Donizetti: un teatro al servizio della comunità

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    Maria Grazia Panigada è dal 2015 direttrice della Stagione di Prosa del Teatro Donizetti e del Teatro Sociale di Bergamo, ma è anche cofondatrice di “Patrimonio di Storie”, che si occupa di intrecciare con sapienza narrazione e patrimonio culturale, ed è reduce da una collaborazione inedita con la Direzione regionale Musei Lombardia, organismo del MIC, per la quale ha progettato, su esplicita richiesta di Emanuela Daffra, Direttrice, il Festival Voci Umane. Musei e Teatro di Narrazione dove spettacoli di narrazione creano risonanze con i siti d’arte che li ospitano.

    Un’attività molteplice, un’attenzione alla relazione importante tra cultura e persone, unita a un successo assolutamente controcorrente della prosa del teatro di Bergamo, luogo che ha dovuto aumentare le repliche, che registra il tutto esaurito, che porta avanti con tenacia e professionalità un esempio virtuoso di teatro economicamente non solo sostenibile ma anche in attivo, capace di esportare delle proprie produzioni e di coinvolgere ragazzi e ragazze, adulti, la collettività, con uno sguardo che si sta costruendo nel tempo anche verso il mondo della marginalità.

    In questo momento, in cui sembra non esserci istituzione culturale che non citi, in modo più o meno coerente, i risultati del dossier dell’OMS sulla relazione tra benessere e accesso alla cultura (tradotto e messo a disposizione dal Cultural Welfare Center – Torino sul proprio sito), questo esempio può raccontare la relazione fortemente voluta e messa a punto, tra teatro e promozione dello sviluppo della persona, del suo stare bene, del suo acquistare consapevolezza, dell’accesso alla cultura.

    ph. Luciano Rossetti

     

    G.B.: La Convenzione di Faro, testo a difesa dell’amore per il patrimonio, che sostiene l’idea di comunità di eredità, può valere anche per quella forma d’arte che è il teatro? Come una comunità può sentire il teatro come eredità condivisa?

    M.G.P.: Il teatro nasce nella città e per la città, soprattutto un teatro come il nostro, che è un ente a diritto pubblico, ha come mission principale l’essere al servizio della comunità. Questo aspetto deve essere considerato non come un vincolo, ma come una libertà. Io giro tutto l’anno per vedere spettacoli, parlo con attori, registi, produttori, è un lavoro certosino fatto di viaggi, incontri, visioni… La mia scelta dei cartelloni poi segue due filoni: da una parte, ovviamente, la qualità artistica, la bellezza dello spettacolo, il valore degli artisti, ma dall’altra anche il suo significato, la necessità che precede e segna la scelta dell’allestimento. I due aspetti sono fortemente intrecciati nel mio lavoro anche in vista dei progetti che costruisco intorno agli spettacoli. Sinceramente non è fra le mie priorità di fare cassetta (anche se è principalmente di questo che devo rispondere perché gli incassi, non avendo finanziamenti del FUS, servono a ripagare i costi), questo aspetto però, ne sono certa, è la conseguenza del lavoro fatto. Quest’anno abbiamo avuto il 96% di rinnovi e in totale sfioriamo i 5000 abbonati. Ed è bello che questo accada proprio a Bergamo dopo il periodo difficile della pandemia, durante il quale si è come rafforzato il senso di comunità teatrale. Metafora di questo è stata la raccolta, quando il teatro doveva restare chiuso, dei ricordi degli artisti che hanno calcato il nostro palcoscenico, insieme a quelli delle maestranze e del pubblico. Nella lontananza ci siamo aggrappati alla memoria condividendola attraverso i social.

    G.B.: Una comunità di eredità nasce per la capacità di portare avanti un passaggio di generazione in generazione. La prosa del Donizetti coinvolge un numero altissimo di ragazze e ragazzi, come è stato possibile? Quanto tutto ciò è casuale, e quanto lo si deve a una formazione che ha anche a che fare con l’accorciare le distanze tra il palcoscenico e chi il teatro non l’hai mai inserito nel perimetro della sua esistenza?

