I modi di fare cultura in Italia nell’ultimo decennio sono cambiati radicalmente, da più punti di vista.
Sono cambiati – come ovunque – i linguaggi e i canali. Si è passati da una traduzione (a volte virtuosa, a volte forzata) dei contenuti dall’analogico al digitale, a contenuti che vengono progettati, prodotti e distribuiti direttamente nell’universo online.
Sono cambiati i pubblici. In molti casi si sono ridimensionati, semplicemente perché sono sempre di meno le persone interessate a determinate forme culturali. In molti altri si sono trasformati, prendendo volti e nomi nuovi e diventando più difficili da vedere, capire, incontrare.
Sono cambiate le carriere di chi lavora nella cultura. Perché i mondi del lavoro in generale sono sempre più precari, perché le istituzioni culturali tradizionali hanno sempre meno risorse, perché nuove generazioni si sono affacciate ai mondi della ricerca e della produzione con competenze e aspettative che non potevano rimanere compresse nelle prospettive striminzite che venivano offerte loro.
Sono cambiati i sistemi di finanziamento, con una focalizzazione sempre più pressante sulla dimensione di progetto a sfavore di quella sistemica (il famigerato Starvation Cycle del Terzo Settore), una rincorsa spesso infruttuosa del modello statunitense delle start up, una difficile integrazione tra gli aspetti strettamente culturali e quelli intrinsecamente culturali.
Anche le istituzioni culturali si sono trasformate, in parte per dinamiche globali, in parte per spinte esogene e in parte per rispondere a nuove domande che arrivano dalla società civile, dai territori, dai tessuti produttivi. E allora i musei si pensano sempre di più come luoghi aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, che operano con la partecipazione delle comunità. Le biblioteche vengono sempre più interpretate come piattaforme di cultura territoriale accessibile. Le università, attraverso, la Terza Missione, si aprono alla co-progettazione e alla divulgazione di qualità, entrando in relazione con le organizzazioni che producono intelligenza collettiva sui territori.
Gli stessi erogatori e pubbliche amministrazioni, nei casi più virtuosi, si aprono a processi partecipativi e di co-progettazione per definire assieme a chi produce cultura sui territori obiettivi, strumenti, parametri di valutazione.
Queste trasformazioni estremamente rapide hanno implicato una costante rincorsa da parte delle organizzazioni culturali in termini di aggiornamento e costruzione di competenze. Nel giro di pochi anni si sono sovrapposte visioni, discipline e tendenze che hanno condizionato contemporaneamente gli strumenti di finanziamento e la formazione dei lavoratori della cultura: innovazione sociale a base culturale, innovazione culturale, audience developement, audience engagement, partecipazione culturale, economia della cultura, etc.
Si è trattato della costruzione – spesso frenetica ma anche per molti versi inevitabile – di nuove logiche, nuovi strumenti e nuovi ruoli professionali. La maggior parte delle organizzazioni della cultura e del sociale hanno fatto i salti mortali per cercare di mantenere la propria identità e il senso del proprio operato. La Pandemia e la crisi economica che la sta seguendo hanno messi però definitivamente in crisi la capacità delle organizzazioni di inseguire costantemente le nuove traiettorie e di rimanere – allo stesso senso – fedeli al motivo che le ha fatte nascere.
Per questo abbiamo pensato a Piscine – La cultura è uno sport completo il corso di cheFare per le organizzazioni culturali e sociali. Perché le organizzazioni che incontriamo ogni giorno nei progetti sul campo, nei dibattiti culturali, nei percorsi di accompagnamento e nelle formazioni chiedono sempre, alla fine, la stessa cosa: poter fare quello per cui sono nate, possibilmente bene e sicuramente al meglio. Piscine è un percorso per diventare più strutturati, più forti, in grado di guardare più lontano dal punto di vista organizzativo ed economico, senza perdere però la bussola del senso. Il senso del lavoro culturale e sociale non può – e non deve – essere neutro. Non può rischiare di smarrirsi in un mare tecnocratico di strumenti fini a sé stessi.
Per questo, con Piscine abbiamo organizzato un percorso di formazione che mette prima di tutto a valore il senso delle organizzazioni, scegliendo come docenti alcune tra le figure che in Italia si sono dimostrate più in grado di coniugare efficienza organizzativa, visione strategica e impatto culturale.
Immagine di copertina di Cotton Studio da Pexels