Le scrittrici InQuiete: cultura e partecipazione

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    “La notizia del 2017 è che le donne scrivono. E che scrivono bene. E che con questa scrittura riempiono le piazze.”

    Nello spazio dedicato alle Biblioteche di Roma proprio sotto la Nuvola nel centro congressi romano in cui si è tenuta la fiera Più libri più liberi, scoppia un grande applauso. A parlare è Viola Lo Moro, socia fondatrice della Libreria delle donne Tuba, seduta al tavolo dei relatori per raccontare l’esperienza di InQuiete, il festival di scrittrici che si è tenuto a fine settembre e che ha riscosso un inaspettato successo di pubblico.

    InQuiete è stata la brillante risposta al pensiero comune – attestato continuamente dai media – per cui le donne sanno raccontare solo storie marginali e debbano essere lette solo da altre donne, relegando la letteratura femminile a “scrittura di genere”.

    Il nome del festival racconta due cose e la prima è proprio questa inquietudine, quel filo di rabbia provocato dal sentir ripetere queste affermazioni. Quel filo di rabbia che nella mente di cinque donne creative è diventato un grande desiderio: realizzare un festival che parlasse di scrittrici e fosse dedicato a lettori e lettrici, diventando vero e proprio progetto culturale sostenibile, accessibile e diffuso anche in altri momenti dell’anno.

    Ma andiamo per gradi.

    In un piacevole week end settembrino dall’aria ancora tiepida, più di 5000 persone hanno partecipato a reading, tavole rotonde, cene con l’autrice e agli incontri previsti dal programma raffinato di InQuiete. Più di 1500 persone al giorno, più di 70 ospiti tra cui molti nomi importanti di autrici italiane e tre giornate dedicate alle donne che scrivono, alle lettrici e ai lettori.

    Il tutto si è svolto tra i due avamposti culturali del quartiere, perfettamente dirimpettai nell’isola pedonale del Pigneto a Roma: la Libreria delle donne Tuba e la Biblioteca Goffredo Mameli. Una libreria e una biblioteca comunale che hanno messo in campo una condivisione di intenti: l’amore per i libri, la lettura e la letteratura scritta da donne. La biblioteca ha aperto le sue porte, le bibliotecarie hanno messo a disposizione il loro lavoro, le loro competenze e lo spazio, l’ampio cortile ha accolto le centinaia di persone che hanno assistito agli incontri. La libreria, che lavora da dieci anni sul territorio, ha messo su una squadra di lavoro composta da alcune delle sue socie fondatrici Viola Lo Moro, Barbara Leda Kenny, Barbara Piccolo e da due operatrici culturali Francesca Mancini e Maddalena Vianello, e ha organizzato il festival.

    Chi sostiene che librerie e biblioteche siano concorrenti e in competizione ha dovuto fortemente ricredersi in quel week end di settembre: una biblioteca e una libreria sono come strumenti musicali, suonano incantevoli melodie da soli ma quando si mettono insieme formano un’orchestra che produce una musica tanto deliziosa quanto trascinante, e che molti, moltissimi hanno voluto ascoltare.

    Incontro Viola Lo Moro e Barbara Leda Kenny, due delle organizzatrici InQuiete, per parlare di produzione culturale e, come prima domanda mi interessa la sostenibilità economica del loro progetto.

    “Sono contenta che tu ci chieda della sostenibilità, qui a Roma non si parla mai di soldi” dice Barbara Leda Kenny “E’ nata prima l’idea di un fare un festival poi ci siamo poste la questione di come finanziarlo. Avevamo valutato l’ipotesi di affidarci al sistema dei bandi cittadini, il Bando dell’Estate Romana per esempio, ma poi l’abbiamo scartata per diversi motivi: i tempi di pagamento non sono certi, avremmo dovuto esporre la libreria a un debito che non sapevamo poi come sarebbe rientrato e i tempi di risposta dei bandi non coincidevano con l’organizzazione del festival – i risultati arrivano a luglio e a luglio avevamo già chiuso il programma. La strada del pubblico quindi l’abbiamo scartata. Poi, visto che a Roma purtroppo mancano interlocutori privati che finanziano progetti culturali, abbiamo deciso di fare un crowdfunding. Abbiamo partecipato a un bando di Banca Etica, “Produzioni dal basso” secondo il quale se raggiungevamo i tre quarti dell’obiettivo che ci eravamo prefissate con il crowdfunding, la banca avrebbe colmato l’ultimo quarto.”

