Corporeità urbane digitali

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    “The Body is obsolete”, fin dagli anni Ottanta Stelarc abita il corpo come un luogo dove i sensi sentono all’ennesima potenza. Sentire con il braccio, cioè quando un orecchio fa bella mostra di sé sottopelle nell’avambraccio è più di una metafora, è forse un dispositivo allegorico che innesca non tanto immaginari fantascientifici bensì possibilità di divenire del corpo e dell’umano che all’alba del XXI secolo non possiamo esimerci dal constatare.

    È come stare nel cuore di un vulcano attivo (cfr. Into the Inferno, Herzog 2016), magma di carne, metallo e dati che interpretano la nostra condizione in un’era di passaggio.

    Il corpo è obsoleto e assente (“obsolete and absent bodies”), non è dove ce lo aspetteremmo se lo ricerchiamo e lo indaghiamo collegato unicamente alla sua tradizione umanista e occidentale, al contrario lo troviamo alla ribalta di una nuova scena, quella ipermediale dove esso è connesso, aumentato, transgenere, erotizzato e perenne.

    Zombie walk, raduni dance di vampiri, persone senza genere e fitte schiere di neo-automi sentimentali con la smania della fotografia per catturare lo sguardo dell’altro su di sé, sedurre, testimoniare di esistere e superare gli antichi confini della modernità, si aggirano accanto alla generazione di chi li ha preceduti stabilendo affinità connettive (Vincenzo Susca 2016).

    Come sostiene da tempo Alberto Abruzzese, siamo dinanzi al Crepuscolo dei Barbari (2015), in quel “punto zero” (ib.) dove avvertiamo forte e non senza dolore il tradimento dei valori dell’Occidente e l’avvento dei nuovi barbari, due epifenomeni socio-antropologici che mettono in discussione la divinizzazione dell’individuo moderno e salutano l’emersione di un’umanità tutta da esplorare e accompagnare nella sua deriva tra smaterializzazione del sé e “divina invasione” (Philip K. Dick 1981) dell’altro – di ogni Altro – in sé.

    Lunga vita alla nuova carne! L’eco di Max Renn nel momento della orribile mutazione (Videodrome, 1983) giunge fino all’alba del nuovo Millennio, egli la teme, perché ne avverte la devastante pervasione, ma non può che accoglierla e, sacrificandosi, inneggiare al suo avvenire glorioso. Il suo avvenire è il nostro oggi, è il futuro che ci ha atteso. Un futuro visualizzato dal cinema, dalla moda, dai videoclip musicali, dai videogiochi, dalle fitte maglie di comunicazione e dai mezzi di trasporto – l’hoverboard di Ritorno al Futuro II e quello che si aggira nelle nostre strade.

    Di questa nuova carne, longeva e sensuale, che non intende rinunciare a desideri e sguardi, consustanziale della scena in rete e nel quotidiano, narreremo le gesta attraverso la riesumazione di parodie grottesche, tragiche farse, tragedie insanabili ed estetiche erotiche.

    Il corpo degli anni Duemila è perenne, segnato dall’arricchimento degli archivi digitali che lo preservano e dai filtri che lo presentano al mondo, un corpo osceno, fragile ed eterno: “puer aeternus”, secondo il pensiero di Michel Maffesoli (Note sulla postmodernità, 2005) nel quale ci riconosciamo non potendo che abbracciare la fine delle generazioni degli individui divise per età o per rigide caratteristiche di genere e in lotta dicotomica tra il bene e il male. Non vi è la sintesi finale dove distinguere paradigmi binari antitetici, vi è un corpo in viaggio, erotico ed erratico. È un “corpo rivestito” (Patrizia Calefato 1986) sin da quando è nudo, poiché sono i segni della pelle, della carne e del volto (“disfarsi del volto è impossibile”, Gilles Deleuze, Félix Guattari Come farsi un corpo senz’organi, 1995), ineliminabili tracce personali, a connotarlo e a renderlo permeabile all’ingresso dell’Altro.

    Troveremo che Madonna (The Immaculate collection, 1990) e Donna Haraway (Manifesto cyborg, 1991) negli stessi anni hanno inconsapevolmente condiviso un immaginario pornoerotico diffuso, feticista e transumano che permea il quotidiano a partire dalle nostre conversazioni private in chat fino alle manifestazioni postfemministe internazionali, posticipando fino ad evacuarlo il pensiero dell’impermanenza, rendendoci tutte e tutti un poco più trascendenti nell’ora e qui della rete.

