Di quale attrezzatura culturale di base abbiamo bisogno?

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    Ogni politica culturale ha bisogno di strutture sue proprie, adeguate ai suoi fini; e spesso si tratta di strutture antiche rinnovate nei contenuti, o di strutture nuove con nomi antichi.

    Questa considerazione è tratta da un documento quasi del tutto sconosciuto “Una proposta per l’attrezzatura culturale di base in Italia”1 Una proposta per l’attrezzatura culturale di base, Roma, Sirte, [1976?], pubblicato nella seconda metà degli anni Settanta “da un gruppo di lavoro che ha coinvolto direttamente o indirettamente esperti della comunicazione culturale, studiosi della formazione scolastica e professionale, e volontari dell’azione culturale-sociale di base”2Cfr. Ivi, p. 5. che faceva capo alla “Commissione nazionale per le attrezzature culturali” (CNAC) su sollecitazione del “Centro di ricerche sulle strutture partecipative”. 

    Una storia interessante ancora tutta da esplorare. 

    Nonostante una delle parole chiave della nostra contemporaneità sia fluidità e la questione delle attrezzature richiami al contrario una solidità e una tangibilità quasi antica e fuori tempo, essa si configura come un tema profondamente attuale, soprattutto alla luce del quadro che emerge dal Rapporto dell’Istat “Tempo libero e partecipazione culturale: tra vecchie e nuove pratiche”, uscito il 14 settembre scorso,  che presenta attraverso i dati come si stanno ridefinendo le attività di tempo libero e di partecipazione culturale nel paese – specialmente nella popolazione più giovane – sotto la spinta dell’innovazione tecnologica ma anche a causa della diffusione del COVID-19. 

    Cambiamenti, come sottolinea il Rapporto, particolarmente amplificati nella sfera del tempo libero e della partecipazione culturale, dato il legame simbiotico tra questa sfera e quella delle relazioni sociali.

    Senza entrare nel merito dei tantissimi dati riportati per i quali si rimanda alla lettura attenta del Rapporto, la principale lezione appresa a mio avviso è la tendenza generale nella fruizione di una progressiva scissione tra il mezzo e la programmazione, tra contenitore e contenuto.

    La televisione e la radio raccontano molto bene questa trasformazione. Pur continuando a rappresentare i  media ai quali nel nostro Paese gli individui sono più affezionati dedicando loro parte del proprio tempo libero (in percentuali molto elevate per la televisione e abbastanza consistenti per la radio), l’Istat rileva sempre meno affezione per le loro forme più tradizionali di offerta.  L’identificazione dell’esperienza televisiva e radiofonica con gli apparecchi televisione e radio è diventata sempre più impropria. Si parla sempre di più di “televisione fuori dal televisore” e, allo stesso modo, si può sostenere l’esistenza di programmi radio fuori dal mezzo radiofonico. Si pensi ai podcast che meriterebbero una riflessione a parte.

    In linea con questa tendenza anche la lettura di libri e quotidiani: il numero di lettori di libri sembra diminuire a fronte di un aumento di persone – soprattutto i giovani – che impiegano il proprio tempo a leggere fuori dal libro3Descrive approfonditamente questo passaggio Giovanni Solimine, Lo stargate della lettura, ovvero il passaggio che stiamo attraversando, “AIB Studi”, 60 (2020), n. 2, p. 325-344, https://doi.org/10.2426/aibstudi-12179: a parte  le email e i messaggi scambiati su WhatsApp si pensi agli articoli di un sito, ai post di un blog, ai tweet, ecc.

    Le nuove tecnologie hanno favorito il diffondersi di un modo di leggere più breve, veloce e discontinuo, in un succedersi di lettura veloce o lenta, intermittente o distesa, distratta o concentrata. Ci stiamo avvicinando al punto. “Leggere un tweet o un sms è, però, un’attività molto diversa da quella di leggere un libro – ricorda il Rapporto – La lettura, intesa in senso tradizionale, lineare e progressiva così come è la lettura di un libro richiede tempo e concentrazione, ma la concentrazione sfugge perché siamo continuamente attratti e distratti da nuovi stimoli digitali. I dati mostrano come tra il 2010 e il 2020, a fronte di un calo di 5,4 punti percentuali della quota di lettori di libri, l’uso delle nuove tecnologie sia molto cresciuto: la quota di utenti quotidiani di Internet è aumentata di quasi 33 punti percentuali (dal 26,4% al 59%) e di oltre 44 punti percentuali tra i ragazzi di 11-14 anni (dal 32,8% al 76,9%). Forti incrementi si sono registrati anche tra i giovani di 15-24 anni che nel 2020, come nel 2010, si confermano i maggiori fruitori (oltre l’87%)” (p. 56). 

