A passo lento nel mondo delle Cooperative di Comunità

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    Coopera MaLL rientra all’interno del progetto Madonie Living Lab promosso da Push, Avanzi, Rete scolastica Madonie, So.Svi.Ma, AM3 e finanziato dal PO FESR Sicilia 2014-2020 – Area Interna Madonie.

    Madonie Living Lab è laboratorio di innovazione che supporta comunità, amministrazione, ricerca e impresa nella realizzazione di nuove idee e modelli di collaborazione nel territorio delle Madonie, nell’entroterra siciliano. Le attività si sviluppano su quattro assi principali: la Piattaforma di Open Innovation, l’Educational hub, l’Acceleratore di idee e il Community Lab.

     

    Sono le 15.00 di una lunga giornata di esplorazione che non si appresta a finire. Qualcuno la chiamerebbe la “controra”, né riposo né ozio, bensì il tempo sospeso in cui le parole non trovano vento che le accompagni e i suoni si dilatano. È il tempo delle riflessioni migliori e qualcuno, mentre riaccende la sigaretta, sussurra a sé stesso: “Cu nesci arrinesci”.
    I detti più antichi possono racchiudere al proprio interno la più limpida e cristallina chiarezza comunicativa solo se vengono pronunciati nel momento giusto, nell’esatto rintocco in cui rivolgersi al proprio ascolto e a quello degli altri.
    “Cu nesci arrinesci”, una frase capace di muoversi sinuosa tra i ricordi di un lungo itinerario, otto sillabe che ci dicono con semplicità che “chi esce, rinasce” e non solo, perché in quel rinascere è custodito il senso profondo del riuscire.
    Verrebbe definito lo spin off perfetto. Per quel che ci riguarda ci piacerebbe chiamarlo un sincero inizio per raccontare l’itinerario di Coopera Mall.

    Il Sambuco e il Taccuino

    Un’antica regola sussurrata tra i pellegrini della Francigena consiglia di non disfare mai il proprio zaino il giorno del ritorno. Tanti e troppi sono gli attimi che vi riposano e un’apertura prematura rischierebbe di far dissolvere preziosi frammenti di una memoria troppo recente. È bene dunque attendere, quasi dimenticare per un momento quello che il viaggio ha donato per poi ritrovarsi a disfare con cura, oggetto dopo oggetto, il piccolo museo di viaggio in custodia.
    È l’ultimo giorno di un itinerario giunto al termine, adrenalina e stanchezza si confondono e ritornati a casa l’antico monito torna alla mente, “attendere per poi disfare e ridisegnare”.
    I giorni passano e ai giorni si aggiungono gli oneri del lavoro e della reperibilità. Si susseguono troppo rapide le ore, e la calma dei giorni passati diventa ormai una gentile concessione occasionale. Nella frenesia di un’agenda trascurata, sfogliare le pagine senza parsimonia diventa doveroso per ricostruire gli appuntamenti segnati prima del viaggio, con la pretesa di ricongiungere – illusi – ciò che è stato e ciò che è, senza tenere conto del viaggio che ha interrotto il lungo flusso di scadenze e orari.
    È in questo frastuono e nel brusio di pagine sfogliate che ad un tratto, possente come un tronco, si posa sul pavimento un fiore lasciato tra gli appunti. Nell’istante di un impercettibile movimento, il tempo dei gant, dei progetti, delle scadenze e dei bandi cede il passo leggero al fiore di sambuco raccolto tra le colline marchigiane. È tempo di disfare le valige e raccontare.

