Forme vaghe danzarono sul fango lucente

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    Questo è il racconto delle circostanze intorno alle quali è nato uno dei miei ultimi lavori, selezionato nell’ambito della seconda edizione del bando URRÀ TORINO_ URban RegenerAction in Torino, un progetto di Innovazione civica che prevede la realizzazione di opere di arte pubblica in aree di edilizia residenziale pubblica della città promosso dall’Associazione Kallipolis in collaborazione con Atc del Piemonte Centrale e con il sostegno della Compagnia di San Paolo  

    Sono entrato per la prima volta nei cortili delle case ATC di via Verolengo, nel quartiere Lucento, pochi giorni prima del solstizio di quella che sarà ricordata come una delle estati più torride degli ultimi due secoli. Due isolati tardo liberty di forma trapezia costruiti tra il 1925 e il 1927. Il toponimo LUCENTO (Lusent) deriverebbe dal termine latino Lucus, cioè, bosco, selva. tuttavia, ipotesi più leggendarie riconducono al termine LUCENTE dovuto per alcuni, al riflesso dell’acqua delle anse della Dora Riparia osservate dai poggi della collina, per altri, allo “scintillìo” delle baionette utilizzate durante lo storico assedio del 1706, che proprio in questa zona ebbe uno dei suoi teatri di sanguinosa resistenza. Ricordo il forte contrasto fra una certa grazia delle architetture e dei loro dettagli con uno stato generale di criticità delle condizioni ambientali, tratto peculiare di questa tipologia di insediamenti: automobili parcheggiate ovunque, precaria gestione della manutenzione delle parti comuni, scarso decoro dei cortili nei quali pervade un senso di grave disordine e disagio. In particolare, in uno dei due cortili solo parzialmente alberato, la parte centrale è coperta da una sconnessa superfice di autobloccanti di cemento. Uno spiazzo assolato nel quale campeggia un cumulo di rottami di mobili al centro di una congerie di cassonetti per la raccolta differenziata e il fetore proveniente da una teoria di contenitori per la raccolta dell’umido. Così quello che potrebbe essere uno spazio abitato dai desideri e dall’immaginazione degli inquilini, frontiera dei giochi per i bambini e piazzetta per fumare e bere birrette dai ragazzini, non è null’altro che uno spiazzo assolato di cemento, luccicante di vetri rotti, regno dell’immondizia.

    Durante le prime settimane ho preferito osservare secondo una modalità «sotto copertura». Senza dare spiegazioni precise su quali fossero le ragioni dei miei zonzi intorno alle case.

    La domanda ricorrente è stata:

    «lei è dell’ATC?» e nonostante un mio «NO», perentorio, tutti o quasi, senza darmi alcuna possibilità di replica, mi informano con una sequenza di rivendicazioni riassumibili con:

    «qui è tutto uno schifo».

    In cuor mio durante questi incontri casuali con gli inquilini sono stato più volte tentato di abbozzare una replica: portarli a immaginare la possibilità, che tale stato di conclamata precarietà è anche il risultato di una loro scarsa affezione e attitudine alla cura del bene comune. Tentazione dalla quale ho sempre desistito, tenendo fede al principio che avvertito un senso di diffuso disincanto e rassegnazione, è grottesco presentarsi come l’artista che arriva e sistema le cose colmando un presunto deficit di bellezza.

    E così, in assenza di un organismo spontaneo di rappresentanza delle rivendicazioni degli inquilini, ho preferito proseguire con incontri casuali e ascoltare i loro racconti. Successivamente, senza particolari clamori, ho incontrato i tecnici dell’ATC e del servizio raccolta rifiuti per cercare di capire come migliorare le cose. Preferisco tacere le considerazioni tecniche, le difficoltà imposte dal regolamento sindacale degli operatori della raccolta e degli autisti dei mezzi, ciò che posso affermare è che dopo aver rotto le scatole sino ad agosto, pur trovandomi di fronte un generale atteggiamento di deresponsabilizzazione, abbiamo raggiunto qualche miglioramento visibile.

    Nel frattempo, ho cercato forme di approccio possibile e sensibile a una realtà delle cose così disgregata. Trovare un equilibrio positivo tra il non generare eccessive aspettative e non disattendere le attese. Provo a farli smettere di pensare solo alle cose che non funzionano con la domanda: Raccontami una cosa bella – Mi parlano di una festa nei cortili dedicata alla Madonna durante il mese di maggio, Una scultura portatile custodita all’interno di un’edicola di legno esposta nei due cortili, seguiva una benedizione del parroco e un banchetto, una forma di solidarietà di vicinato fra le famiglie, oggi quasi del tutto perduta. Facile immaginare, per molti di loro, molto giovani, spesso emigrati dal sud, quanto fosse importante stabilire dei rapporti con i propri vicini. In questo clima di generosa collaborazione non di rado questa si estendeva alla cura della vegetazione dei cortili e il desiderio di mettere a dimora nuovi alberi. Questi racconti sono un esplicito segnale della difficoltà della comunità di esprimere delle volontà condivise. Dopo essermi interrogato a lungo su cosa fare, questo il risultato:

    Sciogliere il veleno

    «Strappare dai loro occhi sguardi di rassegnazione. Donare loro la fiducia nel credere che il loro impegno può migliorare ogni cosa. Che i loro cortili diventino il campo di prova dei loro desideri. Luoghi a disposizione di tutti, sotto la protezione e la cura di ognuno. Al principio di questo percorso non avrei saputo dire cosa avrei fatto ma avrei saputo spiegare esattamente come farlo.»

