In Italia il fenomeno ultras nasce a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, circa un decennio dopo l’hooliganismo, e benché in parte emulandolo si sviluppa con proprie caratteristiche.
In Gran Bretagna i gruppi hooligan sono composti in prevalenza da giovani della classe operaia, le cosiddette crew, firm, mob, si peculiarizzano per una strategia d’azione che non attinge a gerarchie e stratificazioni interne, per lo più assimilabile come un insieme episodico di individui.
La comunicazione è prevalentemente verbale (il passaparola), la gestione delle risorse economiche è soprattutto individuale ed è preponderante un modello estetico tipo casual: un look di basso profilo che non abbia molti riferimenti con la vicinanza alla squadra o al gruppo d’appartenenza.
In Italia i gruppi in curva sono strutturati e centralizzati
In Italia la composizione sociale è più eterogenea, i gruppi in curva sono strutturati e centralizzati, si riconoscono dietro a uno striscione, stendardi, coreografie, modelli di comunicazione alternativa al mainstream (fanzine e comunicati) e le pratiche di sostentamento economico-finanziario sono collettive (una su tutte, la vendita del merchandising).
Anche sul piano della performance sono riscontrabili delle sostanziali differenze: in Italia l’effetto visivo e quello vocale sono considerati sullo stesso livello, si ricorre all’uso di megafoni, microfoni e tamburi che fanno da architettura al lancio dei cori (dove è prevista la figura del corista); Oltremanica, invece, è la voce il principale sostegno offerto alla squadra, e i cori nascono spontaneamente dalle gradinate e si propagano via via in tutti gli altri settori.
Professionalizzazione, internazionalizzazione e commercializzazione
Al di là di queste caratteristiche specifiche, entrambi i fenomeni emergono in seno ai nuovi sviluppi del gioco del calcio avvenuti nel secondo dopoguerra, e attraverso quelle categorie che John Clarke ha indicato nella professionalizzazione, l’internazionalizzazione e la commercializzazione.
Trasformazioni che incideranno irreversibilmente sul calcio e sul modo di assistere alla partita da parte del pubblico, alle quali la componente più giovane, considerandole delle derive del «calcio moderno», iniziò a elaborare delle forme di resistenza sempre più radicali.
Come ci mostra John Clarke, benché in continuità con le forme tradizionali del tifo, «una sezione di supporter si è tagliata fuori dalla componente più anziana. La separazione sociale ha significato sottrarsi ai nodi informali con cui si esercitava il controllo nella partecipazione agli incontri, con i membri più anziani che sorvegliavano e “disciplinavano” i nuovi.
I settori popolari si trasformano in curve, diventano degli spazi autonomi, delle TAZ dove le regole di condotta non sono più quelle della società civile
I giovani, in un certo senso, hanno ereditato la tradizione senza quei controlli sul comportamento come era in passato, hanno cambiato le tradizioni per renderle più appropriate alle loro esperienze. […] Ciò che differisce non sono tanto il significato e i valori dati al gioco, quanto le relazioni tra spettatori giovani e anziani».
Da questa citazione è possibile capire come all’interno delle forme tradizionali del tifo emerga, pian piano, una scissione dal «tifoso comune», che richiama a nuovi linguaggi e rivoluziona le dinamiche di gruppo. I settori popolari si trasformano in curve, in terrace, diventano degli spazi autonomi, delle TAZ (Zone Temporaneamente Autonome, mutuando il concetto da Hakim Bey, e con il passare del tempo questa «temporaneità» si trasforma in una «strategia permanente», da cui appunto PAZ, «Zone Permanentemente Autonome»), dove le regole di condotta sociale non sono più quelle della società civile, bensì si autodeterminano e si attestano su posizioni di esplicito contrasto con il resto della società.
A cambiare, rispetto al modello tradizionale, sono anche i codici comportamentali, che si arricchiscono di nuovi significati politici e culturali in relazione alla contaminazione del fenomeno con le altre sottoculture (Teddy Boy, Mod, Skinhead) e alle trasformazioni del tessuto sociale di riferimento.
