Visivamente: immagini in movimento. Una conversazione con Pietro Grandi

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    E così il movimento è un inganno, anzi un’illusione. E d’altra parte l’occhio non è una macchina fotografica, come ci ripetono da anni. Per quanto riguarda l’occhio, l’occhio senza la mente non andrebbe molto lontano. 

    È da queste osservazioni che Pietro Grandi, digital media designer, è partito per realizzare il libro “Visivamente” (Ed Quinto Quarto), una precisa raccolta di tutti i mezzi, gli strumenti e le invenzioni che hanno portato l’immagine dal rappresentare l’immobilità, al muoversi, o meglio a rappresentare il movimento. Decine di esempi, tutti accompagnati dalle illustrazioni dallo stesso autore, e con un forte contenuto didattico, come se la destinazione finale del libro fosse mettere in pratica ciò che viene descritto a parole. Il nostro incontro con Pietro Grandi inizia proprio da qui.

    Perché non un saggio? Perché hai voluto dire ai lettori “provate, fatelo anche voi”?

    Intanto non ho mai trovato dei manuali che raccontassero la storia delle immagini in movimento. E di sicuro, i pochi manuali degli anni ’80 e ’90 che affrontano questa evoluzione, non dedicano spazio alle schede didattiche, all’aspetto pratico. Nessuno si domanda: come si costruisce questo strumento? E invece a me questo aspetto interessava molto, d’altra parte sono sempre stato appassionato di costruzione di giochi, di carta, di collage.

    È stata una intuizione efficace. Negli ultimi due anni abbiamo riscoperto la casa, i passatempi hanno sostituito i viaggi, e anche l’autoprogettazione, quella di Enzo Mari per capirci, ha avuto un’esplosione di interesse.

    È vero, negli ultimi anni c’è questa riscoperta. Io insegno alla NABA e vedo che i miei studenti di 20 anni, quindi già nativi digitali, sono molto incuriositi da tutte le sperimentazioni pratiche che hanno preceduto il cinema, o comunque l’immagine che per come la conosciamo oggi. Sono saturi di immagini digitali e, probabilmente, questo aspetto legato all’analogico la costruzione di qualcosa, è una cosa che affascina. Se fosse stato solamente un libro divulgativo, senza l’aspetto didattico, ne sarebbe mancato un pezzo. Ma l’altra cosa fondamentale era fare un libro che andasse a scardinare convinzioni sbagliate. 

    Per esempio? 

    Intanto il tema della percezione retinica, che non esiste. Poi il fatto che noi vediamo attraverso gli occhi, e non attraverso la mente. Infine, l’occhio non è una macchina fotografica, questo è un grande equivoco.

    Veniamo al focus del libro. Esiste limmagine ferma, per esempio la fotografia e lillustrazione, e poi esiste il cinema. In mezzo ci sono tutti gli esperimenti che hanno portato limmagine da una dimensione allaltra. Quali sono stati i punti di svolta?

    Il vero punto di svolta è stata la camera oscura. Poter ricalcare un’immagine reale in modo preciso, seppur all’interno di una scatola, ha cambiato tutto. In realtà, il passaggio precedente è stata l’ottica. Poi c’è stata la lanterna magica, lo strumento che più si avvicina alla proiezione. Ma il gioco ottico per eccellenza, quello che ha un po’ cambiato tutto, è lo zootropio, questo tamburo girevole che fa diventare i giochi ottici collettivi. Con questo strumento noi possiamo vedere un’immagine in un loop, ma la cosa importante è che questa immagine può essere vista da più persone contemporaneamente. Rispetto a altri giochi ottici, che sono individuali, qui c’è la collettività. 

    E alla base di tutto c’è la dimensione del tempo. Senza il tempo, le immagini sarebbero ferme.

    Gli elementi fondamentali sono il tempo e lo spazio. In particolare, il tempo è l’essenza della realtà, o meglio di quella che noi chiamiamo realtà. Il tempo è fondamentale per l’immagine in movimento. La palla si sposta da destra a sinistra, e ogni step di questo spostamento corrisponde ad un determinato momento. Noi vediamo questo spostamento quando viene ripreso dall’apparecchio visivo, che in questo modo ci inganna.

    Quindi il movimento è frutto di un inganno?

    Assolutamente sì, infatti si parla di illusione del movimento. Nel 1912, Max Wertheimer, uno dei principali esponenti della Gestald, ha spiegato bene questo effetto. L’esempio che faccio io è quello delle lampadine dell’albero di Natale. Le luci creano una scia in movimento, ma l’evento fisico è solo l’accensione e lo spegnimento della lampadina. Il nostro cervello viene ingannato e va a creare una scia in movimento. È una percezione illusoria. 