    Il mio lavoro non lascerà tracce visibili permanenti

    Misurata l’inutilità ai loro occhi di un qualunque tipo di poiesis (portare in essere qualcosa che prima non esisteva) ho scelto di sperimentare un’esperienza collettiva dal vivo, nello spazio pubblico, che può, nelle intenzioni, essere percepita come un’impronta da conservare nella coscienza e rievocata alla mente dalla memoria affettiva. L’intenzione è l’auspicio che induce un mutamento mentale che trasforma i comportamenti. L’opera assume la forma temporanea di una rappresentazione rituale struggente ma anche giocosa, popolare, capace, mi auguro, di risvegliare le coscienze e l’espressione della volontà di appartenere a una architettura sociale animata dal desiderio di costruire una visione stabile di futuro. Un’azione semplice e al tempo stesso sorprendente, il mio dono rivolto a una comunità fragile, orfana di un organo di rivendicazione spontaneo. In soccorso alle mie convinzioni, ho scoperto per caso dell’esistenza di una banda sociale, La Banda Musicale Salus nata nel primo dopoguerra con la paziente e amorosa opera di Padre Giulio Pontalti, dei Padri Giuseppini del Murialdo, il quale raduna alcuni ragazzi presso l’allora Chiesa di Nostra Signora della Salute, oggi Santuario, in Borgata Vittoria a Torino e insegna loro la musica. Grazie all’abnegazione del religioso ed all’entusiasmo di quei ragazzi, nel maggio del 1946 la Banda musicale tiene il suo primo concerto. Oggi è diretta dal Maestro Massimo Sanfilippo, allievo di Lorenzo Della Fonte, e attualmente Direttore della Banda Musicale del Corpo di Polizia Municipale della Città di Torino. Un autentico colpo di fortuna e grazie alla loro generosa, quanto sorprendente, collaborazione ho potuto mettere a punto il programma di esecuzioni e il tipo di arrangiamenti necessari al rituale.

    La prima formazione della Banda Musicale Salus, maggio 1946

     

    Disegnare con le orecchie

    Il nome che ho scelto per definire questo esperimento è Momentary Place. L’opera nella sua improvvisa e transitoria consistenza attraversa i cortili e si configura con i caratteri di un passage che evoca gli stati emotivi di una processione rituale. Costruire uno spazio con il suono richiede una complessità diversa che “suonare” semplicemente un suono. Gli spazi comuni del quartiere sono investiti improvvisamente da una messa in scena pianificata con estrema precisione.  Il disegno di una traiettoria che lungo il suo svolgersi fa del suono, delle pause e soprattutto dei silenzi un’entità spaziale per l’orecchio di un pubblico eterogeneo. Gli invitati, appositamente per la rappresentazione, si mescolano con un pubblico casuale di residenti del quartiere e di un contesto prossimo per diventare tutti parte dell’opera, attori inconsapevoli di un tableaux vivant, parti emotive di una scultura diorama in movimento. L’attraversamento dei cortili da parte della banda, seguita dal corteo di pubblico e inquilini, è organizzato con quattro tappe, l’ultima delle quali disegna il momento finale. Negli intervalli prima di ciascuna esecuzione della banda la bellissima voce soprano di Fé Avouglan legge, affacciata dalle finestre delle scale degli edifici, i dodici articoli di un Regolamento Aureo, un regolamento di condominio senza divieti e appena prima del finale la Formula del Dono.    

     IL REGOLAMENTO AUREO

    QUESTO È UN REGOLAMENTO SENZA DIVIETI

    Art. 1 Pensate al vostro quartiere come un’Unità indissolubile composta da 8 edifici, 36 scale, 251 appartamenti + 4 portinerie

    Art. 2 Questi cortili sono il vostro Elisio, fate che siano giardini senza iniquità ed egoismi, luogo di privilegio per l’ozio

    Art. 3 Amate le vostre Case, luogo di pace, rifugio dal torto, da ogni paura e dalla discordia

    Art. 4 32 sono gli alberi che abitano le vostre corti, ciascuno rappresenta il presidio del vostro tempo, prendetevi cura di ogni centimetro della loro terra e delle loro ombre

    Art. 5 Programmate di mettere a dimora un albero in occasione di ogni nuova nascita

