CivICa, il percorso di Compagnia di San Paolo sull’innovazione civica
Stiamo vivendo un momento storico in cui gli spazi di cittadinanza si stanno rapidamente riducendo: discriminazioni, disuguaglianze e disparità sociale stanno portando al limite un tessuto sociale di comunità che ora, più che mai, chiede a gran voce di essere ascoltato.
In questo scenario, la Compagnia di San Paolo ha voluto aprire nuovi fronti di riflessione sul rapporto tra la cultura e l’innovazione civica, prima con l’esperienza nella realizzazione del Polo del ‘900 e successivamente con il bando CivICa, nato per stimolare le pratiche di innovazione civica, ovvero progetti e sperimentazioni di comunità che promuovono la coesione sociale e favoriscono la consapevolezza sui diritti individuali, civili e sociali.
Un’attenzione che prosegue oggi con un percorso nato all’interno di CivICa e frutto della collaborazione tra cheFare e Compagnia di San Paolo su questi temi, nel quale si colloca questo articolo.
In questo percorso sociologi, ricercatori e operatori culturali esploreranno il senso degli spazi di cittadinanza nel contemporaneo e racconteranno le loro esperienze di innovazione civica.
Durante la conferenza stampa di Biennale Democrazia 2019 a un certo punto il suo fondatore Gustavo Zagrebelsky dice, “Quando pensiamo alla democrazia pensiamo alle elezioni, al Parlamento — ma questo sovrastrato delle nostre esistenze ha bisogno di un substrato, uno fatto dalle relazioni quotidiane. La democrazia del quotidiano, appunto”.
Si potrebbe partire da qui per spiegare cos’è Biennale Democrazia, una kermesse culturale che si svolge ogni due anni ma che fonda la sua riuscita e il suo senso su un lavoro quotidiano che non si arresta mai.
Un’iniziativa della città di Torino che va al di là delle formule politiche con le quali la città è amministrata: sempre per usare le parole di Zagrebelsky, “Tutto cambia, ma Biennale resta”.
“Quando pensiamo alla democrazia pensiamo alle elezioni, al Parlamento — ma questo sovrastrato delle nostre esistenze ha bisogno di un substrato, fatto dalle relazioni quotidiane. La democrazia del quotidiano, appunto”.
133 appuntamenti in calendario, 251 protagonisti della cultura nazionale e internazionale, 11.392 biglietti venduti in prenotazione di cui 4.900 biglietti prenotati dai giovani e dalle scuole: i numeri dell’edizione 2019 riescono meglio di tante parole a dare l’idea di quella che è la dimensione di questa manifestazione.
Una macchina sociale che muove 38.000 mila persone per la partecipazione agli incontri, e coinvolge 70 volontari, 2.300 studenti raggiunti a scuola e 1200 presenti nelle giornate della rassegna, 2 università e più di cento fra associazioni, enti, istituzioni, realtà private.
Dati alla mano, ciò che è interessante comprendere è come una realtà di questo tipo, dalla sua fondazione, si sia sviluppata fino a radicarsi nel tessuto urbano ed estendersi a quello extra-urbano. Ne abbiamo parlato con Angela La Rotella, Segretario Generale della Fondazione per la Cultura Torino e Direttore Organizzativo di Biennale Democrazia.
Iniziamo con un passo indietro: come nasce Biennale Democrazia?
Biennale Democrazia muove i primi passi quando a Torino, a seguito della morte di Norberto Bobbio, furono ideate le prime giornate dedicate a una riflessione sull’etica civile: una dimensione che ha caratterizzato da sempre la storia intellettuale della città.
Questi appuntamenti avevano suscitato una enorme partecipazione popolare: da lì la decisione di costruire una manifestazione aperta a tutti che offrisse la possibilità ai torinesi e non solo di confrontarsi con grandi studiosi del pensiero politico, ma anche con giuristi, filosofi, storici, architetti e poi via via anche con autorità nell’ambito della scienza e della tecnologia.
133 appuntamenti in calendario, 251 protagonisti della cultura nazionale e internazionale, 11.392 biglietti venduti in prenotazione
Cosa doveva distinguere Biennale nelle vostre intenzioni rispetto alle altre iniziative culturali di questo tipo?
Biennale Democrazia nasce con l’obiettivo di coinvolgere i giovani: l’abbiamo pensata e realizzata da subito per il raggiungimento di quelle persone che non frequentano assiduamente gli spazi culturali: è per questo motivo che abbiamo inventato dei percorsi che rendessero partecipi e attivi in maniera sistematica studentesse e studenti.
La cadenza biennale della manifestazione ci ha permesso di costruire fra un’edizione e l’altra dei percorsi formativi (che più che didattici sono dei cammini di esperienze e di pensiero) avviati attraverso letture, film, video, fotografie, articoli di giornale, che vanno a declinare anno dopo anno i percorsi tematici dell’edizione di Biennale successiva.
Abbiamo fatto un grande investimento che non riguarda solo le giornate delle kermesse: è un lavoro che quasi non si vede, che risalta meno all’occhio rispetto alla vetrina dell’iniziativa rappresentata dalle centinaia incontri che si tengono in tengono in tutta Torino per cinque giorni, ma che rappresenta più di ogni altra cosa il DNA della manifestazione.
