Materie oscure / Dark Matters. Sulla sorveglianza della nerezza

Pubblichiamo un estratto da “Materie oscure / Dark Matters. Sulla sorveglianza della nerezza” di Simone Browne. Edito da Meltemi editore. Traduzione di Ippolita. Collana Culture radicali. Ringraziamo l’autrice, l’editore e Ippolita per la disponibilità.

 

Biometria come marchiatura

Paul Gilroy osserva che laddove in precedenza l’idea di razza veniva prodotta come una serie di caratteristiche anatomiche, e dunque si credeva che una sorta di verità certa e necessaria fosse scritta sul corpo, oggi, le tecniche di osservazione e micro-osservazione che fanno parte del regime di descrizione del corpo tramite ciò che si vede (ad esempio la genomica, le ecografie, le tecniche di neuroimaging, la tomografia computerizzata) stanno mettendo a nudo, a livelli sempre più intimi, ciò che prima non era visibile1P. Gilroy, Scales and Eyes: ‘Race’ Making Difference, in Eight Technologies of Otherness, 190-196, Routledge, 1997, pp. 190–196.. La produzione del discorso razziale altamente mediata attraverso il metodo scientifico è stata ulteriormente incrementata da tecnologie che hanno come obiettivo osservare ogni particolare infinitesimale. 

La costruzione del discorso razziale mediata dal metodo scientifico si basava sulle produzioni culturali, sulle rappresentazioni, sul mito e sul progetto coloniale, le cui intenzioni erano “far sì che il corpo muto rivelasse la verità della sua identità razziale”2P. Gilroy, Against Race: Imagining Political Culture beyond the Color Line, Harvard University Press, 2001, p. 37.. Gilroy suggerisce che “le pratiche di osservazione che sono state associate al consolidamento dell’odierna nano-scienza potrebbero anche facilitare lo sviluppo di un umanesimo inequivocabilmente post-razziale”. Il mio intervento qui non intende negare questa svolta potenzialmente progressista che Gilroy ci segnala, ma vuole sostenere che, a differenza dei progressi tecnologici, ad esempio, in tecniche come l’ecografia o in altre tecnologie di imaging corporeo, in alcune tecnologie dell’informazione biometrica e nelle relative “pratiche di osservazione” questo umanesimo potenzialmente postrazziale viene ignorato e soppresso. E invece, proprio con la biometria sono i momenti di osservazione, di calibrazione e della sua applicazione a rivelarsi talvolta come razzializzanti.

Se, come suggerisce Gilroy, l’impresa pseudoscientifica della ricerca della verità nella differenza razziale può essere pienamente compresa attraverso il concetto fanoniano di epidermizzazione3P. Gilroy, Scales and Eyes: ‘Race’ Making Difference, in Eight Technologies of Otherness, 190-196, Routledge, 1997, p. 195., come può questo concetto essere impiegato quando il corpo è ridotto dalla biometria? Suggerisco di pensare al concetto di epidermizzazione digitale se consideriamo ciò che accade quando alcuni corpi sono convertiti in codice digitalizzato, o almeno quando si tenta di rappresentarli in questo modo. 

Con codice digitalizzato mi riferisco alle possibilità di identificazione che si dice vengano offerte da alcune tecnologie informatiche biometriche, dove gli algoritmi sono i mezzi computazionali attraverso i quali il corpo, o più specificamente parti, pezzi e, sempre più spesso, performance del corpo sono matematicamente codificati come dati, creando modelli unici che i computer possono poi ordinare affidandosi a un database di ricerca (identificazione online o uno-a-molti/ identificazione 1:N/ rispondendo alle domande: Chi sei? Sei iscritto in questo database?), o per verificare l’identità del portatore del documento all’interno del quale è codificato il valore biometrico unico (verifica offline o uno-a-uno/ 1:1/ rispondendo alla domanda: Sei chi dici di essere?). 

