Lentezza e ascolto: oltre la retorica delle periferie

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    Le immagini che potrete vedere dopo aver letto questo pezzo, sono tratte dalla prima tappa di Super, il festival delle periferie a milano. Un progetto nato nel 2015 da un gruppo interdisciplinare di persone costituitosi ad associazione e di cui faccio parte (antropologi, fotografi, designer, urbanisti, web designer) che hanno deciso di utilizzare le proprie competenze in maniera libera e indipendente per conoscere e interagire con le periferie, iniziando da Milano.

    Per farlo siamo partiti dall’idea di mettere in discussione lo stereotipo che accompagna questi territori guardati quasi esclusivamente al negativo, a partire dalle cronache dei quotidiani passando per gli slogan delle campagne elettorali.

    Così abbiamo iniziato a concentrarci  sulle piccole “normalità straordinarie” che la periferia la rigenerano ogni giorno: comunità composte da persone capaci di attivare processi dal basso, associazioni, gruppi informali, singoli individui che animano, in un grande palinsesto continuo, i territori di cui fanno parte e pian piano li modificano producendo attività culturali, sportive, sociali, imprenditoriali, sostituendosi al welfare e inventando di fatto nuove politiche.

    Il nostro festival, che è un progetto lento perché ci siamo voluti dare il tempo della ricerca, ha iniziato il suo percorso compiendo nella sua prima tappa 23 tour aperti a tutti dove abbiamo intervistato e ascoltato circa 160 realtà e da ottobre, grazie a una borsa di studio dell’European Cultural Foundation, le coinvolgeremo nuovamente per iniziare un percorso di restituzione di quanto ascoltato aprendolo alla città e alle Istituzioni.

    Promuoveremo infatti dei momenti di confronto in cui le realtà che abbiamo incontrato saranno protagoniste e potranno contribuire alla costruzione di alcune istanze che noi crediamo importanti per il futuro della città. Abbiamo inoltre costruito una piattaforma on line – iosonosuper.com – dove attraverso i diari di viaggio riportiamo le storie ascoltate in tour e stiamo lavorando per permettere alle realtà stesse di raccontarsi in una visione di insieme.

    Partiranno inoltre 10 progetti curatoriali che svilupperanno i temi incrociati e proveranno a promuovere punti di osservazione diversi. Tutto questo verrà infine rappresentato in una grande festa finale nel 2018  dove avere l’occasione di promuovere un grande dibattito a livello nazionale e internazionale che però parta da chi le periferie le abita e le vive. Siamo coscienti di quanto questo progetto sia ambizioso ma ci stiamo impegnando molto per raccogliere i fondi per arrivare alla fine del nostro percorso: ovviamente, non è sempre una cosa facile.

    Dal lavoro di ascolto di questo anno e mezzo di tour abbiamo avuto la grande fortuna di imparare, un’occasione di formazione continua e preziosa che ci ha permesso di conoscere molto più a fondo la città in cui viviamo e che abbiamo scelto. Ci siamo mossi in senso antiorario girando la città e abbiamo cercato di incontrare quante più realtà abbiamo potuto, sospendendo ogni giudizio: abbiamo solo preferito incontrare chi è meno conosciuto di altri.

    Così abbiamo visitato biblioteche di quartiere dove i bambini cinesi passano interi pomeriggi da soli perché i genitori lavorano e dove i senza casa cercano una sedia al caldo e un bagno accessibile.

    Abbiamo visitato co-working  fab-lab, falegnamerie di quartiere che combinano creatività e progetti sociali, orti in condivisione in luoghi inimmaginabili dove si aggregano comunità di giovani e di anziani. Spazi dello sport completamente reinventati dove la passione per il parkour può occupare ragazzini con situazioni personali difficili ma può anche diventare una start up, un’impresa.