    E succede anche l’opposto, cioè non vedere un movimento che nella realtà c’è?

    L’esempio più famoso è che, se andassimo a fare un safari in Africa, sarebbe molto difficile vedere un leone in lontananza, se prima qualcuno non ce lo indicasse. Solo in nel momento in cui ci dicono che c’è un leone, la nostra mente va a percepire un determinato punto dove questo leone si sta muovendo.

    Pensa trasferire questo meccanismo nelle intuizioni, nelle innovazioni. Se non ci viene indicata, non sappiamo riconoscere l’idea.

    Il nostro cervello funziona attraverso il ricordo. Tutto quello che non possiamo ricordare, perché non lo abbiamo percepito, non vediamo. Bisogna che qualcuno ti indichi la presenza di quella possibilità, affinché tu la veda. Sono interessanti gli esperimenti che si fanno con i bambini piccoli. La questione della percezione è molto complessa. A me ha fatto molto riflettere il fatto che la percezione sia legata alla memoria, al ricordo.

    Pensi che l’evoluzione di queste invenzioni sia incrementale, o ci sono stati punti di rottura?

    È incrementale. Nella storia dell’archeologia del cinema non ci sono stati cambiamenti radicali. Sono stati aggiunti e modificati elementi. Non si è virato, si sono aggiunte cose. 

    Ma quale è stata l’esigenza per cui l’uomo ha dato movimento alle immagini?

    Probabilmente, ancora, per una ragione legata al ricordo. Per fissare e ricordare le cose, in particolare le vite, la vita di un oggetto, la vita di un animale, di un essere umano. Per mettere in chiaro che quella certa cosa è successa. È una questione quindi conservativa, per conservare il tempo. I temi del cinema sono sempre stati questi: incuriosire, stupire, conservare, ricordare. E il tempo gioca un ruolo fondamentale, come abbiamo detto prima. 

    È incredibile come l’immagine sia stata oggetto di studio di tutte le discipline, non è per nulla settoriale. Dalla sociologia, alla filologia, alla chimica, alle scienze.

    Sì, e ancora di più se pensiamo agli strumenti, per esempio quelli usati nel cinematografo. La macchina da presa e il proiettore – che sono lo stesso strumento usato in modalità diversa – è composto da elementi che derivano da invenzioni diverse. Il cinematografo riunisce moltissime discipline, scoperte e invenzioni. In questo sistema si trova la sintesi di tante discipline differenti.

    L’impressione è che per molto tempo ci si sia concentrati sulla produzione delle immagini. Oggi quel problema sembra risolto, e sembra che ci si stia concentrando sul lato della fruizione. 

    È cambiato il paradigma. E c’è una data precisa, il 2007, quanto è nato l’iPhone. Non che prima non esistessero determinati modi di fruizione delle immagini, ma erano meno netti. Oggi, per esempio, non esiste più il momento. Nel senso che nel ‘900 si costruiva una cosa per utilizzarla in determinato momento. Per fare un esempio, un certo giorno, ad un certo orario si decideva di andare in sala per vedere una determinata proiezione. Adesso, essendo saturi di fruizione, nel senso che accediamo a qualsiasi tipo di possibilità in pochi secondi e ne possiamo fruire all’istante, non c’è più un momento.

    Oggi il film, le immagini, il racconto arrivano da soli. Non li dobbiamo andare a cercare.

    Molti passaggi del libro incuriosiscono chi è partito dal digitale, chi ha tra i dieci e i vent’anni. Non c’è un meglio o un peggio, anzi credo che la loro situazione sia migliore. Loro sono partiti saturi di immagini in movimento, e hanno la curiosità di capire che cosa c’è stato prima. Steve Jobs parlava sempre dell’intersezione tra arte e scienza, lui adorava lumanesimo italiano e ci ha costruito una proposta di marketing.

    Se avessi la palla di cristallo – a proposito di lenti – cosa ci aspetta?

    Non credo che la realtà aumentata sia la svolta. Potrà influenzare, ma non in maniera così impattante. Credo che all’inizio sarà un grande infotainment, quello che vediamo su un smartphone lo vedremo sulla lente di un occhiale. Tuttavia, credo ci sia ancora molta diffidenza verso gli oggetti che vanno ad inserirsi nel corpo umano. Gli oggetti sono sempre stati staccati dal corpo. Le tecnologie come gli occhiali, invece, sembrano andare a innestarsi nel corpo, e questo può essere un limite. In ogni caso, l’uomo adora il movimento, ha sempre preferito vedere i cavalli in movimento, possono cambiare gli strumenti, ma noi uomini non cambiamo mai molto.

    Note