La lingua paradossale del rap sta cambiando: la storia dell’arresto di MHD

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    Nel 2014, Lorne Manly sul The New York Times constatava come sempre più procuratori stessero considerando i testi rap prove processuali, ritenendoli, in alcuni casi, vere e proprie confessioni di crimini. Nello stesso articolo una docente di legge dell’Università della Georgia sottolineava, invece, come “spesso i rapper non vivano la vita che cantano” e si faceva l’esempio di Rick Ross che, pur avendo preso il nome da un narcotrafficante e fatto credere nei testi di avere “un ombroso passato”, prima di dedicarsi alla musica lavorava come guardia carceraria. Non che svolgere una professione simile escluda la possibilità di avere un’indole violenta o di delinquere, ma si tratta di un dettaglio spiazzante per chi è convinto che ci sia sempre e comunque una connessione tra i testi di una canzone e la vita reale dell’autore. Ancora più spiazzante quando si ha a che fare con il rap in cui, spesso, il racconto esplicito fa un “discreto” uso di elementi di finzione.

    Nell’ultimo anno, in Francia, secondo mercato rap al mondo dopo gli Stati Uniti, c’è stato un caso che ha disorientato l’opinione pubblica e ha visto protagonista MHD, rapper in completa ascesa internazionale con tanto di tour in Africa e negli Stati Uniti (Coachella compreso), oltre a decine di date in tutta Europa. Classe 1994, sangue senegalese-guineano, MHD è diventato popolare per il suo stile che fa da ponte tra contemporaneità occidentale e tradizione africana ma anche per la rete di fan tra i calciatori di grido costruita grazie a una delle sue prime hit, Afro Trap Part. 3 (Champions League), pubblicata a novembre 2015 e dedicata al Paris Saint-Germain.

    Tanto popolare da essere invitato all’Eliseo prima da Hollande e poi da Macron per due eventi legati all’Africa. Poi, improvvisamente, la rapida ascesa dell’artista parigino, osannato dalla critica, è stata bloccata dalla legge: da gennaio 2019 fino a luglio 2020, infatti, MHD è stato in carcere con l’accusa di omicidio volontario perché sospettato di aver partecipato a una rissa che ha causato la morte di un ventitreenne, preso a pugni e poi accoltellato. La corte d’appello, la scorsa estate, dopo che è guarito dal Coronavirus (preso in carcere), lo ha rimesso in libertà ma sotto controllo giudiziario, in attesa del processo.

    Mohamed Sylla – vero nome dell’artista – è cresciuto nel 19e arrondissement di Parigi, in un quartiere popolare confinante con la banlieue. Non nei blocchi di cemento isolati di una citè dell’Île-de-France – ambiente da cui arrivano decine e decine di rapper francesi e reso noto in tutto il mondo prima da L’odio di Mathieu Kassovitz e, più recentemente, da I miserabili di Ladj Ly – ma comunque in una zona disagiata in cui, da qualche anno, si dibatte sulle violenze giovanili e ci sono associazioni di genitori che marciano “per la pace”.

    Dopo i primi passi, da adolescente, in un gruppo rap (1.9 Réseaux) caratterizzato da pose gangsta che non sentiva sue, si è messo a fare vari lavoretti fino a quando si è stabilizzato consegnando pizze. Non proprio una vita da Scarface, per citare il film di culto dei rapper più duri. Poi la svolta, l’intuizione di mischiare, in maniera semplice, i suoni della tradizione africana con ritmi hip hop contemporanei, rapparci sopra e battezzare il genere afro-trap: una formula musicale festosa che ha decretato il suo successo da solista, presto diventato planetario grazie alla pubblicazione di un singolo dietro l’altro, una serie di hit confluite in due album, MHD (2016) e 19 (2018).

    Dal primo al secondo disco i testi delle sue canzoni si sono evoluti. All’inizio il giovane artista si è presentato con un immaginario tipico del rap nato nelle strade di periferia, infarcito di status symbol come capi d’abbigliamento griffati e macchine di prestigio, con riferimenti allo spaccio, ai metodi duri della polizia e un legame forte, ribadito a più riprese, con il quartiere e la sua gente, compreso chi vive di espedienti illegali. Poi, arrivato il primo successo, pur portando avanti alcuni tratti di questo background e ribadendo dal titolo del secondo album (19) l’attaccamento al quartiere, è diventato un po’ più riflessivo e sentimentale. Le caratteristiche che sono rimaste più impresse in pubblico e critica, però, sono l’attenzione particolare rivolta all’Africa e al mondo del calcio, due elementi sintetizzati bene dal titolo di una sua canzone, Roger Milla, nome del popolare attaccante che ha militato nella nazionale camerunense da fine anni 70 a metà anni 90 e che, oltre ad aver partecipato a tre edizioni della Coppa del Mondo, ha giocato molti anni nel campionato francese. Un mito per molti africani, usato nel testo del brano come modello per parlare di sé autocelebrandosi: un classico ego trip del rap.