Con l’entrata in scena della «Generazione X», tanto l’ultras italiano quanto l’hooliganismo d’Oltremanica, hanno elaborato la fase pionieristica con nuove varianti generazionali
Ognuno nel proprio contesto e con proprie caratteristiche sviluppa un nuovo paradigma sub-culturale, un modello di identificazione elaborato da una minoranza che si differenzia da una maggioranza (il tifoso comune) e in contrapposizione con una cultura dominante, quella del calcio moderno, «attraverso l’elaborazione di uno stile distintivo, che con un’operazione di risignificazione e di bricolage usa le merci dell’industria culturale per comunicare ed esprimere il proprio conflitto», un sottoinsieme di simboli specifici che confliggono con le trasformazioni commerciali e spettacolari imposte dal sistema calcio, ma anche e soprattutto con una parte del pubblico.
Dopo una prima fase pionieristica, essendo sia l’ultras che l’hooliganismo dei fenomeni intergenerazionali, a rafforzarne l’identità sottoculturale sarà l’entrata in scena della seconda generazione post guerra, quella che lo scrittore Douglas Coupland ha definito con l’enigmatico aggettivo di «X»: X come incognita, come mancanza d’identità e di impegno politico, e che avrà un rapporto «speciale» con le sottoculture giovanili nella post-modernità.
Sebbene il termine fosse stato già usato in precedenza, grazie a Coupland «Generazione X» è divenuta una categoria sociologica per identificare la generazione nata in Occidente, approssimativamente tra il ’60 e l’80 e storicamente inquadrata nel periodo di transizione tra il declino del colonialismo, la caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda, «caratterizzata da uno scarso ottimismo verso il futuro, da un ambiente economico negativo portatore di bassi salari, scarse aspettative di carriera e poca dignità lavorativa». […]
Un altro dato fondamentale per comprenderne le svariate caratteristiche di questi due fenomeni è il rapporto di quest’ultima generazione con la precedente. La riduzione delle nascite tra il 1964 e il 1979, conseguente al Baby Boom tra il 1945 e il 1964 (l’esplosione demografica post guerra) mostra quella «X» come una generazione cresciuta all’ombra dei propri genitori, che aveva avuto come esperienze «fondanti» l’avvento dell’istruzione di massa, l’affermazione della musica rock, la contestazione giovanile e la rivoluzione sessuale.
Inoltre, priva di grosse preoccupazioni economiche, la generazione post guerra era stata libera di concentrarsi su se stessa, sulla realizzazione dei propri desideri. Numericamente inferiore e schiacciata dalla cultura dei Baby boomers, la «Generazione X» è per certi versi «invisibile», e in relazione a questa subalternità ha sperimentato, facendone una propria peculiarità, le sottoculture Punk, Mod, Ultras, Hip Hop, Reggae, Raver, Skinhead, diverse tra loro nelle pratiche come nei linguaggi, ma accomunate da un’unica condizione, quella di sfidare e mettere in crisil a cultura generalista, mainstream e massificante.
Con l’entrata in scena della «Generazione X», tanto l’ultras italiano quanto l’hooliganismo d’Oltremanica, hanno elaborato la fase pionieristica con nuove varianti generazionali, fino a diventare un complesso fenomeno sub-culturale a diffusione planetaria: è la più numerosa tra le sottoculture, tra le più longeve (avendo oggi superato i cinquant’anni di vita), spiccatamente intergenerazionale, nonché la più contraddittoria, essendo un animale a più teste legate singolarmente al proprio contesto storico-culturale.
Possiamo concludere affermando che si tratta di un fenomeno diversificato che si è sviluppato intorno al calcio, di difficile comprensione se lo si guarda con gli stereotipi cui è spesso soggetto. Di notevole importanza, invece, se lo si analizza in profondità, essendo espressione dell’individuo e del suo tempo.
Pubblichiamo un estratto dalla prefazione di Andrea Ferreri a Football Hooliganism di John Clarke (DeriveApprodi)
Immagine di copertina, ph. Clem Onojeghuo da Unsplash