Tecnologia è umanità, l’intervento di Juan Carlos De Martin a Biennale Tecnologia

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    Questo articolo è stato originariamente pubblicato su Polito. Clicca il pulsante in basso per leggere il testo completo.

    La tecnologia è uno dei determinanti del futuro dell’umanità, allo stesso livello di importanza delle questioni ambientali, geopolitiche, economiche e socio-politiche. E’ sufficiente pensare a energia, trasporti, difesa, medicina e digitale per capire che è così.

    La tecnologia dovrebbe essere, quindi, incessantemente al centro di una discussione pubblica ampia e approfondita, dalle scuole e università al Parlamento, dai partiti politici ai media. Per identificare bisogni, per stabilire priorità, per favorire la ricerca di soluzioni, per saggiare le conseguenze economiche, sociali e culturali delle varie opzioni, per decidere se, quando e in quale forma mettere in campo una determinata tecnologia, per capire come assicurare tecnologie utili per la collettività. Insomma, per riflettere politicamente sulla tecnologia.

    Sarebbe logico che ciò capitasse, soprattutto in democrazia. Tuttavia, salvo sporadiche eccezioni, non capita. Non che si parli poco di tecnologia: se ne parla e anche molto. Ma sono riflessioni in larga parte frammentate in ambiti sconnessi tra loro. Come nella parabola buddista, monaci ciechi toccano un elefante, ma solo la coda, una zampa, una zanna, la proboscide. Nessuno tocca altre parti del corpo dell’elefante e quindi nessuno arriva a capire di avere a che fare con un tutto, con, appunto, un elefante. Quindi sui media si celebra (o critica) l’ultimo modello di smartphone o si paventa – da almeno sessant’anni – la fine del lavoro, i tecnici pensano a rendere più efficienti le tecnologie esistenti a prescindere dalle conseguenze di tale aumento di efficienza, i filosofi si interrogano su quanto la tecnica sia più o meno fuori controllo (o, all’opposto, via per realizzare il paradiso in terra), gli economisti si occupano di come favorire e far fruttare l’”innovazione”, e così via per silos. Silos che tendono a polarizzarsi in “apocalittici” e “integrati”, in entusiasti e pessimisti, ma conservando tutti la tendenza a dare per scontata una premessa fondamentale, ovvero, che la tecnologia in qualche modo capiti. Di conseguenza non si ritiene ci sia un pressante bisogno di riflettere in maniera ampia sulla tecnologia: per gli entusiasti perché tanto ogni evoluzione tecnologica è per definizione un progresso, per i pessimisti perché tanto ormai la tecnica è fuori controllo e “solo un dio ci potrà salvare”. Quindi, perché mai fare la fatica di riflettere sulla tecnologia mettendo insieme saperi differenti? E – soprattutto – perché mai riflettere politicamente sulla tecnologia?

    Note

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