    L’incontro 

    Il giorno di inizio dell’itinerario di Coopera è di per se il punto di arrivo di un lungo tragitto, il viaggio di chi, dal cuore profondo delle Madonie siciliane, ha scelto di prendere parte al percorso e ha sfidato le grandi difficoltà dei collegamenti che legano il sud.
    Dopo attese, ritardi, rinvii e lunghe ore di sosta ci siamo finalmente ritrovati. Le riunioni online pre-partenza hanno lasciato il posto a volti stanchi e curiosi per l’inizio imminente del tragitto.
    Il cronoprogramma delle attività ha dichiarato subito la propria resa, recuperabile sine die, mentre le domande di circostanza tra i presenti si trasformavano in un disegno collettivo di mappe immaginarie per collocare le varie storie nel grande arcipelago delle Madonie. “Chi sei? Cosa facevano i tuoi nonni? Da quale frazione vieni? E – soprattutto – come hai fatto ad arrivare sin qui?” In questo gioco magico di voci tra i sedili del van ha preso forma, inconsapevolmente, un magnifico gruppo che avrebbe attraversato, di lì a pochi giorni, tutta la costa adriatica alla scoperta delle storie e delle pratiche delle cooperative di comunità.
    Protagonisti di questo viaggio sei giovani partecipanti provenienti da contesti differenti, e accomunati dal desiderio di entrare in pieno contatto con esperienze di mutualismo in diverse parti d’Italia. Da Massimo, studente sorridente di agraria, apicoltore e profondo conoscitore di piante e animali, a Luciana, giovane allevatrice di mucche nelle Madonie – non mucche qualsiasi, bensì modicane e cisinare – fino a Mauro, instancabile sportivo, chinesiologo e istruttore di ginnastica, per giungere ad Alessia, studentessa di lettere con gli appunti di viaggio più belli, assieme a Francesco, economista e attento osservatore, e Renato, apicoltore e sapiente conoscitore di storie antiche. Eterogenei al punto giusto, profili che probabilmente nessun curriculum sarebbe stato in grado di raccontare. Giunti con la sola voglia di scoprire, con la stessa attenzione e sete di ascolto di chi esplora nel profondo un territorio, mettendo tutta la propria presenza in stretta connessione con chi lo circonda, inconsapevolmente con lo stesso udito di Kapuscinski e lo stesso sguardo di Leogrande. Un entusiasmo che subito ha trovato strada alla volta di Brindisi.

    Le tre cooperative

    L’itinerario è stato immaginato e disegnato a partire da tre tappe, equidistanti tra loro e capaci, nel solco di 800 km, di far entrare a pieno il gruppo nelle storie che hanno animato e animano tre cooperative di comunità. Abbiamo mosso i primi passi dalle aree periferiche di Brindisi il 23 Giugno, nello specifico dal quartiere Sant’Elia, cuore delle attività promosse dalla cooperativa di comunità “Legami di Comunità”. La nascita di questa cooperativa affonda le proprie radici nella storia del quartiere che, dopo lunghe vicissitudini e mobilitazioni, è riuscito a ridare vita a Parco Buscicchio. Un lento lavoro di riconessione in un contesto fatto di frammenti e marginalità sociale ed economica, che la cooperativa è stata in grado di tenere assieme e ricongiungere, in una dimensione virtuosa e generativa. In questo luogo, tanto al margine quanto al centro di importanti processi di trasformazione, il gruppo di Coopera ha avuto modo di soffermarsi sul ruolo che la cooperativa di comunità ha all’interno di un quartiere di 20.000 abitanti, esplorando le forme organizzative e i processi che hanno portato questa esperienza ad essere un punto di riferimento tanto per lo sport quanto per i servizi educativi.

    Le storie di Maria Teresa Contaldo, Marica Girardi e Valentina Casilli, assieme alle altre voci di chi dà forza ed energia all’esperienza della cooperativa, hanno permesso di costruire un racconto corale del quartiere e della città, in grado di far osservare le varie attività svolte dal punto di vista di chi, in prima persona, mette a disposizione le proprie competenze e il proprio tempo. Un dimensione, questa, all’interno della quale si fa sempre più labile il confine tra operatori e fruitori, poiché capace di responsabilizzare e attivare direttamente tutte le energie del quartiere per prendere parte al processo di sviluppo di una comunità di cura.

