Tutte le rivoluzioni di WikiLeaks, 15 anni dopo la sua nascita

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    Nel 2006, quindici anni fa, andava online per la prima volta WikiLeaks. Questo anniversario è significativo per diverse ragioni, alcune delle quali riguardano l’organizzazione di per sé, altre il giornalismo e altre ancora le evoluzioni della rete in un arco di tempo che – almeno in termini internettiani – è sterminato. WikiLeaks, anche dopo 15 anni di esistenza e attività, è ancora un animale di difficile definizione. Organizzazione per la trasparenza, produttrice di “atti di giornalismo” se non di giornalismo a tutti gli effetti, editrice e infrastruttura tecnica per la sicurezza del whistleblowing, WikiLeaks continua a rappresentare un unicum nel panorama delle “cose digitali” della nostra epoca e, in particolare, un unicum intrinsecamente ibrido, costituitosi attorno a tratti provenienti da sfere differenti: dall’hacking all’attivismo, dal giornalismo alla geopolitica.

    Andrew Chadwick, Professore di Comunicazione politica alla Loughborough University nel Regno Unito, ha inquadrato WikiLeaks in un’ottica che, almeno dalla prospettiva dei media studies, offre l’immagine multiforme dell’organizzazione: per Chadwick, infatti, WikiLeaks è il segno più lampante della natura ibrida del sistema mediatico contemporaneo. Secondo Chadwick, che ne scrive nel suoThe Hybrid Media System, il successo di WikiLeaks – in particolare in relazione ai leak maggiori del 2010, quelli forniti da Chelsea Manning – è dovuto proprio alle sue dinamiche interdipendenti, divise tra la capacità di pubblicare, produrre e mobilitare, facendo convergere pratiche mediatiche tradizionali e altre più nuove.

    In un’ottica ispirata dalla sociologia di Pierre Bourdieu e al suo concetto di “campo”, Scott Eldridge ha trattato dell’impatto, l’influenza e dell’ingresso di WikiLeaks nella sfera del giornalismo contemporaneo utilizzando il concetto di “interloper”, o di “instruso”, nella sua traduzione italiana più efficace. WikiLeaks, in questa ottica, rappresenta una organizzazione che, dalla periferia e dai confini di quello che è istituzionalmente ritenuto il “giornalismo”, si è fatta strada verso il centro del campo, mettendone in discussione gli assunti. E ottenendo una posizione di tale influenza che, pur per quanto disruptive o controversa, ha ben pochi altri esempi paragonabili.

    Benedetta Brevini, Professoressa presso la University of Sydney, ha curato la più recente e completa literature review dedicata a WikiLeaks da cui emergono interessanti spunti per identificare le diverse aree in cui WikiLeaks ha esercitato la sua influenza nei suoi primi 15 anni di vita. La mole di letteratura accademica, e la sua varietà in termini di aree interessate, è certamente un indicatore chiaro di quanto WikiLeaks, piaccia o meno, non possa assolutamente essere considerato come un episodio marginale nelle evoluzioni del giornalismo – ma anche della sfera pubblica nel complesso – contemporaneo.

    In primis, WikiLeaks ha inaugurato l’era dei leaks, delle fughe di notizie in formato digitale che sono state alla base di alcuni tra i maggiori casi giornalistici dell’ultimo decennio e che hanno contribuito direttamente a mostrare l’impatto sociale di alcuni aspetti della digitalizzazione e, nel complesso, della tecnologia. Se WikiLeaks è stata la prima ad aprire quella fase, non si possono non citare anche il caso Snowden e Cambridge Analytica nel medesimo elenco, oltre alla serie di leak incentrate sulle economie offshore – e i “Panama Papers” in particolare – che, pur non trattando direttamente di temi tecnologici, sono comunque generati da pratiche e dinamiche giornalistiche simili e trovano proprio nella digitalizzazione le ragioni del loro impatto e peso, anche in termini di terabyte.

    Con WikiLeaks, Julian Assange è certamente stato il primo a comprendere l’efficacia dei leak su larga scala nel sollevare questioni, portandole all’attenzione del pubblico sulla base di una mole di evidenze e prove, in forma di dati, vastissima. Per quanto la pratica dei leak abbia avuto dei precedenti più che illustri – si pensi ad esempio agli Stati Uniti negli anni ’70 con il caso esemplare dei “Pentagon Papers” – è certamente con l’apporto del digitale che si sono visti gli esempi più dirompenti su un piano quantitativo e di impatto mediatico.

