Piano energia: tutto quello che manca e tutto quello che invece potremmo fare

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    “II progresso è sempre stato cercato, e continua a esserlo, in tecnologie più grandiose e complesse: per la fisica atomica queste tecnologie lanciano una sfida straordinaria. Secondo questa linea di pensiero, le grandi soluzioni richiedono grandi ricerche per grandi progetti: reattori autofertilizzanti, fusione nucleare e così via. L’idea che grandi soluzioni possano derivare non dalla fisica delle alte energie ma dalla fisica dello stato solido, non da colossali progetti tecnologici ma da innumerevoli piccole iniziative, non da una scienza sempre più all’avanguardia ma da principi scientifici relativamente semplici, appare dequalificante per la conoscenza, che ovviamente deve sempre essere prodigiosa. (…) La storia delle tecnologie energetiche offre esempi in abbondanza (…). Il fatto è che la ricerca, lo sviluppo e l’applicazione tecnologica dipendono più da valori sociali e dalle pressioni di potenti gruppi di interesse che dai risultati scientifici.” Hermann Scheer – Il solare e l’economia globale: energia rinnovabile per un futuro sostenibile

    Hermann Scheer lo scriveva nel 1999, ben prima che tecnologie come il fotovoltaico o l’eolico assurgessero al ruolo centrale che hanno oggi, e avranno sempre di più nei prossimi decenni, negli investimenti del settore energetico in tutto il mondo. Eppure un quarto di secolo dopo, nonostante gli enormi miglioramenti realizzati, ancora siamo completamente immersi in quella cultura.

    Si pensi ad esempio al recente “Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale” che si basa fondamentalmente su tre pilastri: l’utilizzo del carbone in sostituzione del gas per la produzione di elettricità, la riduzione del periodo di riscaldamento e l’abbassamento della temperatura negli edifici, la modifica dei comportamenti delle persone nelle abitudini quotidiane. Tutto questo nelle stime dovrebbe portare a 8,2 miliardi di metri cubi di risparmio annuo, pari al 15% del consumo nazionale (come richiesto dal Regolamento (UE) 2022/1369 del 5 agosto 2022) anche se i risultati inevitabilmente dipenderanno dai comportamenti di ciascuno e consentono al ministero che ha scritto il piano di potersi scaricare della responsabilità della sua efficacia.

    Campagne informative sono sicuramente utili, il governo tedesco ne ha lanciata una all’inizio di giugno ottenendo già ottimi risultati. Quello che però manca al piano italiano è uno sguardo maturo e contemporaneo ai possibili interventi di efficienza energetica realizzabili ad esempio grazie a interventi strutturali su processi produttivi o edifici.

    Si pensi ad esempio che le grandi aziende italiane del settore industriale e terziario sono tenute a sottoporsi a un regime di diagnosi energetica ogni quattro anni. Le diagnosi devono contenere un elenco di possibili interventi da realizzare negli stabilimenti o negli edifici i cui costi economici e i cui risultati attesi in termini di risparmio energetico devono essere esplicitamente quantificati. ENEA si occupa poi di raccogliere e sistematizzare tutte le diagnosi energetiche. L’ultima volta che questo è avvenuto è stato nel 2019, poco prima della pandemia. Secondo i risultati di ENEA il potenziale di risparmio identificato è dell’ordine dei 3,75 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (TEP) di cui solo 750 mila sono state effettivamente ottenute attraverso interventi realizzati. Le 3 milioni di TEP non sfruttate equivalgono a circa 3,7 miliardi di metri cubi di gas, cioè circa il 45% dell’obiettivo del piano del ministro Cingolani. Per un confronto si pensi che oggi il gas estratto nei giacimenti nazionali è pari a 3,4 miliardi di metri cubi annui.

    Stiamo quindi parlando di una enorme riserva energetica, una vera e propria miniera di cui nessuno parla. Interventi di cui sappiamo già tutto (dove farli, quanto costano, quanto possono generare) e che una volta realizzati generano benefici non solo per un anno ma per tutti gli anni successivi. E stiamo parlando di solo 5845 imprese grandi imprese, quindi una parte relativamente piccola del potenziale complessivo, perché non abbiamo dati così consolidati per tutto il tessuto di PMI che innerva il sistema produttivo italiano.

    Il vero paradosso è che a queste stesse grandi aziende il governo intende garantire un prezzo dell’energia più basso di quello di mercato, a spese degli altri utenti del sistema elettrico. Non sarebbe l’occasione giusta per chiedere loro in cambio uno sforzo concreto, cioè di realizzare quello che già sanno di poter realizzare e che in un’epoca di prezzi dell’energia completamente fuori controllo genererebbe enormi risparmi economici per le stesse aziende, con tempi di ritorno degli investimenti normalmente inferiori ai 2 anni?

    Lo stesso approccio miope lo vediamo in come si è sviluppata la polemica sul Superbonus 110% che viene accusato di una serie di difetti che non ha, quando le domande più centrate che dovremmo farci sono: quante emissioni e quanto consumo di gas abbiamo evitato con questi interventi? C’erano alternative più efficaci in termini di costi e benefici? Tra le alternative più efficaci, un piano nazionale di intervento sugli edifici scolastici e sull’edilizia residenziale pubblica non avrebbe prodotto anche effetti di riduzione delle disuguaglianze sociali (che invece normalmente i meccanismi di detrazione fiscale tendono ad aumentare)?

    A partire da questi piccoli esempi, da questo inizio di discussione, appare chiaro come le vie della transizione ecologica sono tante e diverse, qualsiasi strada si scelga, le soluzioni tecnologiche non possono essere disgiunte da una parallela transizione culturale. Insomma la tecnologia non può scindersi dallo sguardo, dalle abitudini e dai desideri di una società.

    Se ad esempio vogliamo perseguire la riduzione della dipendenza dai fossili e dai paesi produttori, la riduzione delle emissioni di gas climalteranti e contemporaneamente la riduzione delle disuguaglianze, sappiamo come fare. Il piano del ministro Cingolani, che nel breve termine si basa unicamente su ritorno al carbone e colpevolizzazione degli utenti, fa l’esatto contrario.

    Note