Il mito dei nomadi digitali

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    “Scegli il mondo come ufficio”, “vivi viaggiando”, “lavora da una spiaggia” sono alcuni degli slogan con cui il nomadismo digitale è stato raccontato al nostro secolo. Il primo utilizzo dell’espressione “nomade digitale” non è confermato. Le fonti sono concordi nell’individuare negli anni ’90 il periodo in cui il concetto cominciò a diffondersi, insieme con il massiccio sviluppo di internet. A questa dimensione di mondo interconnesso si adattava bene l’idea di poter lavorare un po’ ovunque, eppure nessuno si spingeva a pensare che si trattasse di una condizione specifica. Non erano tanto le persone ad essere nomadi, ma il loro lavoro che cominciava a mettere il naso al di fuori dell’ufficio.

    Internet è zeppo di letteratura sul tema: come diventare nomadi digitali, mete ideali per il nomadismo digitale, lavori per diventare nomadi digitali ma anche quanto guadagna un nomade digitale, sono solo alcune delle ricerche più frequenti degli utenti. Ma se non fosse una cosa bellissima, perché tante persone se ne occuperebbero?

    Rispetto al suo significato originale, il nomadismo digitale del nomadismo ha molto poco, se non gli estremi concettuali più idealizzati. Nulla che abbia a che vedere con le estensioni di significato, spesso negative, a cui questa condizione è associata. Il nomadismo digitale è una dimensione volontaria e controllabile. E non è neppure soggetta ad obblighi geografici: non ci sono regole che impongano uno spostamento perenne, proprio perché non ci sono le dinamiche antropologiche o economiche che portano alcuni popoli a spostarsi cronicamente. In effetti non ci sono molte regole, il che non implica che non ci siano questioni da affrontare.

     

    Immagine di copertina di Krišjānis Kazaks su Unsplash

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