Le tecnologie biometriche più diffuse includono il riconoscimento facciale, le scansioni dell’iride e della retina, la geometria della mano, i modelli delle impronte digitali, i modelli vascolari, l’andatura e altri riconoscimenti cinestetici e, sempre più spesso, il DNA. La tecnologia biometrica viene utilizzata anche per l’automazione (automazione one-to-none/ 1:0/ risposta alla domanda: c’è qualcuno?), ad esempio con le webcam dei computer che utilizzano software di tracciamento del movimento o con rubinetti, toilette e asciugamani touchless che utilizzano i sensori a infrarossi o capacitivi per rilevare la presenza e i movimenti dell’utente. Nel caso di queste tecnologie, l’uso della biometria non è finalizzato al riconoscimento o alla verifica dell’identità dell’utente, ma piuttosto al riconoscimento della sua presenza o alla consapevolezza che qualcuno, o almeno una parte di qualcuno, è lì, in un modo o nell’altro.

La biometria è una tecnologia di misurazione del corpo vivente. L’applicazione di questa tecnologia è nelle pratiche di verifica, identificazione e automazione che consentono al corpo di funzionare come prova. Le identità, in queste pratiche di digitalizzazione, devono essere pensate anche attraverso la loro costruzione all’interno dei discorsi, intesi, seguendo Hall, come “prodotti in specifici siti storici e istituzionali all’interno di specifiche formazioni e pratiche discorsive, attraverso specifiche strategie enunciative”4S. Hall, Introduction: Who Needs Identity?, in Questions of Cultural Identity, a cura di S. Hall, P. Du Gay, 1–17, Sage, 1996, p. 4.. La nozione di corpo reso fuori luogo, o reso ontologicamente insicuro, è utile quando si pensa ai momenti di contatto con le sedi istituzionali, ad esempio nell’attraversamento delle frontiere internazionali e negli spazi di frontiera interni allo Stato, come la cabina elettorale, l’ufficio di assistenza sociale, la prigione e altri luoghi o situazioni in cui l’identificazione, e sempre più spesso le informazioni biometriche, sono richieste per dire la verità di e per i corpi muti. Questi luoghi e situazioni producono, e spesso necessitano, un’insicurezza ontologica, per la quale “tutt’intorno al corpo regna un’atmosfera di indubbia incertezza”5 F. Fanon, Pelle nera, maschere bianche, Edizioni ETS, 2015, p. 110.. Questa atmosfera di indubbia incertezza fa parte di ciò che Lewis Gordon definisce “la problematica della soggettività negata”. A questo proposito, vale la pena citare Gordon in dettaglio:

L’intuizione di Fanon, condivisa da DuBois, è che non c’è nessuna soggettività interiore laddove non c’è l’essere, laddove non c’è nessuno, e laddove non c’è un legame con un’altra soggettività in qualità di protetto, guardiano o proprietario, allora tutto è permesso. Poiché di fatto c’è un Altro essere umano nella relazione negata6L. Gordon, Is the Human a Teleological Suspension of Man? Phenomenological Exploration of Sylvia Wynter’s Fanonian and Biodicean Reflections, in After Man, Towards the Human: Critical Essays on the Thought of Sylvia Wynter, Ian Randle, 2006, p. 239., come dimostra ad esempio il razzismo anti-nero, ciò significa che c’è una soggettività che sta esperendo un mondo in cui, contro di lei, tutto è permesso7 Ibidem..

 

 

Per Gordon, la problematica della soggettività negata è una violenza con una propria struttura in cui “tutto è permesso”. Questa violenza strutturata è prodotta da una determinata normatività bianca, dunque la bianchezza è resa normativa e, in tal modo, priva di razza, o, come la definisce Goldberg, “razzialmente invisibile”8D.T. Goldberg, The Racial State, Malden, Blackwell, 2002, p. 83.. Quella che Gordon chiama con acume la “nozione di prototipicità bianca” è la condizione abilitante della violenza strutturale della “dialettica del riconoscimento”9L. Gordon, Is the Human a Teleological Suspension of Man? Phenomenological Exploration of Sylvia Wynter’s Fanonian and Biodicean Reflections, pp. 239-240.. Questa bianchezza prototipica è un aspetto della logica culturale e tecnologica che informa molte istanze delle pratiche biometriche e dell’economia visiva del riconoscimento e delle validazioni che sono integrate in tali pratiche. 

