Si avverte qualcosa di goffo, di ingessato e perfino di “superato” nella presentazione con cui Mark Zuckerberg ha annunciato il rebranding di Facebook in Meta. Nel video Zuckerberg entra in un futuro già visto, prevedibile, che ripete gli stereotipi della fantascienza, gli immaginari sedimentati del cinema e dei videogiochi. La novità non emana alcun senso di innovazione, non c’è traccia di uno scatto evolutivo, semmai il tentativo, un po’ patetico e un po’ inquietante, di evadere da un mondo che la sua stessa azienda ha contribuito a rendere inabitabile. Questa realtà virtuale “passata” e prevedibile mi ha fatto pensare, per contrasto, alla capacità di immaginare il futuro – oltre ogni stereotipo e contro ogni futurologia tecnologica – di uno dei più significativi scrittori viventi, Ted Chiang.
In un racconto del 1998 intitolato Story of Your Life – dal quale nel 2016 Denis Villeneuve ha tratto il film Arrival – Chiang immagina il contatto con una civiltà aliena che ha una concezione del tempo completamente diversa rispetto a quella umana: per loro il tempo è una presenza, un’intensità non lineare, in cui passato, presente e futuro convergono, si implicano reciprocamente e si dispiegano simultaneamente. Questa idea del tempo si riflette nell’organizzazione del racconto, che intreccia e sovrappone i piani temporali, e soprattutto dà forma ai semiogrammi utilizzati dagli eptapodi per comunicare: una scrittura i cui segni non corrispondono a suoni o a concetti ma a eventi, in cui ogni linea disegna la curva di una diversa timeline. Una scrittura e un pensiero così fatti descrivono un’esperienza del mondo impensabile, stravolta, in cui le categorie con le quali ci situiamo nel tempo e nello spazio diventano insignificanti, sostituite da una compresenza di tempi, di mondi, di idee.
Ecco un’autentica idea di futuro come evento inatteso che scardina le categorie con cui ci diciamo il reale. Molto più plausibile del metaverso di Zuckerberg: gli eptapodi siamo noi, alieni a noi stessi; le nostre giornate sono una sequenza di micromutazioni, di trasformazioni, spostamenti, alterazioni della linea del tempo, che non hanno bisogno di ricorrere a occhialoni neri e a una versione malamente aggiornata di Second Life.
Attraverso la scrittura Ted Chiang ha creato uno stato di coscienza diverso da quello umano, e uno stato di conoscenza in cui si accetta una mutazione del Dna dei nostri saperi, un salto quantico rispetto alle idee correnti. La sua scrittura funziona come funzionano i semiogrammi degli eptapodi: i suoi racconti avvengono in un mondo già mutato, in cui niente esiste più come ricordavamo. In cui l’essere umano è scavalcato e superato da tutte le parti, perché il mindset umano, il modo umano di conoscere il mondo, si è scoperto troppo ristretto, limitato, per comprendere le potenzialità eccedenti che la concatenazione degli esseri viventi e degli strumenti tecnologici sta generando.
Il metaverso di Zuckerberg sembra voler rassicurare sul fatto che cambiamo tutto, sì, ma perché non cambi nulla; continueremo a vivere e a consumare come abbiamo sempre fatto, solo con outfit stravaganti e sfondi inverosimili. L’immaginazione di Chiang invece implica una profonda alterazione dei nostri schemi mentali e cognitivi. Nei racconti di Chiang non c’è alcuna forma di resistenza, non c’è alcuna paura moralistica – anche questa tipica della fantascienza distopica – per il mutamento che investe l’umanità. Anzi c’è una sorta di sguardo profondo di specie capace di cogliere il fatto che l’umanità è sempre stata in transizione, che ogni sua autentica conquista è l’accettazione di una mutazione, di una messa in discussione dei limiti di ciò che è umano. Tanto più che Chiang descrive un superamento dell’umano che avviene per via umana, interna, immanente; che dipende da scatti, aperture e conquiste mentali, non dall’innesto di tecnologie esterne. La tecnologia semmai è la conseguenza di uno sfondamento cognitivo.