    Durante questa tappa del percorso, grazie all’intervento di Carmelo Rollo e alle testimonianze delle Case di Quartiere di Brindisi, il racconto si è arricchito di incontri e laboratori sul campo che hanno permesso di focalizzare l’attenzione sul significato che assume una cooperativa di comunità. “Il volere all’unisono” è stata definita a più riprese da Michele Sardano dell’Unione Ciechi, un’intenzionalità che si sviluppa nel tempo in una “prospettiva educativa permanente”, che facilita e traduce il bisogno in una dimensione progettuale chiara e incisiva. Ritorna, qui come in innumerevoli occasioni, il tema del bisogno. Un termine che basterebbe a sé stesso se circoscritto alla sola amministrazione del territorio, ma che al contempo assume una valenza profonda se legato al desiderio comune di dare voce e spazio a tutte le energie che animano una comunità. Per questo motivo, come emerso dall’esperienza di “Legami di Comunità”, è centrale rispondere tanto ai bisogni visibili, quanto ai bisogni invisibili delle marginalità, dando piena cittadinanza ad una sensibilità diffusa in grado di cogliere, nella dignità dei piccoli gesti quotidiani, il peso dei problemi economici, familiari e sociali.

    Il caldo pugliese si è sostituito ben presto alla frescura della seconda tappa del 25 Giugno. A bordo del nostro van siamo approdati nell’entroterra molisano. Per quale motivo sia ricorrente il monito sull’inesistenza del Molise, non ci è dato saperlo. Sappiamo, invece, che quanto visto e ascoltato può rivendicare una presenza centrale nel dibattito sulle aree interne e non solo. Accolti dalla cooperativa di comunità “Artemisia”, abbiamo esplorato Castel del Giudice (IS), un piccolo centro incastonato al confine tra Molise e Abruzzo.

    Identico per conformazione a tanti borghi d’Italia e al contempo unico per quanto ha da raccontare. In questa tappa, infatti, il gruppo di Coopera si è confrontato con il ruolo che una cooperativa di comunità può assolvere nell’attivazione di iniziative imprenditoriali e sociali in campo agricolo, ricettivo ed enogastronomico. I primi confronti con la cittadinanza, il sindaco Lino Nicola Gentile, Elisabetta Gizzi della cooperativa “Artemisia”, Paolo Scaramuccia referente per lo sviluppo locale di Legacoop e con Chiara Iosue presidentessa di Legacoop Molise hanno fatto subito presagire che questa tappa sarebbe stata al si sopra di ogni aspettativa.

    Le varie attività che si articolano per mezzo e con la cooperativa di comunità legano assieme un ecosistema di attori fortemente ramificato sul territorio, sviluppatosi all’interno di diversi comparti produttivi. La cooperativa è, infatti, il frutto di un lavoro ventennale che, passo dopo passo e mattone dopo mattone, ha generato un insieme di attività che coesistono e cooperano tra loro. Il tutto ha avuto inizio dall’intuizione di dare vita ad un RSA in un ex asilo in disuso, avendo ben presente l’antico proverbio secondo il quale “una comunità cresce se gli anziani piantano alberi alla cui ombra non potranno sedersi”.
    L’RSA ha rappresentato il primo passo che, a partire dai servizi sociali e assieme alla creazione di un centro di accoglienza per migranti, ha dato spazio ad altre iniziative e alleati come il Birrificio Agricolo “Malto Lento”, l’apiario di comunità, l’azienda agricola “Melise” e l’albergo diffuso “Borgo Tufi”.

    Un processo di rigenerazione che avuto la capacità di generare un impatto positivo perché in grado di creare impresa e lavoro, avvalendosi di strumenti importanti da un punto di vista progettuale, amministrativo e politico come la creazione di una public company, l’attuazione di una STU (Società di trasformazione urbana) e lo sviluppo di forme di microcredito, in una dimensione che non facilità l’operato di piccole amministrazioni e che necessita costantemente di nuovi strumenti capaci di hackerare gli iter burocratici e amministrativi. Il tutto strettamente connesso a un immaginario e a una nuova narrazione che ha permesso di dare pieno valore al capitale emotivo ed affettivo del luogo, riavvicinando chi, per motivi lavorativi ed economici, ha trovato la propria dimensione in altre aree geografiche.