Un impegno a cui dedichiamo le nostre forze più preziose: abbiamo dei ricercatori, dei formatori, che lavorano a stretto contatto con il comitato scientifico, per decidere e scrivere questi percorsi, che poi vengono proposti al triennio delle scuole superiori. Laddove riusciamo raggiungiamo studentesse e studenti in aula e gli dedichiamo 4 incontri di 3 ore l’uno, raggiungendo un totale di 120 classi.
Biennale Democrazia è un macchina sociale che muove 38.000 mila persone per la partecipazione agli incontri
Un numero che si è allargato negli anni: da 30 a 35, poi 50, poi 70 adesso superiamo i 100 perché ci siamo resi conto che c’è una domanda forte e costante, ed essendo la partecipazione delle ragazze e dei ragazzi una delle cose che ci rende più orgogliosi e che ci appaga maggiormente, abbiamo deciso di concentrare su questo rapporto molte delle nostre energie.
Quando vengono stimolati e si permette loro di avere una parte attiva, gli studenti danno molto, ne abbiamo la dimostrazione ogni volta che li coinvolgiamo nelle nostre attività.
Come si arriva a un coinvolgimento così importante delle scuole, sia da un punto di vista istituzionale che anche di attenzione da parte delle ragazze e dei ragazzi?
Siamo cresciuti poi anche rispetto alla tipologia di scuole coinvolte, oltre ai licei riusciamo a coinvolgere tutti i tipi di scuole superiori, compresi gli istituti tecnici e quelli professionali. Non ci sono solo i ragazzi del classico e dello scientifico: non è una manifestazione elitaria, tutti partecipano allo stesso livello.
In certi ambienti poi c’è una maggiore curiosità, c’è una maggiore fame di un certo tipo di sapere e la riposta agli input di Biennale è ancora più vivace. L’altro aspetto che consideriamo fondamentale è la partecipazione di ragazze e ragazzi alle giornate di Biennale: il nostro desiderio è che non lavorino solamente in classe con i loro insegnanti e i nostri formatori, ma che animino anche la manifestazione.
Per questo non solo gli studenti che hanno aderito al percorso, ma tutte le classi che lo desiderino, hanno la possibilità di prenotare in anticipo i posti per assistere agli incontri. A loro viene quindi destinata una riserva: prima esauriamo la loro richiesta, e poi quello che rimane lo mettiamo a disposizione del resto del pubblico
Per avvicinarci maggiormente agli studenti – anche a quelli universitari – abbiamo stretto degli accordi, aperto delle convenzioni con alcuni dipartimenti sia dell’Università degli Studi che con il Politecnico che riconoscono crediti formativi a chi frequenta gli appuntamenti di Biennale: per garantirsi il posto in platea possono prenotarsi prima di chiunque altro, con un buon anticipo.
Per noi è un lavoro organizzativo molto impegnativo, che complica la nostra vita logistica, ma crediamo abbia un valore fondamentale per la filosofia della manifestazione, e investiamo volentieri in questo campo le nostre energie.
L’edizione 2019 ha funzionato molto bene anche grazie al coinvolgimento del Polo del ‘900
Per chi come me lavora nella cultura è una delle rare occasioni per poter entrare in sala e riconoscere subito dei gruppi di giovani: lo dico a malincuore, ma anche con realismo.
Abbiamo commissionato delle indagini, delle analisi, che attraverso studi e interviste ci hanno restituito un dato interessante e significativo: l’età media di partecipazione a Biennale bassissima, il 60% di chi affolla le sale è sotto i 32 anni.
È un lavoro che riguarda solo Torino e provincia oppure si riesce anche a raggiungere istituti più lontani geograficamente?
Siamo partiti da Torino, ovviamente, ma proprio nel 2019 abbiamo avviato un’importante collaborazione con la città di Cuneo, che ci ha chiesto di coinvolgere le sue scuole, e per città intendiamo anche l’aerea che una volta veniva considerata Provincia: questo ci ha permesso di esportare il nostro format fuori dai confini torinesi, e raggiungere nuovi studenti che vanno ad aggiungersi a quelli che già seguono i nostri percorsi online e sono localizzati un po’ in tutta Italia, dalla Sicilia al Veneto, dalla Sardegna alla Lombardia (in questo caso sono però classi auto organizzate o studenti che si muovono autonomamente).
Quello che colpisce di una rassegna come Biennale è la continua crescita sia a livello di partecipazione delle persone, che di soggetti coinvolti in fase di produzione.
Vero: l’edizione 2019 ha funzionato molto bene ad esempio anche grazie al coinvolgimento del Polo del ‘900, un progetto sostenuto dalla Compagnia di San Paolo e condiviso da Biennale fin da subito.
Grazie al Polo abbiamo ampliato i nostri rapporti con altre reti, che durante l’anno continuano a lavorare proprio grazie al Polo che funziona da punto di riferimento reale.