    E poi abbiamo visto spazi rigenerati e messi a disposizione della cultura, dove si fanno concerti di musica elettronica al pomeriggio perché l’ascolto della musica è una passione e dove si rifanno gli infissi delle finestre, insonorizzandoli, ai vicini che nel frattempo diventano soci dell’associazione stessa; cascine ristrutturate, fattorie che fanno pet-therapy per curare bambini con problemi psicologici, parchi che sono vere e proprie oasi naturali ma che fino a qualche anno prima erano centrali dello spaccio milanese e molto altro, potrei andare avanti per ore.

    Ma cosa ci è rimasto da tutto questo? Cosa abbiamo capito?

    Innanzitutto che queste realtà sono antenne preziose di ciò che accade nei quartieri, vivendoli quotidianamente, e sono una sorta di presidio spontaneo e ciò che manca è mettere insieme le loro visioni in una prospettiva più ampia, non solo locale e legata al proprio territorio di competenza ma in maniera allargata a tutta la città. Spesso infatti si fanno cose simili in quartieri diversi senza che chi le propone si conosca. Per cui diventa importante creare sinergie e momenti di scambio, riportando centralità nell’ascolto di questi sguardi di eccellenza.

    Per ciò che abbiamo visto, molte di queste realtà agiscono nel silenzio e lontano dai riflettori, agiscono per le proprie comunità di riferimento ma a fatica sanno parlare con la politica, con chi amministra e con chi può aiutarli a superare un ostacolo burocratico. Nel suo piccolo Super, attraverso il festival, sta cercando di dar loro voce in vari modi, ma di certo provare ad avere della periferie una visione quanto più complessiva possibile è un esercizio che è giusto continuare a fare sempre e che dobbiamo continuare a fare tutti.

    La loro azione continua sul territorio sta cambiando interi quartieri li risemantizza, attivando e inventando spontaneamente nuove funzioni dove la cultura diventa motore sociale, lo sport ha una funzione educativa e sociale, il verde e la coltivazione diventano pretesto per riappropriarsi di parti di città. Forme spontanee capaci di aggregare bisogni diversi e dare più risposte nello stesso momento scompaginando le regole classiche dell’assistenza sociale e della promozione culturale.

    Certo le burocrazie non aiutano. Non tutte le realtà sono associazioni strutturate, questo rende più difficile l’organizzazione anche di piccoli momenti di aggregazione che facilmente riempirebbero ancora di più gli spazi pubblici di attività culturali sociali e sportive. L’occupazione di suolo pubblico, anche solo per un pranzo tra vicini di casa ad esempio, è un onere spesso troppo impegnativo come lo è il tariffario Siae che, se anche solo si proietta un film in un cortile, è un vincolo impossibile da aggirare.

    Per questo creare un filo di comunicazione diretto e capace di raccogliere anche piccole istanze come queste, per poter dare delle risposte precise, può fare la differenza.

    Lo stesso vale per ciò che riguarda l’accesso ai finanziamenti, un tema spinoso per tutti. Chiaro che, oltre alle Fondazioni anche di natura bancaria particolarmente attente al no profit e al terzo settore, che tanto già fanno per questa città, non può essere l’amministrazione a finanziare tutto ciò che in periferia accade e il co-finanziamento richiesto solitamente nei bandi è una giusta garanzia del buon impegno per raggiungere l’obiettivo, ma spesso per chi è poco strutturato la scrittura di un bando e l’elaborazione di un budget non è cosa semplice. Il rischio, poi, è che ci si impegni economicamente per anticipare quanto è necessario rendicontare per avere il saldo, nel caso di vincita del bando, andando in passivo. La troppa burocrazia richiesta, inoltre, rischia di premiare chi sa disbrigarsi tra timbri e firme, che non è garanzia di qualità dei progetti in sé.

    Per questo sarebbe importante avere un accompagnamento, una guida che permetta a tutti di arrivare preparati e coscienti alla raccolta fondi. E magari in parallelo provare a costruire modelli più agili di accesso ai finanziamenti anche per progetti più piccoli a investimenti meno importanti per progetti realizzabili anche in poco tempo. L’amministrazione, inoltre, è in grado più di altri di attirare investitori interessati a contribuire al miglioramento dei quartieri, diventando garante di processi virtuosi.

