo la direzione a degli sconosciuti.

    «Abbiamo lanciato una call pensando ad ampliare la direzione artistica a progetti di curatori e curatrici under 35. Ne abbiamo scelti quattro: Gianluca Bombelli, Claudia Calabresi, Francesco Corica, Sinue Valle. Ognuno di loro si sta occupando di progetti particolari ad alto tasso di innovazione: strategie di attivazione di nuovo pubblico giovanile, il format Groove Island con le performance in mare da assistere in barca, il podcast Evergreen.
    È un vero e proprio Art Director Board under 35. L’abbiamo pensato come a un modo per rispondere alla difficoltà che vivono spesso le organizzazioni culturali di rigenerarsi, di far entrare le visioni, le competenze e le progettualità di nuove generazioni e di farle agire a livello di direzione. Avvertiamo una sorta di freno gerontocratico, su cui è necessario intervenire.
    In qualche modo abbiamo applicato lo stesso metodo di ‘attivazione culturale’ che usiamo per i luoghi, ma in questo caso sul versante generazionale e partendo da noi, proprio dentro la nostra direzione del festival, che comunque è già ricca di figure transgenerazionali come Gabriele Marozzi, Barbara Costantino, Patrizio Ferrari, Matilde Orlando, Nicolò Pisu, Greta Fucito, Giulio Oglietti, Silvia Nocentini, tra gli altri».

     

    Immagine di copertina Credits ph. Silvia Ascaroli

    Note