Per epidermizzazione digitale si intende l’esercizio di potere operato dallo sguardo disincarnato di alcune tecnologie di sorveglianza (ad esempio, i lettori delle carte d’identità e le macchine per la verifica dei passaporti elettronici) che possono essere impiegate per compiere un’operazione di alienazione del soggetto, producendo una verità sul corpo razziale e sulla sua identità (o sulle sue identità) nonostante le rivendicazioni del soggetto stesso.

[…]

La bianchezza prototipica nella biometria è un’estensione di quella “cultura generale della luce” che Richard Dyer descrive a proposito della fotografia, del cinema e dell’arte10R. Dyer, White, Routledge, 1997, p. 103.. Si tratta di una cultura in cui, come afferma Dyer, “le persone bianche sono centrali nella misura in cui sembrano avere un rapporto speciale con la luce”11Ibidem.. La logica della bianchezza prototipica è presente in maniera evidente nei primi modelli di tecnologia di scansione dell’iride, che si basavano sull’acquisizione di immagini in scala di grigi a 8 bit, in uno spettro di 256 sfumature di grigio che lasciava le iridi molto scure “raggruppate a una delle estremità”12S. Nanavati, M. Thieme, R. Nanavati, Biometrics: Identity Verification in Networked World, cit., p. 37.. La distribuzione delle 256 sfumature di grigio di questo spettro è resa possibile solo attraverso un inequivocabile binarismo bianco/nero: estremi contrapposti che ancorano lo spettro, lasciando la materia oscura non misurabile tutta concentrata a un’estremità. La bianchezza prototipica non può essere compresa senza questa materia oscura tutta raggruppata a un’estremità dello spettro, e dunque senza quei corpi e quelle parti del corpo che non riescono a essere registrati13 I termini “materia oscura” e “bianchezza prototipica” sono presi da Is the Human a Teleological Suspension of Man? di L.R. Gordon.

[…]

È qui che si manifesta la capacità della sorveglianza di dare luogo a varie forme di razzializzazione. Ed è particolarmente evidente quando le tecnologie di riconoscimento facciale sono calibrate in modo da rilevare le corrispondenze solo all’interno di gruppi razziali e di genere specifici, portando a tassi di mancata registrazione molto elevati per alcuni gruppi, come abbiamo visto in precedenza. Questo tipo di applicazione delle tecnologie di sorveglianza porta a farsi delle domande sull’idea che il genere e la razza possano essere realmente definiti e su come e se le persone non binarie, non conformi al genere, di razza mista, intersessuali o trans rientrino in questa equazione algoritmica. L’algoritmo che determina la razza e il genere semplicemente non le prende in considerazione.

Come emerge chiaramente dai rapporti di ricerca e sviluppo sopracitati, queste tecnologie partono dal presupposto che le categorie dell’identità di genere e della razza siano ben definite, e che una macchina possa essere programmata per assegnare categorie di genere o determinare che significati debbano assumere i corpi e le parti del corpo. Tali tecnologie possono poi essere applicate per decidere chi ha accesso alla libertà di circolazione, alla stabilità e ad altri diritti […]. 

 

 

Ippolita è un gruppo di ricerca indipendente che si occupa di cultura digitale, critica della rete e tecnopolitica. Autore collettivo di numerosi libri, tra cui Anime elettriche (2016), Tecnologie del dominio (2017) ed Etica hacker e anarco-capitalismo (2019).

 

 

Immagine di copertina di Clay Banks su Unsplash