    La profondità è visibile in superficie: è sui nostri schermi che abitiamo.

    Mettiamoci dunque in marcia e leggiamo i tratti distintivi di alcune tappe che segnano l’affermarsi di un corpo grottesco e transpolitico, segno del nostro tempo, come s’è visto già dal parterre avvicendatosi a Washington e a New York il 22 gennaio 2017, giorno della grande marcia delle donne americane contro Trump – Scarlett Johansson, Charlize Theron, Miley Cyrus, Madonna. “We choose love”, esclama dal podio la regina del pop, “scegliamo l’amore” – che al tempo di youporn scegliere l’erotismo sembra inevitabile.

    Il pallido proclama da parte di Madonna, suona anacronistico anche per la folla che la star cerca di conquistare, seguendo stilemi ben oleati in decenni di concerti:

    M. “Can you hear me?”
    Coro: “Yeah”.
    M. “Welcome to the revolution of love, to the rebellion, to our refusal as women to accept this new age of tyrrany…”
    Coro: “Yeah”.
    M. “Are you are ready? Say – yes you are ready, one more time say – yes you are ready”.
    Tutti in coro: “We are ready”.

    Sempre meno intensamente si ode la voce unisonante delle donne rispondere alle arringhe, rianimata dal calcolato inserimento di un suo tipico “fuck” a rafforzare l’invito a “wake us” (risvegliarci), ottenendo una nuova esultazione. “Il bene vincerà alla fine e la rivoluzione comincia oggi, qui, la lotta per il diritto di essere liberi, di essere uguali, marciamo insieme per dire che noi non abbiamo paura” (ib.). Tuttavia una sensazione di paura e turbamento si manifesta precipuamente nel cuore del contesto di questo evento spettacolare, affidato ad una grande artista di fine secolo catapultata in un indefinibile e distopico presente trumpiano con la responsabilità di arringare una folla disabituata a marciare e adusa alla danza.

    Proporre di “scegliere l’amore” al tempo della pornocultura, cosa significa? Sicuramente c’è di mezzo il pop e la sua recente trasfigurazione – non dimentichiamo la perdita di senso del termine inglese love che dagli anni Sessanta è divenuto universalmente noto al di là della sua traduzione in tutti gli idiomi del mondo. Scegliere l’amore significa dunque stare dalla parte dell’erotismo, del corpo, della carne. Express yourself.

    Procediamo a ritroso, eccoci poco prima delle elezioni americane del 2016 quando il prolifico abisso dei meme non era ancora stato travolto dalla marea di riproposizioni del volto di Donald Trump, ontologico polbusting (Transpolitica, Vincenzo Susca, Derrick De Kerchkove 2008) e inventario debordante di volgarità esilaranti e violenza senza scopo (giusto un assaggio qui).

    Dunque siamo al 18 ottobre 2016, giorno in cui Madonna si trovava al Madison Square Garden quando ha pronunciato la frase: “If you vote for Hillary Clinton, I will give you a blow job”. Quasi nessun quotidiano in quei giorni ha restituito letteralmente la potenza pornofonica del senso delle parole: “Se votate per Hillary Clinton, vi faccio un pompino”.

    Molte testate online e cartacee hanno piuttosto preferito espressioni quali: “… vi farò sesso orale” (tgcom 24), talvolta modificando anche la frase: “Farò sesso orale con chi vota Clinton” (GQItalia.it) o più laconicamente l’Ansa: “Madonna scandalosa, sesso per chi vota Clinton”, mentre quasi edulcorata la versione di Repubblica.it: “Madonna promette sesso per un sì a Hillary”, o ancora, Adnkronos sceglie di omettere del tutto il contesto osceno, scrivendo: “La proposta a luci rosse di Madonna: Se votate per Hillary Clinton…”; l’Huffington Post l’ha riportato invece con un omissis centrale: “Se la votate vi faccio un p….o”, molto inequivocabile. Altri titoli non italiani quali Vanityfair.fr si spostano su di un registro più tecnico: “Si vous votez pour Hillary Clinton, je vous ferai une fellation”, o fedele all’originale, come il Journaldemontreal.com: “Si vous votez pour Hillary Clinton, je vous ferai ‘une pipe’. OK?”, inserendo alla fine della frase dell’intero speech una parentesi che assicura i lettori sul fatto che si tratti di una “traduzione libera”, sebbene non vi fossero molti dubbi sulla scelta dei termini dall’american-english al franco-canadese, ironicamente si conclude infine commentando: “È di uno chic folle!”.

