Il Bando CivICa di Compagnia di San Paolo e l’impatto civico della cultura: intervista a Matteo Bagnasco

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    Quello che ci ha insegnato l’esperienza del premio cheFare è che un bando per progetti culturali è qualcosa di più di un semplice documento burocratico. Leggendolo in filigrana si può capire molto riguardo a quello che cercano gli enti proponenti ma soprattutto, più in generale, sulle tendenze di lungo corso nelle politiche sociali e culturali.

    È per questo che – oltre a pubblicare una selezione di call e grants per progettisti culturali – cerchiamo di approfondire quei bandi che ci sembrano potenzialmente in grado di cambiare l’ordine delle cose.

    Recentemente compagnia di San Paolo ha pubblicato il bando CivICa che sostiene con un contributo fino a 80.000 euro progetti culturali interamente focalizzati sulla sperimentazione del “numero zero” di un prodotto o di un processo il cui scopo sia agire sull’impatto civico.

    Abbiamo deciso di approfondire la visione e gli obiettivi del bando CivICa con un’intervista a Matteo Bagnasco, Responsabile dell’ Area Innovazione Culturale di Compagnia di San Paolo, che lavora sui temi della creatività e produzione culturale contemporanea, della partecipazione culturale, dell’impresa e delle professioni culturali, della diffusione della cultura scientifica.

    Il budget complessivo messo a disposizione dalla Compagnia per l’iniziativa è di 650.000 euro, l’obiettivo è costruire, attraverso i prodotti e i processi innovativi oggetto del bando, percorsi capaci di rispondere a bisogni civici: migliorare la convivenza, la coesione sociale e la qualità della cittadinanza, contrastare le discriminazioni, favorire la consapevolezza sui diritti individuali, civili e sociali, contrastare le disuguaglianze nella distribuzione delle opportunità che consentano alle persone di vivere in modo attivo e rispettoso di sé e degli altri.

    C’è tempo fino al 30 novembre 2018 per partecipare


    Prima di tutto una domanda di inquadramento. Nel testo del bando è dichiarato espressamente un forte collegamento tra l’esperienza di accompagnamento alla nascita del Polo del ‘900 di Torino e il bando CivICa. Cosa vuol dire, in termini concreti? Ci sono degli elementi specifici emersi da questo rapporto che vi augurate di incontrare nei progetti che si candideranno? E degli errori dei quali fareste volentieri a meno?

    Il lavoro preparatorio che ha portato alla costituzione del Polo del ‘900 ha visto formarsi nel tempo, in modo sempre più netto, l’obiettivo di mettere il centro culturale, forte dei propri patrimoni e delle proprie competenze, nelle condizioni di dare spazio ai temi dell’attualità che coincidono con quelli su cui gli istituti che lo compongono hanno basato la propria vita e il proprio lavoro.

    Dare spazio quindi ai modi in cui le attività dei diversi centri, sempre più ricche e diversificate, possono trovare le forme più adatte per parlare di diritti, partecipazione, democrazia, lavoro eccetera.

    Da questo tipo di esperienza è emersa la volontà di sperimentare nuove modalità in cui gli strumenti del mondo degli operatori culturali possono individuare e affrontare bisogni civici vecchi e nuovi. Quello che per il Polo è stata una sfida è diventato un assunto nella progettazione del nuovo bando.

    Per quanto riguarda i progetti che si candidano, più che in errori, ci capita di imbatterci spesso in convinzioni errate su quel che cerchiamo. La svista più comune genera progetti che mettono al centro la quantità di eventi e partnership costruite più sul numero di soggetti coinvolti che sulla qualità e coerenza tra gli stessi. Per questo bando speriamo di non ricevere progetti di mera educazione civica, perché con CivICacerchiamo di sollecitare i soggetti culturali a (ri)scoprire una vocazione sociale e proporsi come leva di cambiamento nelle attitudini, nelle percezioni o nei comportamenti civici. Anche per i progetti volti all’incremento della partecipazione culturale abbiamo attivato un altro strumento specifico che è Open, l’insieme delle attività volte all’ampliamento e alla diversificazione dei pubblici.

    Guardando il panorama dei bandi per la cultura promossi in Italia negli ultimi anni, è particolarmente interessante l’enfasi che CivICa pone sull’identificazione di specifici bisogni civici. Come vi immaginate che saranno indagati?  (Che tipo di approfondimenti teorici vi aspettate? qualitativi/quantitativi/partnership scientifiche, etc)

    Il nostro lavoro ci porta a leggere e analizzare centinaia di progetti ogni anno. La maggior parte di essi ha, nelle sue parti inziali, una premessa del tipo “oggi in Italia sta succedendo questo, è sempre più importante quest’altro, c’è quel pericolo lì” e così via, ma raramente questo tipo di analisi va oltre la “mozione degli affetti”. Con questo bando ci aspettiamo uno scatto di profondità in questo senso, da un lato perché non è per nulla scontato oggi definire i bisogni civici e dunque occorre tutta la serietà, professionalità e competenza per poterci ragionare adeguatamente, dall’altro perché sappiamo che esistono negli istituti culturali, nelle università, nei centri di ricerca grandi conoscenze che possono essere valorizzate e avere in questo tipo di azione una dimensione “applicata”.

    Perché avete scelto di legare in modo così forte le progettualità a spazi specifici? Che tipo di sedimentazione vi aspettate in questo senso?

    Come si legge anche nel testo, questo bando non ha volutamente posto vincoli stringenti o specifiche particolari. Abbiamo però voluto inserire questo accento sugli spazi perché sappiamo trattarsi di un tema di cui si sta discutendo molto fra chi lavora nella cultura, e dunque ci pareva utile e interessante, attraverso la lettura dei progetti, capire quale ruolo ci si immagina oggi per gli spazi culturali, convenzionali o meno. Questo per dire che non sappiamo esattamente quale tipo di sedimentazione ci aspettiamo. Certo inserire questa enfasi sugli spazi ci pareva un modo per sottolineare ulteriormente l’esigenza di ricadute concrete dei progetti, di condivisione, di dimensione pubblica degli interventi.

    L’aspetto della legacy della progettazione culturale è sempre particolarmente delicato, e spesso rimane un po’ ignorato come il proverbiale elefante nella stanza. Voi avete invece deciso di dargli un peso decisivo nella prima fase di valutazione. Perché questa scelta?

    Come ci capita di dire nelle diverse presentazioni, questo bando cerca dei “numeri zero”, o per usare un termine un po’ abusato, dei format che sappiano sperimentare il rapporto fra cultura e innovazione civica. L’innovatività di una proposta però ha poco da dire se non contribuisce a innescare un cambiamento. Un cambiamento che può essere un’istituzione culturale che, attraverso un progetto, sperimenta un nuovo modo di lavorare che andrà poi a modificare o riorientare la sua attività ordinaria. Oppure progettisti culturali che, grazie al bando, testano nuovi modelli che poi potranno proporre, su scala diversa e più ampia, ad altre istituzioni o operatori culturali.

    Note