    Barbara Leda Kenny racconta come il crowdfunding sia andato al di là delle aspettative, superando abbondantemente la richiesta e arrivando a raddoppiare il budget che era stato prefissato (per un totale di 13.000 euro), perché InQuiete “ha avuto la magia di essere il festival giusto al momento giusto, ha intercettato un entusiasmo che ha anche reso possibile la sostenibilità del progetto.”

    Avendo una predilezione per il “come avete fatto”, chiedo loro di raccontarmi nel dettaglio come – se pur con molta passione e un grande entusiasmo dietro a un’idea (molto buona) – si riesca a mettere in piedi un progetto culturale con risorse limitate.

    “A volte si pensa che per fare cultura servono solo i soldi, sì è vero, ma i soldi possono arrivare anche non in forma di contanti”.

    Una società di comunicazione che dà una mano insegnando alle stesse organizzatrici come fare una diretta facebook o una campagna social, una radio che diventa media partner trasmettendo interviste alle autrici presenti al festival, negozi di parrucchiere che hanno supportato alcuni incontri sulla bellezza femminile, il ristorante che mette a disposizione lo spazio per ospitare le “cene con l’autrice”. E anche l’Angelo Mai – altro luogo importante di cultura e arte dal basso a Roma – che oltre a fornire attori e attrici ha fisicamente supportato il festival fornendo sedie e panche per il pubblico che inaspettatamente era più del doppio di quanto ci si aspettasse.

    Ma questo supporto non nasce per amicizie “individuali” o per il “fammi un favore” nasce per il lavoro che Tuba, la libreria delle donne, fa e ha fatto sul territorio nei suoi dieci anni di esistenza, creando una rete di privati e associazioni disposte a condividere una visione di cultura accessibile e rivolta a tutti.

    L’idea e la pratica hanno quindi creato un circolo virtuoso di collaborazioni. Con le Biblioteche di Roma, che rimangono una delle poche istituzioni virtuose pubbliche in questa città avara di supporto a chi fa cultura: “Quello con le biblioteche è stato un partenariato tecnico riuscitissimo – racconta Barbara – Librerie e biblioteche sono un connubio che può dare moltissimo al territorio perché se si crea una collaborazione si riesce davvero ad avere un effetto moltiplicatore di quello che si fa. Le biblioteche rimangono un’infrastruttura fisica importante – quasi tutte le attività si sono svolte nello spazio della biblioteca – e che ti sostiene: sedie, giardino per i bambini, bagni. Una infrastruttura che le persone già sentono come loro, e quando proponi un festival, non hai l’estraneità del luogo. E’ subito casa.”

    Un’altra collaborazione è nata con alcune case editrici che hanno aiutato la sostenibilità del festival coprendo i costi logistici in modo che fossero presenti le loro autrici di punta. Ma tutte le scrittrici – ci tengono a raccontare – ovvero le 73 ospiti per i 40 eventi, hanno deciso di venire gratis per sostenere il progetto, alcune rinunciando anche al rimborso del viaggio. Quello che evidentemente le ha colpite è stata l’autenticità del festival che è arrivato in un momento in cui era necessario fare un discorso ben preciso sulla letteratura scritta da donne.

    Ma non tutto si basa sullo scambio di competenze e di mezzi.

    Con un budget di poco più di 10.000 euro con cui coprire le spese vive del festival, le organizzatrici hanno omesso il proprio il lavoro dalla copertura finanziaria, rendendo però sostenibile il lavoro di tutte le altre figure professionali coinvolte.