Sono come antenne sempre accese, e ci hanno permesso di soddisfare più di un obiettivo: prima di tutto che i giovani diventino per noi dei costruttori di contenuti.
In questa direzione il Polo del ‘900 ci aiuterà nei prossimi mesi a proporremo loro delle parole, dalle quali vorremo possano avviarsi ragionamenti da parte dei giovani e alla associazioni, per permetterci di tornare al lavoro con delle suggestioni e delle indicazioni riguardo il programma dell’edizione 2021 di Biennale Democrazia.
Selezionare i progetti, leggerli, studiarli, parlare uno a uno, anche questo è un gran lavoro
Vogliamo sempre di più che il programma non nasca esclusivamente all’interno del nostro comitato scientifico, ma che sia il più allargato possibile a quello che ci arriva da fuori.
Un fuori che ci interessa molto: sempre grazie al coordinamento con il Polo del ‘900 nel 2019 siamo riusciti a lavorare con realtà di Milano, Roma, Genova, Matera: Biennale ha cercato di allargarsi, un cammino che deve proseguire perché ci permette di uscire dall’elemento locale, di aprirci alle novità e soprattutto di lavorare anche nei mesi in cui non c’è Biennale Democrazia.
L’associazionismo quindi come motore insieme alle scuole per la crescita di Biennale.
Per noi è fondamentale tener vivo un confronto: per questo in Biennale democrazia solo una parte del programma viene costruito dal comitato scientifico. Una grossa parte arriva ad esempio dalle call, che si rivolgono a soggetti singoli o ad associazione.
Abbiamo una rete di associazioni che per storia istituzionale hanno avuto a che fare con noi da sempre, e con i quali i rapporti sono stretti, ma il lato positivo dell’introduzione delle call collettive è che anche in questo caso ci hanno fatto permesso di cambiare un po’, per evitare il rischio concreto che i soggetti in campo rimanessero sempre gli stessi.
In questa maniera abbiamo raggiunto un mondo dell’associazionismo che non avremo mai intercettato altrimenti.
Selezionare i progetti, leggerli, studiarli, parlare uno a uno e trovare poi una caduta di queste proposte sulla kermesse in modo che si concretizzino al meglio: anche questo è un gran lavoro, senza dubbio. Ma credo che sia anche per questo che Biennale sia così frequentata: quando vedo le sale sempre piene, dal venerdì pomeriggio alle 15.00 alla domenica mattina alle 11.00 su temi così impegnativi – perché inutile fingere: tocchiamo sempre temi problematici – rimango colpita dalla voglia, dalla pazienza, dall’interesse delle persone.
Ma mi permetto di dire che questo risultato sia anche merito del lavoro che abbiamo fatto prima, per capire quali sono gli interessi, coinvolgere, accogliere iniziative che non sono nostre ma che facciamo diventare tali. Una ricetta sempre migliorabile, ma che ha dato buoni frutti.
A ogni edizione Biennale produce una grande mole di contenuti: come e dove vengono conservati risultati dei dibattiti, delle lezioni, delle tavole rotonde ma anche dei lavori delle associazioni e degli studenti?
Per ora abbiamo fatto confluire tutto il patrimonio audiovisivo sul nostro sito, ma ho in mente un progetto che mi piacerebbe proporre al Polo del ‘900: trovare un angolo fisico, una postazione, un luogo riconoscibile dove poter accedere ai contenuti di Biennale. Vai in biblioteca e in fra i tanti servizi trovi anche questo: un patrimonio fruibile, che serva anche a recuperare un po’ di fisicità. Rimane l’accessibilità alla base, ma anche qualcosa che si riconosce.
La disaffezione alla politica, che è un elemento reale, non è una disaffezione alla cultura politica
Noi incoraggiamo sempre i ragazzi, a dare un loro ritorno, a produrre: quest’anno si sono cimentati con la creazione di contenuti video (li trovate tutti qui), su temi scelti da loro, grazie ai mezzi a loro disposizione, e quindi prevalentemente con il cellulare. Video che abbiamo proiettato durante Biennale, ma che stiamo pensando di valorizzare maggiormente: dobbiamo ancora alzare l’asticella sul tema della responsabilità dei giovani all’interno di Biennale.
La disaffezione alla politica, che è un elemento reale, non è una disaffezione alla cultura politica, sono due cose diverse: rispetto alla cultura politica, a quelli che sono i grandi temi delle diseguaglianze, dei diritti, dell’ambiente (si vedano anche i Fridays for future che qui a Torino e non solo hanno portato in piazza moltissimi studenti) i giovani sono decisi a partecipare.
È una questione di come viene posto il contenuto: le ragazze e i ragazzi non hanno bisogno di demagogia, ne sentono subito l’odore. Preferiscono piuttosto un confronto aspro, in cui ci sono idee diverse ma non sopportano la retorica.
Da parte nostra qui a Biennale nessuno pensa di dargli delle risposte univoche, ma tante risposte che possono contemplare pensieri diversi ma che educano alla ragione: questa è la crescita che abbiamo cercato di seguire, ma che dobbiamo ancora seguire con più decisione.
Illustrazione di copertina di Enea Brigatti