    Art. 6 La reciprocità del dono è il fondamento della vita di buon vicinato

    Art. 7 Manifestate un’attitudine desiderante condivisa verso una visione stabile di futuro

    Art. 8 Coltivate visioni, interrogatevi su come, con il vostro impegno, migliorare la qualità degli spazi comuni

    Art. 9 Siate discreti e difendete la libertà degli altri

    Art.10 Il lavoro coordinato di una piccola squadra di manutenzione può essere il principio di azioni mirate di autodeterminazione

    Art.11 Non sfuggite il conflitto, ciascuno con la propria disponibilità e responsabilità partecipi attivamente a consolidare una Comunità coesa

    Art.12 Riaprite in una delle portinerie una nuova sede di un comitato spontaneo di programmazione e rivendicazione coordinata

    LA FORMULA DEL DONO

    QUARTIERE ATC – via Verolengo 181 / via Forlì 65

    Torino, XXVIII – X – MMXXII

    Riunirsi in silenzio in questi cortili,

    al tramonto del 35° giorno dal solstizio di Autunno,

    stagione di nuova ricchezza, sarà la nostra ora.

    Questo è Il primo saluto comune e molteplice di un nuovo corso di questa Comunità.

    Ho disegnato con le orecchie per voi la mia intenzione.

    Sciogliere il veleno in un rituale di assorbimento,

    possibile risveglio di impulsi emotivi sepolti.

    Ora siamo permeati dell’energia del mistero delle presenze invisibili di questi cortili. Un’azione densa, di cui non rimarrà traccia, presente al lato selvatico del tempo.

    “NULLUS LOCUS SINE GENIO”

    Questo ascolto ci avvicina all’In, il Genio,

    l’intima peculiare qualità del luogo e dei suoi ricordi.

    Qui, oggi, il primo ricordo

    è per Adamo Tambone e Luisa Perlo a cui dedico questa intenzione.

    Semplici gesti quotidiani possono riannodare le diversità dei nostri fili sciolti: Accarezzate gli alberi di questi cortili, curate e bagnate la terra di questo vostro giardino. La Poesia e la Bellezza ci libereranno della pena, dal dolore e dalla rabbia.

    Questi suoni ci hanno condotto verso la luce nera

    dalla quale riaffiorano i ricordi e il senso al principio delle cose.

    Nel ricordarli proveremo gioia pura e si faranno sogni lucidi.

    Questa intenzione è il risveglio, Urrà! il nostro Dono al luogo, la vostra Kallipolis.

    Si dirà: Quel giorno pianteremo un albero e condivideremo un Pane speciale.

    E da qui il fuoco e il profumo delle cucine ci scalderanno:

    Nulla di questo accadrà senza le vostre intenzioni,

    queste non sono altro che Forme Vaghe che hanno Danzato sul Fango Lucente.

     

    ph. Pietro Oliva

    ph. Valentina Arba

    ph. Valentina Arba

    ph. Cosimo Maffione

    ph Valentina Arba

    ph. Cosimo Maffione

    Maurizio Cilli ringrazia per la mediazione Rita Cararo, Anna Henry, Federica Bougnier, etc… di Kallipolis, per l’ufficio stampa Caterina Rosso, il curatore Sergey Kantsedal, i partecipanti alla giuria Caterina Avataneo, Guido Costa, Gianluigi Ricuperati, Simona Patria, Luisa Perlo, il Maestro della Banda Salus Massimo Sanfilippo, i musici: Salvatore Altomonte Tromba, Paolo Bena Bassotuba, Antonio Bifulco Tromba, Nicola Buontempo Clarinetto, Cataldo Caputo Clarinetto, Simone Caputo Rullante, Domenico Caruso Sax Tenore, Mirko Cavuoti Cassa, Mariko Ceccato Flauto, Fabrizio David Clarinetto, Antonio D’Attellis Clarinetto, Jimmy D’introno Euphonium,​ ​Ilenia D’introno Corno, Luca Fiorio Trombone, Daniela Immordino Tromba, Francesco Imperiale Tromba, Luca La Barbera Corno, Domenico La Barbera Tromba,​ ​Francesco Palladino Trombone, Elena Ricca Clarinetto /sax, Fabio Romagnoli Corno, Christian Salvatore Trombone, Giovanni Spagnolo Flicorno, Teresio Virano Euphonium, Adriano Zamboni Cornola voce soprano Fé Avouglan, l’artista Katya Kabalina, l’interprete Elvira Akhmetgaleeva, per il mantello ricamato di Fé la stilista Melina Benedetto, i miei assistenti Davich Trombetta e Filippo Ranzani, Enza Tambone, Andrea Tortorella – Pastis Torino – per la panificazione speciale il forno di Angela Giuliano, per il servizio di catering «Le Fonderie Ozanam»

    Dedico «Forme vaghe danzarono sul fango lucente» al ricordo di Luisa Perlo † ciao Lu.

    Note