    Il Dailymail.co.uk, per citare ancora un altro articolo, riporta tutta la vicenda accaduta in quell’occasione, incluse le derive mediali sui social della stessa protagonista e dei suoi fan.

    Volendo entrare ancora più nel dettaglio dell’analisi comparativa degli articoli si potrebbe notare come in taluni casi la proposta sia stata definita alternativamente “a luci rosse”, “hot”, “bizzarra”, “inconsueta”, “esplicita”, “impegnativa” (sic!), “un indubbio voto di scambio” e via discorrendo.

    Non semplicemente il sesso, ma è esattamente il porno ad essere ciclicamente presente nelle vicende presidenziali americane da decenni. E la campagna elettorale che ha condotto Trump alla presidenza sembra essersi distinta nello specifico per il raggiungimento di picchi inediti di trivialità e sessismo dei più beceri: le ripetute accuse di molestie che avevano investito Donald Trump nel mese di ottobre, corroborate da un video del 2005 e da testimonianze di diverse donne, avevano già riscaldato in modo pruriginoso l’audience, sebbene ad ogni accusa lo staff di Trump cercasse di difenderlo appellandosi ad una scorretta campagna di “character assassination”. Un tale strategico intervento ha generato un paradosso: quello di collocarsi al fianco di battaglie femminili che manifestano in titoli quali quello del Bizpacreview (Conservative News You Can Trust) del 21 ottobre, la cornice più esilarante: “Madonna takes women back 1,000 years; offers audience sexual favors for Hillary votes” (Madonna riporta indietro di 1000 anni le donne; offre al pubblico favori sessuali per dei voti ad Hillary). Tale pezzo dopo due righe inserisce un link a Breitbart, l’organo di stampa ufficiale di Trump, il quale ha inglobato nel suo CEO Stephen Bannon direttore della testata; questa, sin dal mattino seguente la frase scandalosa della pop star aveva riportato interamente l’accaduto fungendo da fonte principale attraverso la quale la rete incredula e divertita stava apprendendo il fatto morboso, prima di scandagliarlo anche da altre testate.

    Ci sembra degno di nota che in questi ultimi due esempi si entra in un regime di racconto che implica piani e livelli interpretativi su cui vale la pena non sorvolare: in entrambi gli articoli inizia a palesarsi un termine che poi si ripeterà anche altrove nei commenti di origine conservatrice: raunchy cioè scurrile, sguaiato, sboccato. È così che viene definito l’intero contesto nel quale l’episodio con protagonista Madonna ha luogo. E d’altra parte la frase in sé sembrerebbe giustificare appieno tale aggettivo.

    Ma qual era questo contesto?

    Molte testate anche note e ragguardevoli, italiane, europee e americane, si sono limitate a cogliere il titolo ad effetto a cui si prestava di per sé tale notizia senza approfondire i dettagli – come sempre più sovente accade – giungendo alla conclusione apparentemente ovvia che la cantante si trovasse su quel palco in occasione di un proprio concerto e che dunque da lì avesse emanato con tale originalità il proprio sostegno alla candidata (così ad esempio su Repubblica.it insieme ad altri giornali online). Ma la ragione per la quale Madonna era al Madison Square Garden era tutt’altra, e nel contesto in cui si trovava l’intero episodio potrebbe assumere connotazioni differenti.

    La sua presenza in quel tempio dello spettacolo, di fatto uno stadio, attualmente situato dopo varie sedi nella città di New York e consacrato alla musica e alle band più celebri, agli sport e agli show dei personaggi di spicco della cultura televisiva americana, era dovuto, non ad un suo concerto, bensì ad un’apparizione a sorpresa con il fine di aprire lo show di Amy Schumer.

    Chi è costei? Amy Schumer è una comica, attrice e sceneggiatrice statunitense, che conduce dal 2013 la seguitissima, pluripremiata, irriverente e, sì, scurrile sketch comedy intitolata Inside Amy Schumer alla sua quarta stagione (anche sottotitolata dalle community in italiano), i cui temi sono sempre la sessualità e gli stereotipi connessi con le questioni di genere.

    To be continued… fine prima parte.  #Nonunadimeno


    Immagine di copertina: Seyi Ariyo da Unsplash

    Note