Siamo sicuri ne valga veramente la pena?

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    L’evoluzione del welfare mix in Italia è dalla metà degli anni 90 un caso emblematico di come l’inerzia interpretativa e la difficoltà di tematizzare i problemi abbia generato situazioni sfuggite poi ampiamente di controllo. Oggi è fondamentale non ripetere gli stessi errori, perché l’attuale fase di introduzione di un nuovo modello di governo del welfare locale è una finestra che deve essere colta in tempo se non si vuole che i fallimenti e le insoddisfazioni la chiudano definitivamente. Per accettare la sfida della collaborazione serve soprattutto pragmatismo, e consapevolezza che ogni processo di cambiamento richiede impegni, tensione verso l’apprendimento attraverso prove e errori e che, comunque sia, se si guarda avanti è sempre meglio che tornare alla situazione di partenza. Che almeno per quanto riguarda il welfare mix negli ultimi anni non ha rappresentato sicuramente il punto più alto di espressione delle potenzialità del terzo settore, né l’apice di un welfare che deve continuamente innovarsi per garantire chi ha davvero bisogno.

    In mezzo al guado
    Gli istituti dell’amministrazione condivisa previsti dall’art 55 del Codice del terzo settore sono al centro di un forte interesse, sia teorico che pratico (Gori, 2022; De Ambrogio e Marocchi, 2023). Il numero crescente di procedure collaborative avviate dopo la pandemia da l’idea di un movimento, se non ancora tellurico, sicuramente importante dell’architettura del welfare mix nazionale (Vesan e colleghi, 2023). Negli ultimi venti anni, i rapporti tra pubbliche e amministrazioni e terzo settore hanno enfatizzato a lungo la concorrenza come principio cardine di una corretta esecuzione del procedimento amministrativo (Fazzi, 2014). L’idea che attraverso una valutazione competitiva si possa selezionare l’ente più idoneo a svolgere determinati servizi non è priva di buone argomentazioni. In presenza di informazioni complete sui problemi da risolvere, di una pluralità di offerta e di meccanismi idonei a effettuare una comparazione non ci sono ragioni per mettere in discussione la teoria dei vantaggi competitivi. Nella classica definizione di Porter (1979), il vantaggio competitivo è ciò che costituisce la base della superiore performance di un’impresa rispetto alle performances delle altre imprese operanti in uno stesso settore di riferimento. I vantaggi competitivi esistono, solo che in molti campi di intervento non è detto che i modelli concorrenziali portino effettivamente sempre alle decisioni più efficienti per problemi di ordine computazionale relativi alla scarsa disponibilità di informazioni atte a impostare un corretto processo decisionale, oppure per la necessità di utilizzare unità di misura (ore di lavoro, numero di prestazioni) che semplificano i problemi e non permettono di coglierne la complessità. Inoltre i mercati competitivi se operano in regimi di risorse scarse tendono a abbassare la qualità dell’offerta e a omologare i servizi imponendo alle imprese strategie di adattamento che ne impoveriscono nel medio periodo la progettualità e la capacità di iniziativa (Borzaga, 2018).

     

    Immagine di copertina di Loyal Deighton su Unsplash

    Note

    Clicca qui per leggere l’articolo completo