Negli ultimi anni le biblioteche sono state oggetto di studi e di ricerche che sempre più hanno contribuito a posizionarle come infrastrutture culturali nodo del sistema del benessere: l’attenzione al tema dell’impatto delle biblioteche, inteso come il cambiamento, il miglioramento in un individuo o in una comunità derivante dal contatto con i servizi bibliotecari ha rappresentato vero cambio di paradigma – nel senso attribuito da Thomas Kuhn a questa espressione – del tutto allineato al cambiamento più generale nella definizione del progresso della società non più misurabile soltanto dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale.
Un esempio concreto è stato l’inserimento di un indicatore di output (“Fruizione delle biblioteche”) all’interno del dominio “Istruzione e formazione” del Rapporto sul benessere equo e sostenibile dell’Istat. Questo dominio esprime la relazione fortissima che esiste tra il livello di competenze e il benessere delle persone per le quali si aprono percorsi e opportunità altrimenti preclusi. Che le biblioteche vadano considerate tra i determinanti sociali della salute e che esse siano il presidio culturale più diffuso e capillare sul territorio non c’è più dubbio. Un esempio è proprio il percorso editoriale realizzato in questa rivista negli ultimi anni e le riflessioni che sono state fatte qui.
Nel valorizzare questo percorso è però anche importante mantenere un approccio critico e riconoscere che purtroppo l’enfasi posta sulle biblioteche non ha determinato una attenzione altrettanto alta rispetto allo stato di salute della professione e, dunque, una valorizzazione del professionista che delle biblioteche determina la vitalità: i bibliotecari – va riconosciuto – sono rimasti sempre piuttosto sullo sfondo. E questo è evidentemente un problema. Si può davvero parlare di biblioteche come nodo del sistema del benessere se non abbiamo una visione chiara del sistema del benessere dei bibliotecari? Possiamo davvero immaginare le biblioteche del futuro senza una riflessione attenta sullo stato della professione in Italia?
Negli ultimi anni il Laboratorio di Biblioteconomia sociale e ricerca applicata alle biblioteche della Sapienza Università di Roma BIBLAB ha condotto diverse indagini che hanno permesso di giungere a una conoscenza sempre più profonda del contesto bibliotecario italiano e uno dei filoni di ricerca più interessanti è proprio quello che vede nel bibliotecario l’interlocutore privilegiato.
Qui di seguito pubblichiamo un estratto del report della ricerca “Cultura, contratti e condizioni di lavoro. Analisi della situazione occupazionale delle biblioteche marchigiane” appena pubblicato dall’AIB con il titolo Il sistema del benessere dei bibliotecari. La ricerca promossa con grande lungimiranza dalla Sezione Marche dell’Associazione italiana biblioteche in carica nel triennio 2020-2023 è stata realizzata dal Laboratorio BIBLAB a partire dalla l’assoluta necessità di analizzare le condizioni lavorative degli addetti per progettare l’impatto delle biblioteche nel nostro futuro prossimo e non solo.
In particolare abbiamo deciso di condividere la parte finale, i dieci punti essenziali che vorremmo arrivassero forti e chiari ai decisori per consegnare loro il cambiamento giusto al momento giusto. L’indagine, infatti, pur avendo coinvolto i professionisti (e non solo) operanti nella regione Marche ha prodotto evidenze assolutamente generalizzabili rispetto allo stato di salute della professione nel Paese. Non solo, pensiamo che la lezione appresa in questa indagine potrebbe essere messa a servizio di una grande ricerca nazionale sul benessere dei professionisti di cui senza dubbio il nostro settore ha un gran bisogno.
Possiamo davvero immaginare le biblioteche del futuro senza una riflessione attenta sullo stato della professione in Italia?
Il percorso che abbiamo descritto in questo report è quello di una ricerca che ha visto forse per la prima volta in Italia nel settore delle biblioteche protagonisti i bibliotecari, le loro problematiche, il loro ‘sentire’ in relazione a tanti diversi aspetti, approfonditi mediante un approccio misto che ha consentito di far emergere sfumature e temi che meritano di essere affrontati da oggi in avanti come vere e proprie urgenze. Dopo aver esplorato tanto le abitudini, la percezione, il sentire degli utenti, era davvero arrivato il momento di guardare con una certa attenzione ai professionisti. Anzi, potremmo perfino dire che l’indagine che abbiamo presentato ci ha dato la netta sensazione di essere in ritardo: in un momento in cui tanto si parla di centralità della biblioteca pubblica nodo del benessere delle persone e in cui si prova a ragionare sul suo futuro è evidente che una conoscenza profonda dello stato di salute della professione è imprescindibile. Torniamo alla questione iniziale: se crediamo davvero alla prospettiva che vede le biblioteche come un nodo del sistema del benessere dei cittadini, dobbiamo comprendere pienamente le caratteristiche del sistema del benessere dei bibliotecari con le sue criticità e le sue fragilità. […] È proprio in quest’ottica che in questo paragrafo abbiamo deciso di riportare i principali risultati ottenuti proponendo una sorta di decalogo che parte dai temi emersi nel paragrafo in cui abbiamo restituito i risultati del questionario integrati con le considerazioni emerse dall’approfondimento qualitativo.