    La stessa forma di ibridazione riguarda la partecipazione culturale “fuori casa”, ovvero l’abitudine ad andare al cinema, a teatro, concerti, spettacoli dal vivo che permette di intravedere un futuro in cui forme e modalità vissute dal vivo e in modalità virtuale tenderanno a convivere sempre di più e ad essere mixate insieme per andare incontro alle diverse esigenze dei fruitori della cultura. 

    Anche guardando i dati sulla pratica sportiva osserviamo lo stesso tipo di destrutturazione: da diversi anni gli sportivi stanno indirizzando le proprie preferenze verso discipline da praticare in “spazi non necessariamente attrezzati”. Agli sport tradizionali si stanno infatti affiancando nuove discipline sportive che non necessitano di ambienti molto strutturati. 

    La riflessione su questi dati  può guidare nel ripensare i paradigmi in base ai quali definiamo le attività del tempo libero e la partecipazione culturale: alcuni fenomeni potrebbero indurre a pensare una diffusa disaffezione da parte della popolazione rispetto alle attività ricreative di tipo più tradizionale, ma – ricorda l’Istat – potrebbe anche trattarsi di un mutamento che introduce nuove modalità non assimilabili a quelle fino a ora considerate.

    Certamente, emerge con chiarezza il tema degli investimenti in piattaforme tecnologiche ma sbaglieremmo ad appiattire la questione delle attrezzature solo su queste. Il capitale digitale si deve accompagnare a quello sociale e culturale.

    Dunque, di che tipo di attrezzature culturali di base abbiamo bisogno? In che modo l’essere costantemente connessi ad altre persone e ad altri luoghi influisce sul nostro essere davvero nel mondo non digitale che ci circonda e nell’appartenere alla nostra vita fatta di scoperte, relazioni, imprevisti e sorprese?

    Credo che la risposta a queste domande emerga più che dai dati sui consumi dei singoli media dall’analisi complessiva del grande spazio in cui tutte queste attività si collocano ovvero il tempo libero – il loisir4Da notare che nella lingua italiana manca una parola per indicare questo concetto, come può essere l’inglese leisure, il francese loisir e lo spagnolo ocio. Questa povertà terminologica testimonia lo sviluppo solo recente in Italia di un filone di studi dedicato a questo tema. Rimando a un bel volume del 2011: Tempi di vita moderni: il loisir della società italiana, a cura di Isabella Mingo, Miria Savioli, Roma, Guerini Scientifica, 2011. – la sua percezione e il ruolo che esso ha nel benessere soggettivo, a partire da una riflessione attenta sul valore e il ritmo del tempo oggi, strettamente correlato al mercato dell’attenzione.5Su questo rimando alla lettura di Lisa Iotti, 8 secondi. Viaggio nell’era della distrazione, Milano, il Saggiatore, 2020.  

    Importante ricordare che tra le attività più importanti del tempo libero, tra quelle che impattano maggiormente sulla sua soddisfazione, ci sono le relazioni con gli amici, che attengono alla dimensione interpersonale dell’inclusione sociale. “Incontrarsi spesso con gli amici determina infatti effetti positivi sulla soddisfazione per il tempo libero con differenze di genere e classe di età. Nel 2020, tra le persone che vedono tutti i giorni i propri amici, la quota di quelle molto o abbastanza soddisfatte del proprio tempo libero è pari a 79,1% e scende a 72,5% tra la popolazione attiva di età compresa tra i 45 e i 64 anni in cui evidentemente la disponibilità stessa del tempo libero risulta inferiore alle altre classi di età. Per gli over 64 e i più giovani 18-24enni, infatti, la quota dei soddisfatti è maggiore e rispettivamente pari all’81,8% e all’83,%” (p. 131). Altra attività correlata con la soddisfazione per il proprio tempo libero è proprio la partecipazione ad attività culturali: tra coloro che hanno svolto meno di due attività culturali fuori casa, la quota di persone soddisfatte del proprio tempo libero (65,3% nel 2020 e 63,7% nel 2019) è più bassa rispetto a coloro che hanno partecipato più intensamente ad attività culturali” (p. 133).