    MHD, insomma, non fa gangsta rap, come ha dichiarato a Libération “uno dei più grandi rapper francesi” che ha preferito restare anonimo vista la delicatezza del caso in cui è coinvolto: “ci sono molti rapper che si inventano delle vite” – ha detto questo artista – perché è “un ambiente di mitomani” ma “MHD non ha mai interpretato il gangster nei suoi pezzi”.

    Aggiungere che il padrino dell’afro-trap prima dell’arresto era incensurato e che si è sempre raccontato e proposto come un ragazzo calmo e attaccato alla famiglia, può spiegare lo spiazzamento che c’è in Francia di fronte al suo coinvolgimento in questo caso di omicidio, accusa da cui si è sempre dichiarato innocente, anche se è stata dimostrata la presenza della sua macchina sul luogo del delitto.

    Poco dopo la sua incarcerazione è uscito su Netflix il primo film in cui recita, Mon frère – Tutto per mio fratello che, caso vuole, ruota proprio attorno a un omicidio.

    MHD è il protagonista e guardandolo si nota subito come il suo stesso aspetto non corrisponda affatto al prototipo del rapper duro e aggressivo, soprattutto perché è davvero molto magro, non muscoloso come, per esempio, una delle star più affermate del rap francese, Booba, protagonista di conflitti molto mediatizzati con vari colleghi e ritenuto tutt’altro che pacifico, anche visto che non ha mai nascosto il suo amore per le armi.

    A prescindere dall’esito del processo, l’affaire MHD sta ponendo in modo differente la questione della corrispondenza tra realtà e testi delle canzoni rap: questa volta nel senso opposto a quello che si è preso sempre in considerazione perché il fatto che l’ideatore dell’afro-trap scriva testi giudicati “puliti” ma potrebbe essere responsabile di un omicidio ha creato un tilt. La vicenda, così, pone dei dubbi sul senso della ricerca di questa corrispondenza e non sarebbe male se portasse a farsi qualche domanda in più sul linguaggio del rap. Già si è messo in evidenza, in alcuni studi, come i rapper, rispetto a musicisti di altre scene, usino molto di più gli pseudonimi ma, nello stesso tempo, nei testi usino molto di più anche la prima persona singolare, l’io. Una sorta di contraddizione, uno scollamento dalla realtà che trova conferma nei continui riferimenti al mondo del cinema perché non esiste un altro genere musicale con un rapporto così intenso con film e serie tv: le continue citazioni di dialoghi e trame nelle rime, l’identificazione in personaggi di culto e i tanti rapper diventati attori danno l’idea di un rapporto privilegiato con queste forme di finzione molto popolari.

    La scrittura rap contemporanea, inoltre, è sempre più frammentata, con le parole subordinate a suoni e ritmi che assumono una forma narrativa del tutto atipica: un verso ha spesso una vita a sé, si incastra bene in quel punto, è disconnesso da quello precedente o successivo e può restare più o meno impresso a seconda della sensibilità dell’ascoltatore che, quindi, può faticare a interpretare il senso complessivo del testo. Certo, le parole le sceglie quel rapper ed è naturale che ci si faccia un’opinione di lui, ma anche l’abuso di questi “esercizi di stile” contribuisce a restituire un profilo fittizio dell’autore. Chiaramente questo non significa che MHD sia colpevole né, al contrario, che Booba sia un santo, ma solo che il linguaggio del rap non è semplicemente diretto come si è abituati a pensare ma può avere diversi livelli di lettura e interpretazione.

    Visto che in Italia i testi rap finiscono sempre più spesso al centro di polemiche e dibattiti pubblici, potrebbe essere utile considerare la presenza di questo grado di finzione, non per giustificare qualsiasi rima ma almeno per provare a capire prima di giudicare. Anche perché si tratta di una sua caratteristica iniziale: il rap è nato per strada quindi, sin dagli esordi, è stato condizionato dalla presenza di un pubblico, in particolare quello del quartiere, e chi prendeva la parola voleva fare colpo sugli altri, differenziarsi, restare impresso e per questo e per evadere dalla realtà di periferia, era portato a romanzare e fantasticare.

    Nelle ultime settimane MHD ha dato un paio di segnali sui social lasciando intendere che potrebbe pubblicare nuova musica. Sempre in attesa del processo e della sentenza, vedremo di cosa parlerà il testo della sua prossima canzone.

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