     

    L’alba del 26 Giugno ha dato poi inizio alla condivisione delle parole chiave raccolte nel percorso. Ogni partecipante, con un taccuino realizzato per l’occasione, ha tracciato i concetti chiave emersi durante le discussioni. Un esercizio quotidiano e – dunque – collettivo che meriterebbe di essere approfondito, ma che qui può trovare spazio solo all’interno di alcuni spunti. È emersa dalle voci dei partecipanti l’importanza del “dare per poter sviluppare”, come ha affermato Mauro, in una dimensione che permetta di “guardare con occhi diversi” perché “il “solito” non esiste” ha poi aggiunto. Alle sue parole hanno fato eco gli appunti di Francesco che ha voluto sottolineare la centralità del “sentire comune” prima di ogni azione progettuale, un concetto rintracciabile a più riprese nelle parole di tutti i partecipati che, come anticipato da Renato, è capace di far “riscoprire le capacità e le energie sopite di ognuno”.

    L’ultima tappa ci ha accolto con il sorriso di Verusca, anima e colonna portante della cooperativa di comunità del Ceresa nelle Marche. Abbiamo ripercorso le attività e le alleanze della cooperativa disseminate su un territorio impervio che non facilita collegamenti e relazioni ma che, nonostante questo, lega assieme la forte scelta di abitare i luoghi colpiti dal sisma. Questa tappa ha rappresentato un punto centrale dell’intero percorso, perché focalizzata sull’importanza delle reti. Un argomento apparentemente banale e ridondante in altri contesti, che assume però una valenza vitale per territori che hanno subito l’assenza di una ricostruzione materiale e immateriale del proprio tessuto sociale ed economico dopo il sisma. È in questo frangente che opera la cooperativa, avvalendosi di alleanze plurali e dinamiche su tutto il territorio: dall’Agrimusicismo Cantantonella che ci ha ospitati, all’Ecomuseo del Ceresa, al Rifugio Mezzilitri, per arrivare alla cooperativa di comunità dei Monti Sibillini fino all’azienda agricola “Le terre delle fate” e la Comunanza Agraria di Forca di Montegallo.

    Un itinerario fatto nel ricordo di Fabio Grossetti, importante punto di riferimento della cooperazione marchigiana; un percorso che ci ha visto scoprire l’importanza delle Comunanze agrarie e degli usi civici all’interno di un contesto che, grazie a queste esperienze centenarie, può raccontare un modo tanto innovativo quanto antico del prendersi cura delle montagne e del dare forma alla parola “sostenibilità”. La tappa si è conclusa con l’importante intervento di Riccardo Verrocchi di Generazioni, con gli indispensabili laboratorio, a cura di Carlotta Sinatra e di Federico Marinelli, che hanno accompagnato i partecipanti di Coopera nei processi di mappatura delle energie sociali.

    Cu nesci arrinesci

    Una legge non scritta, nella legislazione immaginaria dei viandanti, vuole che per ogni frase importante rubata a un passate venga raccolto un oggetto – un qualcosa – che la fissi e la scolpisca nella solidità della materia. Qualcosa da portare con sé, che al contempo ci riporti a quella frase. Ed è proprio nelle Marche che un esile fiore di sambuco ha iniziato a custodire un valore immenso, perché è stato colto esattamente nel momento in cui qualcuno, pienamente rapito dalla voglia di trasferirsi altrove per contribuire al lavoro di queste cooperative di comunità, ha scelto invece di voler trasferire la forza e la bellezza delle pratiche incontrate, nel proprio territorio, le Madonie.
    Non per assecondare un consiglio, un corso di formazione, o un soggetto abilitante, ma per la stessa naturalezza con cui il baco produce la seta.

     

     

    Immagini di Chiara De Giuli

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