    M. G. P.: Da due anni la Fondazione Teatro Donizetti ha una propria sezione di Servizi Educativi. I giovani di Istituti Tecnici, Licei, Istituti professionali vengono coinvolti in progetti di formazione dove prevalgono metodologie attive, che creano una possibilità di confronto e di presa di responsabilità. Con i testi classici questo vuol dire, oltre al lavoro sulla assunzione di strumenti per comprenderne la messinscena, anche porre al centro una lettura che possa interrogare e diventi riflessione sui propri vissuti e sul mondo di oggi. Questo vale ancora di più per gli spettacoli che ci permettono una riflessione sulla contemporaneità. Sono convinta che i nostri progetti siano anche di sostegno alla costruzione di una cittadinanza attiva. Per questo da due anni facciamo parte del Centro di Promozione per la Legalità della Lombardia, mentre da molto tempo collaboriamo con ISREC Bergamo che rilegge con i ragazzi i temi degli spettacoli della sezione storica con una attività di ricerca sugli eventi accaduti nel nostro territorio. E poi c’è “Altri Percorsi”, stagione di teatro di ricerca, dove i ragazzi possono fare individualmente l’abbonamento a prezzi convenientissimi, con la possibilità di momenti di riflessione e di confronto con me. Spesso si tratta di giovani che non sono mai andati a teatro e che in questo modo possono vedere spettacoli diversi e sviluppare un senso critico oltre che di appartenenza nei confronti del luogo. Per i maggiorenni proponiamo il “Cantiere del Teatro”, cioè corsi per attori, drammaturghi, illuminotecnici, fonici e macchinisti che danno una formazione di base e accompagnano nell’orientamento professionale. Diversi corsisti degli anni passati, oggi sono diventati professionisti. Il ricambio generazionale è funzionale al sostentamento del teatro, ma è una conseguenza di una azione che è mirata a creare una opportunità per i giovani.

    Corso di illuminotecnici e fonici. Ph. Maria Grazia Panigada

     

    G.B.: Vorrei finire allora con una frase che amo molto, di Jacques Coupeau, che aveva detto: “Non nasce teatro laddove la vita è piena, dove si è soddisfatti. Il teatro nasce dove ci sono delle ferite, dove ci sono dei vuoti… È lì che qualcuno ha bisogno di stare ad ascoltare qualcosa che qualcun altro ha da dire a lui.” Che ne pensi, ti trova in qualche modo concorde? Esiste – o può esistere, un legame tra teatro e cultural welfare, portato avanti da chi dirige della prosa?

    Non so quanto questo possa valere in generale, posso risponderti rispetto alla mia convinzione che questo sia possibile, senza tradire lo specifico di un teatro, ma anzi diventandone il cuore. Per spiegarmi preferisco usare un esempio, perché ogni progetto è cucito come un abito sartoriale su una rappresentazione, sul gruppo a cui è rivolto. Per lo spettacolo La vita davanti a sé tratto dal romanzo di Romain Gary, che ha aperto la stagione 2022-2023 abbiamo realizzato con Ivo Lizzola, docente di Pedagogia Sociale, il progetto La bellezza e l’ombra. Ragazzi e ragazze hanno avuto momenti seminariali di riflessione sui vissuti di fragilità ed esclusione, si sono confrontati con esperti e volontari che accompagnano la vita ai margini della città, sono andati in alcune comunità e luoghi di accoglienza e hanno scoperto che nelle ombre e nei margini nasce molta capacità di relazione e di cura, esistono capacità di resilienza e di creatività delle persone (anche segnate da debolezze). Con alle spalle tutto ciò, i ragazzi e le ragazze a breve vedranno lo spettacolo ed incontreranno il protagonista Silvio Orlando. Spesso nella valutazione di questi lavori emerge come per molti di loro cambi lo sguardo nei confronti di coloro che vedono ai margini della strada, fragili, uno sguardo che è meno paura, diffidenza, ma più comprensione ed umanità. Il teatro non può cambiare il mondo, ma deve mostrare che il mondo può essere cambiato, perché, come affermava Bertold Brecht negli Scritti teatrali, “Tutte le arti contribuiscono all’arte più gande di tutte: quella di vivere”.

    Gli studenti al termine del percorso La bellezza e l’ombra si confrontano con Silvio Orlando e Cecco Bellosi. ph. Luciano Rossetti

     

    Note