    “Ci tenevamo a dare un gettone minimo ai professionisti e alle professioniste che hanno lavorato al festival, cioè ai tecnici e alle attrici e agli attori che hanno letto, perché in qualche modo esulavano dal discorso letterario di per sé – dice Viola Lo Moro – Le scrittrici hanno in qualche modo un ritorno, visto che presentano o parlano dei propri libri. Mentre c’erano competenze professionali che volevamo riconoscere, soprattutto perché, venendo noi stesse, dall’ambito culturale, sappiamo che spesso non sono riconosciute.”

    Ricordando come il crowdfunding abbia, oltre che fornito il budget per le spese del festival, anche creato un interesse e un’attesa per il festival a cui si aspettava con ansia di partecipare, Barbara Kenny sottolinea come questo metodo di raccolta fondi non possa essere una strategia di lungo periodo.

    “Il festival, che comunque ha avuto 5000 presenze e quindi non è stato un piccolo festival di quartiere ma un festival molto partecipato con una dimensione cittadina – con 50 volontarie che hanno fatto l’accoglienza, la distribuzione dei materiali, i turni in libreria, hanno smontato sedie insieme a noi – è stato sostenuto molto dal basso, è nato grazie alla generosità dei donatori. Se guardiamo avanti però sappiamo che ‘l’amore’ non è una chiave di sostenibilità. Consente il lancio ma non può essere l’unico modo. Per la prossima edizione continueremo con la chiave del crowdfunding, ma il successo del festival ci ha permesso di aprire delle interlocuzioni e nei prossimi mesi capiremo cosa succede.”

    La seconda cosa che il nome del festival racconta è la tranquillità, quella quiete che si può avere quando ciò che vogliamo fare diventa semplice. E in questo caso si tratta della completa accessibilità del festival.

    “Il successo di InQuiete nasce anche dall’accessibilità che abbiamo voluto dare al festival: non c’erano porte. Tutti potevano entrare un momento anche solo per dare un’occhiata. Non c’erano barriere architettoniche e il festival era gratuito – racconta Barbara Kenny – ma l’accessibilità non è solo una questione di soldi e barriere architettoniche: abbiamo previsto attività per bambini parallele agli incontri in modo che i genitori vi potessero partecipare. L’accessibilità alla cultura è una chiave importante.”

    L’autenticità di InQuiete sta in un’idea che è tanto importante quanto lo è far quadrare le spese per fare il festival: si parla di scrittrici, di donne ma non è un discorso che si fa PER le donne, si fa per tutti. Se i festival letterari (in cui sono presenti sempre molti più scrittori che scrittrici) si fanno per lettori e lettrici anche un festival di scrittrici è un festival per lettori e lettrici.

    “In generale si tende a ragionare per inclusione ed esclusione, quindi se e come le donne siano incluse o escluse dal discorso. A noi questo discorso qui non è mai interessato, il discorso che ci interessa non è né inclusivo né esclusivo: è di produzione culturale – afferma Viola Lo Moro. Una produzione culturale che per noi di Tuba, da 10 anni è fatta da donne e che non è escludente nei confronti degli uomini ma semplicemente denota uno status quo. Ovviamente il nostro festival era ed è un festival di scrittrici ma parla a tutte e tutti perché, come quella degli uomini, la scrittura delle donne parla a tutti e tutte. Non c’è nessuna ragione per cui Carver dovrebbe essere letto da uomini e donne mentre Ferrante solo da donne.”

    Produzione culturale sostenibile fatta da donne, questo è lo status quo di cui parla Viola Lo Moro e che fa di Tuba, un nucleo da cui possono partire idee innovative a Roma.

    “A proposito delle donne – afferma Barbara Kenny – la cosa importante è avere più donne in grado di costruire spazio pubblico, perché uno spazio pubblico pensato da donne è uno spazio che siamo poco abituate ad attraversare. Ce ne sono molti meno, perché la dimensione pubblica in Italia continua a essere fortemente maschile e quindi la nostra sfida era un po’ quella: costruire uno spazio pensato e determinato affinché quel protagonismo fosse delle donne.”

    Una sfida riuscita per InQuiete e un buon proposito per il 2018 per tutte e tutti coloro che si occupano di produzione culturale. “Perché – come dice Viola Lo Moro – oltre a sognare, le donne sono in grado anche di realizzare.”

    Note