Perché oggi i musei e il loro modo di far cultura sono più importanti che mai

Scarica come pdf

Scarica l'articolo in PDF.

Per scaricare l’articolo in PDF bisogna essere iscritti alla newsletter di cheFare, completando il campo qui sotto l’iscrizione è automatica.

Inserisci i dati richiesti anche se sei già iscritto e usa un indirizzo email corretto e funzionante: ti manderemo una mail con il link per scaricare il PDF.


    Se inserisci il tuo indirizzo mail riceverai la nostra newsletter.

    image_pdfimage_print

    Torno a riflettere sul ruolo delle istituzioni culturali ai tempi del COVID-19, dopo averlo fatto in quest’articolo per Artribune richiamando l’attenzione sull’importanza di sviluppare strategie comunicative partecipate e sul lungo periodo.

    In questi giorni in molti hanno scritto sui social che la bellezza non salverà l’Italia, riferendosi al fatto che campagne promozionali sulla grandiosità del patrimonio culturale non saranno utili per risollevare il paese. Credo che questa esclamazione riveli dei ragionamenti importanti per riflettere sul valore che attribuiamo al patrimonio culturale dal punto di vista politico e gestionale.

    Cominciamo col definire valore come il beneficio attuale o potenziale percepito rispetto a una cosa o un’esperienza. All’Università di Leicester nel Regno Unito, presso il Research Centre for Museums and Galleries, un progetto di ricerca finalizzato ad analizzare criticamente i cambiamenti nella percezione del valore attribuito a musei e istituzioni culturali ha messo in evidenza il forte cambiamento di paradigma avvenuto negli ultimi vent’anni.

    L’analisi ha preso in considerazione punti di vista diversi, come quello di sostenitori (governo e policymakers), creatori (musei e galleristi) e visitatori. Il dato in evidenza è che sia i primi sia gli ultimi pongono interesse crescente verso il coinvolgimento attivo delle persone finalizzato a produrre benessere, senso di appartenenza alla collettività e empowerment. In sostanza si registra un mutamento nella percezione di valore dall’apprezzamento della cultura in sé ai suoi impatti sul benessere degli individui, anche in senso fisico e mentale.

    L’esclamazione ‘a bellezza non salverà il Paese è quindi veritiera e problematica. È veridica perché enfatizza ancora una volta e dal punto di vista della popolazione che la bellezza delle cose, la loro immagine e possibile strumentalizzazione, non servirà per mettere in moto processi di cambiamento finalizzati a produrre benessere per le persone.

    È il loro uso in uno specifico tempo e spazio, anche virtuale, a determinarne l’importanza. È poi problematica perché lascia intendere che, ancora una volta, l’intenzionalità da parte dei decisori di rilanciare il settore culturale è mediante approcci di marketing territoriale spicci. Questo sentore viene inoltre alimentato dall’approccio comunicativo adottato dalla maggioranza dei musei in questo periodo. Prevalgono infatti azioni divulgative autoreferenziali finalizzate a promuovere collezioni, spazi e oggetti tralasciandone i legami con le questioni urgenti. Partiamo dal presupposto che i significati della cultura materiale sono molteplici e che questi possono essere attualizzati mediante un’interpretazione museale critica e orientata al sociale.

    Abbiamo bisogno di progetti culturali e azioni digitali capaci di sollevare interrogativi sui temi spinosi dell’oggi che fanno parte del presente di tutt* per creare cittadini consapevoli domani. Abbiamo bisogno che le questioni sensibili nel dibattito d’attualità acquisiscano priorità nella programmazione di musei e istituzioni culturali.

    I pubblici, sia reali sia potenziali, sono pronti e si aspettano da parte dei luoghi della cultura esperienze capaci di informare e trasformare la percezione del mondo in cui viviamo. Una costante nella storia dei musei che sembra sfuggire agli operatori è che questi rivestono un altissimo grado di affidabilità nell’opinione pubblica.

    Questa credibilità va alimentata, specie in un’epoca in cui attingere a informazioni di qualità è un esercizio difficile e complesso. Va quindi strumentalizzata al fine di creare dibatti e prese di posizione sui cambiamenti necessari e urgenti. Dobbiamo trainare il dibattito e l’immaginario delle persone verso un futuro più collaborativo e sostenibile da costruire insieme.

    Argomenti che già prima dell’emergenza COVID-19 facevano parte del nostro vissuto, come la sostenibilità ambientale, la salute fisica e mentale, i diritti umani, la partecipazione degli anziani alla vita sociale e le questioni di genere, devono entrare preponderantemente nella programmazione degli istituti culturali. In gioco c’è la perdita di valore di un intero settore in un periodo di dura crisi anche economica.

    È un rischio che non possiamo permetterci. Ciò che manca e che ci differenzia rispetto ad altri contesti dove sussistono invece sistemi di welfare culturale è un’approccio alla valutazione degli impatti orientato al sociale quale base di partenza per sostenere finanziamenti pubblici. Un esempio è il progetto Renaissance in the Regions portato avanti nel Regno Unito verso l’inizio degli anni duemila finalizzato al rilancio dei musei locali mediante la creazione di nuovi network sul territorio.

    È arrivato il momento di cambiare le retoriche culturali e le politiche che ne sostegno l’economia. Questa rivoluzione, osservabile già nei movimenti dal basso, nei programmi europei di finanziamento alla cultura e in alcune azioni da parte di privati e fondazioni bancarie, deve avvenire anche nel settore pubblico. Se questo periodo di sospensione delle attività può servire a qualcosa è a ripensare le finalità della cultura e, fra gli altri, i sistemi di valutazione e finanziamento al patrimonio. Cosa stiamo aspettando?

    Riferimenti:
    https://www.artribune.com/arti-visive/2020/03/musei-coronavirus-strategie/
    https://le.ac.uk/rcmg/publications
    https://www.museumsassociation.org/download?id=12190
    https://www.fondazionecariverona.org/wp-content/uploads/2019/01/Bando-Cultura_2019_testo_v_1_3.pdf

    Note