    Nei nostri tour, inoltre, abbiamo incrociato più volte il tema dell’abitare. Abbiamo visitato Santa Giulia, la Bicocca, siamo stati al Gallaratese passando vicino a Cascina Merlata, Via Adriano. Quartieri di recente costruzione dove ciò che salta all’occhio principalmente e’ la totale assenza di socialità, il mancato utilizzo degli spazi pubblici spesso sproporzionati e la mancanza di “vita”.

    Questo fa pensare che quel modello sia simbolo di un fallimento sociale dove l’esigenza fondamentale e’ stata quella di valorizzare il patrimonio degli investitori e dove si e’ immaginato che i quartieri servissero solo per dormire, uscire a portare a spasso il cane, raggiungere il più vicino centro commerciale e dove, di fatto, si e’ rinunciato a negozi di prossimità e servizi calati su bisogni reali.

    Grazie alla crisi questo processo si e’ fermato e quello che dovremmo fare è lavorare affinché, se domani si ricominciasse a costruire, quei modelli non si ripetano più.

    Per fare questo serve riportare al centro il dibattito sulla qualità dei processi complessi coinvolgendone in prima persona gli attori. Dove i criteri di assegnazione, guidati da una dimensione pubblico/politica possano essere messi in discussione a favore di spazi pubblici e servizi di qualità, di mix tra funzioni, parametri elevati da rispettare che dovrebbero essere frutto di una idea complessiva di città. Una visione ampia dove il variare di scala possa essere una regola. Tanto sono importanti le grandi operazioni di trasformazione quanto lo sono i piccoli spazi pubblici utilizzati dai cittadini.

    Forse questo potrebbe essere una buon momento per lanciare un laboratorio di formazione permanente che aggreghi figure competenti dell’architettura, dell’urbanistica, delle scienze e delle nuove tecnologie ma anche quegli operatori/investitori e cooperatori che vogliano mettersi in discussione (e ce ne sono molti) per affiancare l’amministrazione al fine di formare tecnici comunali, supportare la commissione del paesaggio nel duro lavoro di selezione che deve compiere, promuovere e lanciare concorsi aperti anche per riqualificare piccoli spazi urbani, per lo sport e il tempo libero, una piattaforma che sappia rilanciare idee per nuove forme di risparmio e condivisione di beni tra abitanti e che riporti, magari in Triennale, il dibattito sul futuro e sulla qualità di questa città.

    Infine, la lentezza, è fondamentale per costruire qualsiasi processo di mutamento. Ragionare a venti trent’anni da adesso, significa immaginare di lavorare per i bambini di oggi lasciando loro una città migliore, spesso purtroppo però cambi di amministrazioni, cambi di governo, dettano agende che rischiano di non avere il tempo necessario per approfondire e calibrare investimenti e risorse nel lungo periodo. E’ un paradosso tutto italiano quello che ha visto uscire in maniera fulminea i bandi periferie annunciati dal governo per i comuni, a giunte non ancora insediate l’anno scorso. Tuttavia questo paradosso può comunque presentare un’ occasione importante perché gli investimenti stanziati sono risorse importanti.

    E perché diano frutto serve una relazione proficua e approfondita tra istituzioni e territorio, proprio perché è attraverso le antenne territoriali da cui siamo partiti che gli investimenti pubblici eviteranno di ridursi a semplici spot che per quanto positivi rischiano di non lasciare un segno profondo che è invece ciò che serve.

    Milano sta diventando un modello virtuoso per l’Italia, così ci piace raccontarla e in parte è anche vero ma la persistenza di questo modello sarà data, davvero, dalla capacità di costruire meccanismi sostenibili duraturi e permanenti di cultura, socialità e attenzione alle periferie e ai comuni della città metropolitana che, dialogando sempre più tra loro e crescendo, danno respiro ed energia alla città, una energia che può essere capace di contagiare il resto del paese.

    Provando a non perdere l’occasione di rilanciare il rapporto tra progetto e vissuto in periferia come al centro, per i poveri e per i ricchi, perché, come diceva una scritta comparsa una mattina di inverno in Largo Augusto: le città sono di chi le vive.

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