    Da un punto di vista tecnico, inoltre, WikiLeaks ha anche dimostrato e in modo pionieristico quanto l’utilizzo degli strumenti di crittografia forte e della information security per finalità informazionali potesse essere efficace: il sistema di inoltro documenti che ha consentito a WikiLeaks di ottenere i contenuti delle sue maggiori rivelazioni, infatti, ha a tutti gli effetti brevettato una pratica che, da radicale, si è ora progressivamente normalizzata anche presso i maggiori attori del giornalismo internazionale, un tema che affronto nel mio ultimo libro Digital Whistleblowing Platforms in Journalism. Encrypting Leaks. All’oggi grandi testate come, tra le altre, New York Times, Guardian, Financial Times o Washington Post tutte hanno lanciato le loro piattaforme di whistleblowing – usando software come SecureDrop o GlobaLeaks – replicando, almeno su un piano di principio, l’approccio di WikiLeks.

    Allargando lo spettro anche oltre il giornalismo e le sue pratiche, è con Julian Assange che le istanze e la filosofia dei cypherpunk – come l’uso della crittografia come pratica di resistenza – hanno iniziato a uscire dalle cerchie dell’attivismo digitale, per iniziare a diventare temi politici a tutti gli effetti, ruolo che ricoprono certamente oggi e che i dibattiti odierni attorno a sicurezza, privacy e data justice certamente confermano. Scrivendo proprio dell’evoluzione storica dei discorsi attorno alla crittografia su Internet Histories, Z. Isadora Hellegren ha fatto notare come proprio il successo globale di WikiLeaks attorno al 2010 sia coinciso con una rivitalizzazione di questi temi e con una espansione della loro visibilità in altri settori, e il giornalismo in primis.

    WikiLeaks ha quindi svolto un ruolo di catalizzatore di questi fenomeni e di questi temi che, coincisi cronologicamente anche con la complessiva “rivolta” del biennio 2010-2012 si sono poi stagliati come cruciali e fondamentali per la comprensione del nostro contemporaneo. In tempi più recenti, e in massima evidenza attorno al 2016, WikiLeaks è stata anche al centro di ampie controversie – ancora una volta centrali per lo spirito del tempo di quella fase e per i discorsi pubblici contingenti – per l’uso politico del leaking, della mal-informazione e la possibilità che le medesime pratiche virtuose di WikiLeaks potessero essere “weaponized” per finalità non certo trasparenti.

    Siamo, insomma, nell’alveo del “Russiagate”, entro il quale WikiLeaks e Assange hanno avuto una parte importante. Per quanto il ruolo di WikiLeaks in quel contesto sia spesso esagerato e vittima di narrative giornalistiche propagandistiche, come fatto notare in un recente paper per l’International Journal of Communication da Stephen M. E. Marmura, è altrettanto vero che l’operato di WikiLeaks in quel contesto ha fatto sollevare importanti questioni etiche e di trasparenza che richiedono una riflessione ad ampio raggio, che deve necessariamente andare a toccare temi e questioni che si inseriscono tra le “cose del giornalismo” per la prima volta. Insieme a Colin Porlezza, Professore presso l’Università della Svizzera italiana, abbiamo cercato di contribuire a questo dibattito in un recente paper pubblicato da Journalism Studies.

    Infine, bisogna tenere da conto anche le vicende giudiziarie di WikiLeaks e di Assange, forse il tema più visibile e dibattuto anche a livello mediatico e soprattutto in Italia. Non è questa la sede per analizzare i casi giudiziari che coinvolgono Assange e la sua organizzazione da oltre un decennio e che nemmeno il blocco all’estradizione negli Stati Uniti deciso da un tribunale del Regno Unito lo scorso gennaio è riuscito a chiudere. Per quanto un nutrito numero di organizzazioni per i diritti umani e per la libertà di espressione abbiano chiesto la chiusura del caso statunitense contro Assange, la neo-insediata Amministrazione Biden sembra indirizzata a portarlo avanti con il fine di vedere Assange estradato negli Usa.

    Il caso giudiziario di Assange e le accuse di spionaggio rivolte alla sua organizzazione sono con ogni probabilità il più importante banco di prova per la libertà del giornalismo nel prossimo futuro e sarà destinato a stabilire un precedente il cui peso è purtroppo palese, come ribadito di recente dal Committee To Protect Journalists, una delle più importanti organizzazioni internazionali per la libertà del giornalismo. Anche in questa ottica legale, che defnirà il perimetro di libertà degli atti di giornalismo nella nostra epoca, sarà WikiLeaks a definire il futuro verso cui siamo indirizzati.

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