Attrezzi per una rigenerazione urbana radicale

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    Siamo circondati da una miriade di processi di rigenerazione urbana, eterogenei se non addirittura contraddittori fra loro. I percorsi più mainstream si rivelano essere, soprattutto, trasformazioni territoriali che hanno come esito principale una crescita (a volte impennata) dei valori immobiliari (valore di scambio) che avvantaggia élites urbane in continuo arricchimento. Non mancano, però, progettualità che sembrano riuscire ad attuare interessanti processi di valorizzazione di capitale relazionale, sociale e territoriale, attivando risorse e potenzialità sociali e culturali dei luoghi (Questi due scenari, apparentemente contraddittori, sappiamo non essere paralleli: anche i progetti più autentici si trovano, infatti, grazie proprio al loro successo, a misurarsi con l’aumento dei valori immobiliari e i relativi problemi riassumibili dal grande catch-all concept della gentrification) .

    Una serie di approfondimenti in collaborazione con la seconda edizione del Master URISE di Iuav Venezia

    In questa estrema pluralità di percorsi è sempre più necessario ricercare maggiore chiarezza e consapevolezza di alcune questioni e di alcune scelte. Adottando uno sguardo sociologico e, partendo dalle esperienze incontrate nel lavoro di coordinamento del Master Urise sulla rigenerazione urbana e l’innovazione sociale, ho provato ad individuare alcune dialettiche, spesso inconsapevoli, all’interno delle quali mi sembra che operino i practitioner che stanno guidando questi percorsi di rigenerazione urbana.

    Dialettiche che troppo spesso vengono interpretate in modo dicotomico: locale vs globale, pubblico vs privato, innovazione vs memoria locale, avanguardia vs partecipazione, spontaneità vs istituzionalizzazione. L’idea di fondo è che assumere la consapevolezza di queste dialettiche possa, invece, aiutare a rafforzare la capacità di interpretarle come poli di un ‘campi di azione’ all’interno dei quali ci si può spostare a seconda della specificità di attori, contesti, risorse.

    1) Locale/globale. Uno dei principi fondamentali per promuovere un processo di rigenerazione radicato e sociale è quella di conoscere, attivare e valorizzare risorse e attori locali (i cosiddetti saperi contestuali). Occorre però fare attenzione alla cosiddetta ‘trappola locale’ (Purcell, 2006), cioè all’idea che il locale sia una scala in sè giusta e che, in quanto tale, esaurisca tutte le risorse da attivare. Infatti i processi più efficaci di rigenerazione urbana si nutrono anche di risorse esterne, sia prendendo dall’esterno (buone) pratiche e progettualità, sia avvalendosi delle competenze e delle passioni di attori esterni, che a volte possono essere ex attori locali, come avvenuto per esempio nel progetto Next Rieti che ha subito una forte accelerazione soprattutto grazie a soggetti non (più) autoctoni, come i cosiddetti ‘reatini globali’, cioè gli expat, che nei nuovi contesti di insediamento hanno acquisito competenze e reti sociali, senza perdere il radicamento locale, che hanno potuto poi valorizzare nel progetto su Rieti.

    2. Pubblico-privato. I processi di rigenerazione che stiamo analizzando hanno, paradossalmente, una difficile relazione sia con il ‘pubblico’ che con il ‘privato’, inteso soprattutto come attori economici privati. Assecondando troppo sommariamente e pericolosamente una visione post-politica, il pubblico è spesso considerato un soggetto ormai irrimediabilmente ‘perso’ e lontano da questi processi. Questa tendenza rischia di creare surrogati low cost a ruoli/funzioni che dovrebbero avere un’ampiezza istituzionale e pubblica. Allo stesso tempo, per fortuna, non sono mancati esempi di progetti di rigenerazione che hanno avuto luogo proprio perchè supportati da un ‘pubblico’ abilitante che ha saputo assumere un ruolo di guida; ruolo che perciò andrebbe ancor di più stimolato.

    Un’altra speculare difficile relazione è quella con soggetti economici privati, anch’essi vissuti come ontologicamente ‘diversi’ e incapaci di supportare obiettivi pubblici. Anche in questo senso, servirebbe un’azione esplicita che miri a stimolare/forzare la loro partecipazione a forme di ‘azione pubblica’; buoni esempi in tal senso non mancano, dalla Fondazione Unipolis alla Fondazione Con il Sud, ma servirebbe spingersi molto più avanti, sempre avendo ben chiaro che il vantaggio principale di tali progettualità deve restare pubblico.

