Lezioni americane per la riforma del Terzo Settore

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    Da oltre due anni si discute ormai della riforma del Terzo Settore e, per fortuna, lo scorso luglio è entrata in vigore la legge delega che ne tratteggia il contenuto.

    E’ evidente, che l’elezione di Donald Trump non c’entra nulla con questo contributo in quanto userò come spunto le Lezioni Americane (e non le elezioni) per alcune brevi riflessioni sul percorso di riforma in corso di definizione.

    Il tema è di grande interesse anche per le cd. “imprese culturali”, in quanto se è vero che fanno riferimento a modelli organizzativi molto differenti fra loro – associativi, cooperativistici, societari, etc. – molte di esse hanno una matrice prettamente non profit.

    Sarà interessante capire, infatti, se la riforma riuscirà ad avere realmente un impatto per le forme di produzione culturale che si muovo all’interno di questo ecosistema, posto che gli ambiti di intervento del legislatore sono molto ampi e trasversali.

    Per prima cosa si pone tuttavia un tema definitorio in quanto, volendo sviluppare il tema delle imprese culturali all’interno di questo perimetro non ci si può non chiedere, Carver mi perdonerà, di cosa parliamo quanto parliamo di Terzo Settore. Categoria che nel corso del tempo è stata declinata secondo modalità diverse e partendo da punti vista – economici, giuridici, sociologici, tributari – differenti.

    Le evoluzioni che si registrano in questo ambito ci raccontano, comunque, di una definizione un po’ usurata in quanto – come scrisse Giovanni Moro in un saggio di qualche anno fa intitolato “Contro il Non Profit” – il Terzo Settore rappresenta ormai “una categoria del pensiero economico diventata prima teoria sociale, poi provvedimento legislativo di carattere tributario e quindi spazio protetto di azione in cui tutto è possibile, dai ristoranti alle palestre, dalle cliniche, alle polisportive”.

    Non si può certo obiettare che la complessa galassia delle organizzazioni che ne fanno parte, sia caratterizzata da una certa frammentarietà a cui il legislatore cerca ora di porre rimedio elaborando per la prima volta, all’interno della legge delega, una definizione che qualifica gli enti del Terzo Settore come “enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalita’ civiche, solidaristiche e di utilità sociale e che, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi”.

    Di certo ponendo l’attenzione su alcuni dei termini utilizzati – attività di interesse generale, produzione di beni/servizi, finalità civiche, etc. – si trovano molti dei tratti comuni delle imprese culturali costruite utilizzando modelli organizzativi propri degli enti senza finalità di lucro. Modelli a cui, in alcuni casi, si è già cercato in qualche modo di dare un legittimazione anche normativa – si veda ad esempio Il D.Lgs 460/97 che ha istituito le Onlus e che ricomprende fra i propri settori di attività anche la “promozione della cultura e dell’arte”, il D.Lgs 155/06 che individua espressamente la “ricerca ed erogazione di servizi culturali” fra gli ambiti di intervento delle imprese sociali ex lege, o l’introduzione 2×1000 per le associazioni culturali – ma che ancora faticano ad avere una disciplina specifica che ne valorizzi le peculiarità.

    Questi esempi solo per rappresentare come l’intero assetto normativo del Terzo Settore necessiti di una razionalizzazione, che si spera possa concretizzarsi con l’attuale riforma che ha tra le priorità la revisione del Codice Civile – nella parte in cui detta la disciplina per associazioni, fondazioni e comitati – il riordino delle diverse discipline speciali compresa quella tributaria, la revisione della normativa in materia di impresa sociale e di servizio civile nazionale.

    Al di là degli aspetti prettamente tecnici il testo contiene delle aperture molto interessanti che potrebbero rappresentare una chance anche per le imprese culturali, se fosse effettivamente portato a compimento quel processo di semplificazione, coordinamento e razionalizzazione auspicato nella legge delega, cui dovrà essere data ora attuazione con degli appositi decreti.

    L’auspicio è che l’esito complessivo della riforma possa trarre ispirazione dalle, famose, Lezioni Americane di Italo Calvino caratterizzandosi per leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, e molteplicità.

    La leggerezza che per l’autore “si associa con la precisione”, quindi indicazioni semplici e precise, la rapidità, auspicando che le tempistiche previste siano rispettate, l’esattezza, ovvero “un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero” caratteristica che non sempre si ravvisa nei provvedimenti normativi, la visibilità sperando che le nuove norme “si cristallizzino in una forma ben definita, memorabile, autosufficiente”. Nella lezione sulla molteplicità, infine, si evidenzia come “l’eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d’attività”, speriamo non lo sia anche in questo caso e che gli estensori dei provvedimenti attuativi riescano ad effettuare un sintesi efficace delle numerose istanze emerse.

    Sarebbe davvero un peccato non sfruttare questa occasione per dare un impulso allo sviluppo a nuove forme di imprenditoria culturale, anche in ambito associativo, considerato che – per rimanere in tema – come diceva Cosimo Piovasco di Rondò ne Il Barone Rampante “Le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone e danno la gioia che raramente sia ha stando per proprio conto (…)”.

    Note