Gli ologrammi di Zuckerberg, nel confronto coi personaggi di Chiang, sembrano provenire dal passato
Chiang ci pone di fronte al fatto compiuto: i confini attuali di conoscenza, cognizione, potenza di calcolo, capacità di interazione, integrazione interindividuale, sono stati irreversibilmente oltrepassati. La sua non è una letteratura post-umana in senso classico, non è una questione di metamorfosi, innesti, trasformazioni cyborg, virtualizzazione dell’esperienza. Descrive invece un’evoluzione cognitiva, di conoscenze e di percezione dell’umano, che è avvenuta all’interno dell’umano e gli fa guardare il mondo con occhi non più vitruviani, non più euclidei, senza indossare costosi occhialoni. È una letteratura scritta dopo una trasformazione che ha intaccato le strutture cerebrali, che ha dischiuso agli umani nuove dimensioni dell’esistenza, a prescindere dalle protesi tecnologiche.
Anche dal punto di vista letterario Chiang è uno scrittore del futuro: la sua non è una letteratura dello stile, ma una letteratura del pensiero, tutta fondata sui concetti e sulle emozioni culturali. La creazione si sprigiona da un esercizio implacabile dell’intelligenza, e questo segna una differenza decisiva rispetto alla letteratura del passato: lo scrittore, per il critico Roland Barthes, era ottuso, viveva nell’ottusità del suo impegno formale, e dall’interno di questa sorta di cecità, di ignoranza visitata dalla grazia, creava forme. Chiang salta fuori da questa ottusità e sceglie una letteratura sapiente, sapiente perché assorbe saperi altri, conoscenze – scientifiche, antropologiche, tecnologiche – senza le quali la scrittura dei suoi racconti non sarebbe possibile. Informatica, ingegneria, neuroscienze, meccanica, geologia, architettura, idraulica: lo scrittore non è più semplicemente un conoscitore della vita, degli abissi del cuore umano, è un conoscitore di ciò che all’umano fanno i nuovi saperi che lo descrivono e lo informano. Ed è proprio per questa scrittura informata che Chiang è uno scrittore del futuro, che scrive come scriverebbe un organismo alieno, che rilascia i suoi semiogrammi, impronta di un pensiero oltreumano.
La letteratura aiuta a comprendere il mondo quando riesce a generare questo tipo di scarti, a concretizzare l’impensato. E la fantascienza in un mondo già fantascientifico non è significativa perché interroga l’accelerazione tecnologica, le meraviglie strumentali; lo è se interroga la possibilità di mettersi a pensare, a sentire, a immaginare, a scrivere come esseri del futuro. Gli ologrammi di Zuckerberg, nel confronto coi personaggi di Chiang, sembrano al contrario provenire dal passato.
In Story of Your Life la capacità di pensare il tempo simultaneamente consente alla protagonista di superare ed elaborare un lutto, la tragedia più specificamente umana: la reversibilità del tempo toglie significato alla morte, colloca i momenti della vita in uno stato di permanenza. Analogamente, pensarci nel futuro, capire con lo sguardo e i saperi degli esseri del futuro, ci può aiutare a superare le difficoltà e le contraddizioni del presente. Tutti i dilemmi che appaiono insolubili visti da qui, attraverso la lente delle conoscenze consolidate – l’etica delle tecnologie, la convivenza globale, la democrazia, la crescita e la sostenibilità, le migrazioni e le disuguaglianze – possono sciogliersi assumendo una prospettiva che sia quella della mutazione. Bisogna inventarsi dei semiogrammi, e leggerci dentro le soluzioni. Uscire dal pensiero umano, sì, ma uscire con altrettanta decisione da quella replica posticcia della realtà umana che è il metaverso di Zuckerberg: diventare alieni a noi stessi, e scoprire che dentro ciò che ci opprimeva stava già inscritta la liberazione.