    Positiva anche la relazione tra lettura e la soddisfazione nei confronti del tempo libero: coloro che hanno letto almeno quattro libri in un anno o quotidiani tre o più volte a settimana  hanno una maggiore propensione a sentirsi soddisfatti per il proprio tempo libero rispetto a coloro che non leggono né libri né quotidiani. Proprio nel 2020, tale effetto positivo, non avendo risentito in alcun modo delle restrizioni, è maggiore rispetto agli anni precedenti.

    “Al di là della contingenza pandemica – chiude il rapporto – in cui si è sommata la lunga inaccessibilità di biblioteche, cinema, teatri, sale per concerto, impianti sportivi, eccetera, c’è da considerare anche la scarsità e l’irregolare distribuzione dei presidi culturali sul territorio che hanno caratterizzato il nostro Paese ancor prima della diffusione del COVID-19. La soddisfazione per il tempo libero contribuisce a delineare aree critiche per le quali sono necessarie azioni strutturali di policy volte a rimuovere le barriere e agevolare la partecipazione culturale e la vita sociale”(p. 135).

    Torniamo all’inizio, alla riflessione dalla quale siamo partiti: “Ogni politica culturale ha bisogno di strutture sue proprie, adeguate ai suoi fini; e spesso si tratta di strutture antiche rinnovate nei contenuti, o di strutture nuove con nomi antichi”.

    Il documento della CNAC, partiva da una dichiarazione che oggi potrebbe apparire piuttosto perentoria ma che va calata nella realtà degli anni Settanta e contestualizzata rispetto alle caratteristiche della nostra contemporaneità:

    Dopo una prima fase di indagine e di approfondimento, il gruppo è arrivato alla conclusione che l’istituto capace di farsi centro motore di una varia e complessa attività culturale, anche in ambienti privi di occasione e di strutture come le periferie urbane o i piccoli comuni rurali, è la Biblioteca pubblica-Centro culturale e che tale istituto – squisitamente moderno e democratico e del tutto diverso dalla tradizionale biblioteca di conservazione e di alti studi – ha il vantaggio  di sostenersi a varie altre attrezzature di più costosa realizzazione (teatro, cinema, sala da concerto o da mostra, ecc.), assumendosene i compiti.

    Ora che si chiamino biblioteche, poli civici culturali di innovazione, nuovi centri culturali – come quelli che laCall to Action di Chefare ha mappato – credo sia senza dubbio questa l’attrezzatura culturale di base di cui abbiamo bisogno, sulla cui progettazione tutti dovremmo impegnarci: spazi in cui le biblioteche convivono con aree di coworking, sale per concerti, laboratori teatrali, spazi di formazione ecc. 

    Per farlo partirei da un paio di presupposti:

    1. L’urgenza di sganciare la partecipazione culturale (e la lettura) esclusivamente dal concetto di svago e tempo libero, connessione che spesso determina un grave errore percettivo: la cultura come accessoria ed eliminabile6Si veda Claudio Calveri, Pier Luigi Sacco, La trasformazione digitale della cultura, Milano, Editrice Bibliografica, 2021. Bene invece ricordare la dimensione/obiettivo del welfare culturale.7Rimando a Annalisa Cicerchia, Catterina Seia, Alessandra Rossi Ghiglione, Welfare culturale, “Atlante della cultura”, Roma, Treccani, 2020, http://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Welfare.html.
    2. Se è fisiologico che questi luoghi siano progettati sulla base dello spazio a disposizione, molto meno frequente è una riflessione in fase di progettazione rispetto all’articolazione del tempo in cui essi si inseriscono e ai “tempi” che ne caratterizzeranno l’uso. 

    Il fattore tempo è invece nella nostra contemporaneità quello più soggetto a trasformazione in termini percettivi e non solo. Il nostro tempo è caratterizzato da uno scorrere inteso e veloce, da una specie di accelerazione che rende alcune attività più difficili da praticare, la lettura è una di queste, con essa la creatività e l’immaginazione che hanno bisogno di “tempi morti”. Le nuove attrezzature culturali di cui abbiamo bisogno necessitano di questa consapevolezza e non possono farne a meno soprattutto nel concretizzare servizi e attività che si innesteranno nel rapporto tra digitale e analogico, svago, formazione e apprendimento a partire a partire da una diversa strutturazione dei tempi e dei ritmi dell’attenzione – richiamando il Nobel per l’economia Daniel Kahneman –  secondo un bilanciamento di pensieri lenti e veloci. 

    Note