1. La realtà delle biblioteche è fortemente diversificata negli equilibri interni e nelle dinamiche della gestione del lavoro: ci sono realtà in cui pochi professionisti svolgono molti servizi e attività assieme (bibliotecari multitasking). Ci sono realtà specie le biblioteche più piccole – in cui questo accade con un’unica figura (bibliotecario o anche volontario) che si occupa di tutte le attività della biblioteca, da quelle progettuali a quelle gestionali e promozionali. Se questo approccio porta anche a un arricchimento in termini di competenze, saper fare e visione della professione, l’impatto che questo ha nella gestione quotidiana del lavoro è forte e potenzialmente pericoloso nel tempo. Quanto questa convergenza è sostenibile?
2. La risposta a questa domanda è essenzialmente negativa. Per molti rispondenti la professione bibliotecaria non è una professione sostenibile: non consente una buona gestione dei tempi di vita e di lavoro, se si tiene in considerazione soprattutto il fatto che è una professione con una forte componente intellettuale che richiederebbe un approfondimento e un aggiornamento costanti.
3. Un altro elemento che connota la professione bibliotecaria come non sostenibile è la retribuzione e l’inquadramento contrattuale (con frequentissime situazioni di precariato) che rappresentano senz’altro la principale criticità. La professione sembra non consentire una autonomia economica. Emerge l’ombra di uno stato di precariato che si va consolidando entrando evidentemente in conflitto con quella esigenza di approfondimento e aggiornamento costante della quale si è detto sopra.
4. Questa è la ragione per la quale in diversi casi la professione viene accostata ad altri lavori, perlopiù nel settore culturale e/o educativo (bibliotecario multipurpose). Ciò può ‘diluire’ le competenze tecniche specifiche della professione e al tempo stesso arricchirle. Ciò può ‘diluire’ perfino la percezione di essere e di sentirsi un bibliotecario. I bibliotecari multipurpose si sentono bibliotecari? Si tratta di un ambito che deve essere assolutamente indagato e approfondito e che in questa indagine abbiamo intuito e analizzato per quanto possibile ma non è abbastanza.
5. Sebbene le condizioni lavorative dei precari rappresentino una vera e propria emergenza per la professione, anche la situazione dei lavoratori dipendenti a tempo indeterminato (perlopiù dipendenti pubblici) presenta gravi limiti. L’immobilità delle carriere e delle retribuzioni – le quali sono legate all’eventualità che venga bandito e vinto un concorso e sono invece slegate dai risultati conseguiti nel corso dell’attività lavorativa – è motivo di grande insoddisfazione per i bibliotecari.
6. Il rapporto – più o meno diretto – che i bibliotecari hanno con gli amministratori e i decisori politici rappresenta spesso un altro motivo di insoddisfazione, perché la percezione è che il servizio bibliotecario e la professione bibliotecaria non vengano comprese appieno da parte dei decisori e, dunque, non siano affatto valorizzate. Il rapporto con i decisori è complesso e spesso fragile, complice anche una certa difficoltà dei bibliotecari nel comunicare bene e far percepire davvero l’importanza della biblioteca e del loro lavoro.
7. Dall’indagine emerge con forza l’importanza dello studio, della professionalizzazione e dell’aggiornamento, anche dopo il raggiungimento di posizioni di responsabilità. Alcuni bibliotecari sottolineano il ruolo rilevante dell’AIB nella formazione. L’aggiornamento delle competenze è percepito come fondamentale, si è già detto. In questo momento, la percezione diffusa è che il digitale e la comunicazione siano le aree sulle quali c’è più bisogno di investire in formazione. Ma attenzione: formazione e acquisizione di nuove competenze sono un mezzo, non un fine. Questo non è sempre chiaro.
8. Soddisfazione ed entusiasmo per il lavoro in biblioteca, da una parte, e fiducia nel futuro, dall’altra, sono due elementi che si influenzano a vicenda. Oltre alle competenze tecniche c’è una componente passionale assolutamente fondamentale. Questa in molti bibliotecari nasce nel momento in cui condividono l’idea che la loro sia una professione ‘a servizio del futuro’ (della comunità, delle nuove generazioni, della cultura ecc.). Tuttavia il futuro della professione è incerto. Incerto il futuro della professione anche perché sembra crescente il fenomeno che vede i giovani bibliotecari (spesso maggiormente qualificati) lasciare il lavoro in biblioteca. Le cause sono da ricercare nel concetto di non sostenibilità della professione evidenziato sopra (bibliotecario ghoster).
9. La maggior parte dei bibliotecari che hanno risposto al questionario non sono associati AIB. Questo ha consentito di fare anche un approfondimento sulla percezione dell’Associazione. Dobbiamo immaginare un continuum: da un lato ci sono i professionisti che hanno un rapporto dichiaratamente conflittuale con l’AIB, della quale non comprendono più (in molti casi si tratta di ex soci) l’identità e il supporto fornito ai bibliotecari; dall’altro ci sono coloro che conoscono l’AIB ma che non sentono l’esigenza di farne parte, ritenendola lontana o irrilevante per la propria vita e carriera.
10. Nonostante dai dati emerga con forza l’urgenza di alcune problematiche della professione (retribuzioni e inquadramenti contrattuali sopra tutte), spesso i rispondenti dimostrano un basso livello di consapevolezza relativo a questioni contrattuali, amministrative o economiche, spesso associato a una scarsa fiducia nel fatto che questi temi possano essere affrontati, e auspicabilmente superati, attraverso un lavoro all’interno della comunità professionale.
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