Come reagire al disordine globale?

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    «Appare evidente che il difficile mondo che ci circonda ha grande bisogno sia di ordine che di sistema (…). Nel mix, però, forse le tendenze in corso richiedono capacità e leadership soprattutto nella direzione di correggerle e, quindi, di valorizzare le compenetrazioni fra nazioni e di promuovere gli sforzi di guida multilaterale. Anche i concerti di potenze (…) hanno bisogno di spartiti di regole e di conduttori d’orchestra. Insomma, di nuovi statisti dell’interdipendenza» (pp. 99-100).

    Con queste parole Cesare Merlini, già presidente dell’Istituto Affari Internazionali, conclude il suo agile volume Geopolitica e interdipendenza. Le scuole di Henry Kissinger e Jean Monnet, pubblicato nello scorso giugno presso i tipi di Luca Sossella Editore.

    Facciamo chiarezza fin dal principio: quella di Merlini non è una riflessione per nulla scontata. Non lo è perché, di fronte agli scossoni che segnano l’ordine globale al giorno d’oggi – scossoni che per noi europei hanno le sembianze soprattutto di una guerra, quella in Ucraina, che, a causa del nostro «eurocentrismo» ci pare più guerra delle altre, lontane o vicine, solo perché scoppiata a casa nostra» (p. 95) – è urgente immaginare alcune vie d’uscita percorribili.

    Come farlo, dunque? Per Merlini, una risposta plausibile giunge dall’osservazione di alcune delle riflessioni più stimolanti che sono state proposte nel corso del Novecento. Con una precondizione: che il nostro approccio non sia agiografico, ma razionale e dunque capace di trarre spunti utili dalle lezioni del passato. Ben altra cosa rispetto al riproporle senza un effettivo ragionamento capace di cogliere le criticità del presente.

    La prima lezione che Merlini intende riscoprire è quella di Henry Kissinger. Professore di Harvard, Consigliere alla Sicurezza nazionale e poi Segretario di Stato nelle amministrazioni repubblicane di Nixon e Ford, Kissinger è stato uno dei principali ispiratori della realpolitik americana degli anni Settanta. In estrema sintesi, si trattava dell’approccio che puntava alla normalizzazione delle relazioni tra USA e mondo comunista, così da evitare pericolose escalation nel quadro della Guerra fredda. Una volta crollato il muro di Berlino e dissolta l’Unione Sovietica, per Kissinger bisognava marciare verso un «ordine mondiale di Stati che affermino la dignità dell’individuo e forme di governo basate sulla partecipazione e che cooperino a livello internazionale conformemente a regole concordate» (pp. 38-39).

    Al tempo stesso Kissinger, riflettendo su quanto avvenuto in Europa orientale nel 2008, suggerì alla Casa Bianca di non rinunciare all’approccio aggressivo in politica estera cui George W. Bush e i neoconservatori avevano messo mano dopo l’11 settembre 2001. A suo avviso, infatti, non bisognava favorire l’apertura delle porte della NATO a Georgia e Ucraina: nel caso ciò si fosse verificato, probabilmente si sarebbe «inutilmente generato del risentimento in un Cremlino, il cui contributo al nuovo concerto di potenze era necessario» (p. 64). Ecco la realpolitik riaggiornata in versione ventunesimo secolo che ci dimostra drammaticamente tutta la sua attualità.

    Merlini però ritiene che per far ripartire il dialogo tra gli Stati, oggi talvolta pericolosamente rallentato se non addirittura fermo, sia fondamentale rilanciare le tesi di una figura probabilmente meno nota di Kissinger, e cioè Jean Monnet. Ispiratore nonché primo Presidente della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, Monnet sosteneva che all’indomani della Seconda guerra mondiale, per evitare nuovi conflitti (che sarebbero stati più drammatici a causa dell’arma nucleare), i governi avrebbero dovuto operare per individuare «una “visione comune”, in base alla quale definire degli scopi comuni, per raggiungere i quali realizzare un’“impresa comune”» (p. 43). Un metodo affatto invecchiato, se si pensa alle sfide che attendono il continente europeo, a partire forse dall’implementazione della sicurezza a livello continentale e della prosecuzione del processo di integrazione.

    Un’ultima osservazione. Per reagire al disordine globale è certamente importante rifarsi – spiega Merlini – alla scuola realista. Tuttavia, ben più decisiva sarà la capacità degli statisti di immaginarsi nuove forme di multilateralismo che, partendo dalla «formula di Jean Monnet per cui (…) scopi comuni richiedono l’impresa comune», riescano a coinvolgere non soltanto il mondo occidentale bensì tutti i continenti. Del resto, se un aspetto è chiaro all’alba del ventunesimo secolo, è proprio la trasformazione in senso policentrico dell’ordine globale. Sarebbe bene prenderne atto e agire di conseguenza.

     

    Immagine da Unsplash di diana kereselidze

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