    3. Avanguardia/partecipazione: L’ascolto degli attori locali è uno degli elementi dirimenti nei processi di rigenerazione urbana: dall’incapacità di radicare i processi di rigenerazione nei territori (e negli intorni dei territori) stanno molti dei problemi legati alla rigenerazione urbana che abbiamo definito mainstream. Gli attori locali sono, infatti, gli esperti e sono coloro che possono far sì che un percorso sia sostenibile nel tempo.

    Allo stesso tempo, va ormai riconosciuto il fatto che siamo in una fase di maturità e di fine dell’ingenuità dei processi partecipativi: sappiamo cioè che i percorsi di partecipazione non sono facili vie per liberare energie sempre genuine e giuste ma arene complesse, lunghe e frustranti, ambivalenti, spesso scarsamente pragmatiche, che vanno perciò governate e guidate. Il processo partecipativo non funziona se si rinuncia ad adottare un ruolo di guida: a indicare visioni, immaginari, percorsi; a situarsi anche a volte come avanguardia che crede in un progetto e che cerca di trascinare intorno ad esso le comunità e società locali.

    4. Innovazione-memoria. Una delle dialettiche più interessanti che riguardano i processi di rigenerazione urbana è quella tra innovazione e memoria. Infatti purchè ci sia rigenerazione occorre per definizione innovare, trasformare ma allo stesso tempo non serve innovazione fine a sè stessa ma solo trasformazioni capaci di attivare gli abitanti. E uno degli strumenti più lungimiranti per fare questo è di proprio quello di valorizzare radicamenti, storie locali, memorie di un territorio (path dependency). I percorsi più virtuosi di rigenerazione, però, non imbalsamano o musealizzano la memoria (se non in casi sporadici) ma generano processi che affondano nel passato dando forza abilitante al presente.

    Si tratta, cioè, di progettualità capaci di creare un filo vivo con le storie di un luogo che mira ad una sorta di continuità innovativa che riguarda sia il sociale (l’uso di uno spazio), che il simbolico (il senso di uno spazio) che il contesto materiale (l’architettura di uno spazio). Riprendendo il gioco di parole dell’antropologo James Clifford (1997) potremmo dire che si tratta di processi capaci di nutrirsi, simultaneamente, sia di radicamenti (roots), che di nuove strade e connesioni (routes).

    5. Spontaneità-istituzionalizzazione. I processi di rigenerazione urbana che stiamo prendendo in esame si alimentano di spontaneità e creatività. I casi di maggior successo sono stati generati da vuoti e da processi di pianificazione aperti che sono stati capaci di attivare veri e propri processi di ridefinizione, riuso, risignificazione degli spazi (sino a esempi estremi; si pensi ad uno dei parchi più vivi e belli di Berlino, cioè Templehof, un luogo dove non c’è nulla).

    Allo stesso tempo, però, questi processi spontanei si sono trovati non di rado ad avere problemi di sostenibilità e di continuità nel tempo. Proprio per questo, pur sapendo che istituzionalizzare significa inevitabilmente attuare forme di cristallizzazione dell’esperienza creativa, servono forme istituzionali capaci di valorizzare questi processi di effervescenza collettiva anche al fine di fare di esperienze locali di grande radicalità, esperienze più vaste e più trasformative. Occorre, dunque, cercare forme organizzative e regolamentative efficaci e abilitanti e, a volte, anche stimolare gli attori pubblici a supportare processi di upscaling/istituzionalizzazione.

    In conclusione, si tratta di cinque dialettiche (tra loro profondamente intrecciate), per maneggiare le quali occorre pragmatismo e capacità di adattarsi ai singoli contesti, attori e situazioni. Dialettiche che potrebbero essere anche viste come una sorta di strumenti d’azione, di attrezzi per una figura di rigeneratore urbano più consapevole e capace di porsi di volta in volta come facilitatore, mediatore, ricercatore, progettista, consulente o attivista. Una figura che lentamente si sta già creando, sia sul campo che in alcuni contesti formativi più aperti a questi mondi, che potrebbe supportare con ancora maggiore efficacia processi di rigenerazione urbana radicalmente sociali e innovativi.


    Questo contributo segue l’intevento di Elena Ostanel e prosegue una serie di approfondimenti sul complesso rapporto tra rigenerazione urbana e innovazione sociale. Vuole discuterne gli impatti socio-spaziali. Vuole raccontare pratiche virtuose e allo stesso tempo imparare da ciò che non ha funzionato. I docenti del Master URISE (Adriano Cancellieri, sociologo urbano, Paolo Venturi e Francesca Battistoni, economista e imprentrice sociale, Laura Colini, architetto e planner e Claudio Calvaresi, innovatore urbano e sociale) ci accompagneranno in queste settimane con le loro analisi e riflessioni. Buona lettura.

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