Per combattere la ‘dottrina invisibile’ del neoliberismo dobbiamo creare una nuova storia

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    Un’ideologia tossica basata su competizione e individualismo sta dominando il mondo. Solo una visione positiva può sostituirla, una nuova narrazione che riavvicini le persone alla politica e tracci un percorso verso un futuro migliore ma prima ancora sostenibile. Un estratto da Riprendere il controllo (Treccani) di George Monbiot

    Le politiche neoliberiste sono ovunque gravate dalla contraddizione ideologica. Non solo le banche, ma anche le imprese private ora incaricate di provvedere ai servizi pubblici sono ormai diventate too big to fail (troppo grosse per lasciarle fallire).
    Neppure nelle democrazie più degradate si può consentire il crollo dei servizi essenziali. Lo Stato deve intervenire a sostenerli quando rischiano il collasso. Le imprese si accaparrano i profitti, lo Stato si accolla il rischio.

    L’effetto forse più pericoloso del neoliberismo, però, non sta nelle crisi economiche di cui è causa, bensì in quelle politiche. Mentre il campo d’azione dello Stato si restringe, anche le possibilità che abbiamo di cambiare la nostra vita con il voto si riducono. Di contro, sostiene la teoria neoliberista, la gente può esercitare la sua scelta spendendo.

    Purtroppo, però, qualcuno ha da spendere più di altri: nella grande democrazia dei consumatori e degli azionisti i voti non sono equamente distribuiti. Il risultato è la perdita di potere per le classi povere o medie.

    Mentre i partiti politici di ogni ispirazione adottano politiche neoliberiste pressoché identiche, alla perdita di potere economico si aggiunge la perdita di diritti politici.

    Se l’ideologia dominante impedisce ai governi di intervenire sulle condizioni sociali per favorire la giustizia sociale, i governi non possono più rispondere ai bisogni dell’elettorato. La politica diventa irrilevante per la vita delle persone: il dibattito si riduce a chiacchiericcio di un’élite lontana. Le persone che non trovano più risposte nella politica si rivolgono a un’antipolitica virulenta, in cui i fatti e le argomentazioni sono sostituiti da slogan, simboli ed emozioni.

    L’esito paradossale è che la reazione alla drastica restrizione delle possibilità di scelta politica fa emergere proprio il tipo di persone che Hayek (Friedrich von Hayek, ndr.) adorava.

    Donald Trump, che ha vinto le elezioni presidenziali americane nonostante – o forse proprio grazie a – un’incapacità di articolare un insieme di politiche coerenti, non è un neoliberalista classico, ma è la perfetta incarnazione dell’“indipendente” di Hayek: il beneficiario di una ricchezza ereditata, esente dai vincoli della morale comune, le cui grevi inclinazioni aprono una strada che altri potrebbero seguire.

    Dottrina invisibile

    L’aspetto più notevole del neoliberismo è il fatto che ancora esista. I suoi palesi e devastanti fallimenti non lo hanno scalzato. Quando il sistema incentrato su questa ideologia è crollato, l’ideologia è sopravvissuta.

    Si è spinta, anzi, verso ulteriori estremi. I governi hanno sfruttato le crisi del neoliberismo sia come pretesto sia come opportunità per tagliare le tasse, privatizzare i servizi pubblici rimasti, aprire squarci nella rete degli ammortizzatori sociali, liberando le imprese dai vincoli e imponendone di nuovi ai cittadini. Lo Stato autolesionista affonda i denti in ogni organo del settore pubblico.

    Due sono le ragioni fondamentali di questa sbalorditiva sopravvivenza del neoliberismo. La prima è che, per effetto del suo anonimato, fino a poco tempo fa non riuscivamo a riconoscerlo come sistema di pensiero e, ancor meno, come ideologia responsabile di molte delle crisi che ci troviamo di fronte. Come è accaduto nel corso della storia con altri sistemi onnipervasivi, lo vedevamo semplicemente come l’ordine naturale delle cose.

    I fautori del neoliberismo ce l’hanno messa tutta per occultare la sua meccanica. La dottrina invisibile della mano invisibile è propugnata da sostenitori invisibili. L’Institute of Economic Affairs, intervenuto più volte e con forza sui media contro l’imposizione di ulteriori vincoli all’industria del tabacco, riceveva i finanziamenti occulti della British American Tobacco sin dal 1963.

    Charles e David Koch, due degli uomini più ricchi del pianeta, sono i fondatori di Americans for Prosperity, l’organizzazione che ha dato origine al cosiddetto movimento del Tea Party.

    Nel fondare uno dei suoi think tank, Charles Koch segnalava che «al fine di evitare critiche indesiderate, il modo in cui l’organizzazione è controllata e diretta non dovrebbe essere troppo pubblicizzato».

    Non possiamo contrastare una narrazione finché non siamo in grado di darle un nome.

    Margaret Thatcher aveva ragione

    La seconda ragione della notevole longevità del neoliberismo sta nell’assenza di storie antagonistiche. Dopo che l’economia del laissez faire ebbe prodotto la catastrofe del 1929, John Maynard Keynes concepì un’esaustiva teoria economica per sostituirla, con il supporto di una potente storia di riscatto e redenzione.

    Quando negli anni Settanta la gestione keynesiana della domanda incontrò i suoi limiti, c’era un’alternativa già pronta: il neoliberismo. Nel 2008, invece, nel momento del collasso di quest’ultimo, i partiti politici non hanno fatto che confermare la massima della Thatcher: in effetti, non c’era alternativa.

    I partiti di governo e i principali partiti di opposizione hanno risposto in tre modi alla crisi causata dal neoliberismo. Alcuni hanno cercato di rafforzare e di estendere l’applicazione della dottrina.

    Altri hanno cercato di ammorbidirla, proponendo una versione più moderata del pensiero che ci ha precipitato in questa situazione. Altri ancora sono andati in pellegrinaggio sulla tomba di lord Keynes, ne hanno riesumato la salma e hanno cercato di rianimarla.

    Il Grande crollo ha smascherato i partiti nella loro sprovvedutezza, privi com’erano delle narrazioni unificanti da cui dipendono i movimenti politici

    Il Grande crollo ha smascherato i partiti nella loro sprovvedutezza, privi com’erano delle narrazioni unificanti da cui dipendono i movimenti politici. Nei trent’anni dell’era neoliberista non sono riusciti a sviluppare una nuova storia e neanche a riconoscere che ce n’è bisogno.

    Questo fallimento, nelle sue dimensioni e nei suoi effetti, è pari a quelli del neoliberismo e contribuisce a spiegare l’implosione dei partiti politici tradizionali in tutto il mondo.

    Non basta opporsi a un sistema corrotto. E non basta neanche ingraziarselo. È necessaria un’alternativa coerente, che in quel momento è mancata.

    Con tutti i suoi difetti e fallimenti, il neoliberismo ha comunque una lezione politica da impartirci, la più importante di tutte.
    Per cambiare il mondo, bisogna raccontare una storia: una storia di speranza e di trasformazione che racconti ciò che siamo.


    Tratto da George Monbiot, Riprendere il controllo, Treccani 2019
    © George Monbiot 2017
    Tutti i diritti riservati
    Traduzione di Gianni Pannofino

    Immagine di copertina da Unsplash

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