La crisi della soggettività

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    Pubblichiamo un estratto, scritto da Bojana Kunst, di L’artista al lavoro – Prossimità tra arte e capitalismo. Edito da Luca Sossella Editore. Ringraziamo l’autrice e l’editore per la disponibilità.

     

    In un’intervista in cui rivaluta criticamente l’uso di uno dei suoi termini chiave, «lavoro immateriale», Maurizio Lazzarato afferma che nel descrivere i tratti del capitalismo contemporaneo faremmo meglio a parlare di produzione della soggettività, invece che di lavoro immateriale o cognitivo. La produzione della soggettività è al centro del capitalismo o meglio, nelle parole di Lazzarato, è il suo principale effetto: «L’unica grande merce che produciamo, perché rientra nella produzione di tutte le altre merci»1Maurizio Lazzarato, Conversation with Maurizio Lazzarato: Exhausting Immaterial Labour in Performance, in “Le Journal des Laboratoires and TKH”, 17 (October 2010), p. 14.. La produzione della soggettività di Lazzarato allude alla standardizzazione degli aspetti sociali, affettivi e collettivi dell’essere umano contemporaneo. Tali aspetti sono alla base della produzione e contribuiscono alla creazione di valore, portando a una radicale individualizzazione e al contempo omogeneizzazione della soggettività. La produzione di modelli di soggettività è al centro del capitalismo. La società odierna pone una grande enfasi sulla creatività, l’immaginazione e il dinamismo, ma queste capacità umane non sono mai state così standardizzate e imbrigliate in ciò che Foucault chiama l’autogoverno. Descritte da Franco Berardi Bifo come «semio-capitalismo», le modalità di lavoro postfordiste si incentrano sul pensiero, il linguaggio e la creatività quali mezzi primari di produzione di valore2Pertanto Bifo afferma che oggi di fatto lavoriamo con le nostre anime. Si veda Franco Berardi Bifo, The Soul At Work. From Alienation to Autonomy, Semiotext(e), New York 2009, p. 21, ed. it. L’anima al lavoro. Alienazione, estraneità, autonomia, DeriveApprodi, Bologna 2016..

    La sperimentazione con la soggettività (nei termini della sua immaginazione, della sua creatività e del suo tempo), i mutati metodi di lavoro che avvicinano il lavoro all’attività politica (Virno) e l’interiorizzazione delle microdinamiche del potere (Deleuze) sono alla base dell’odierna creazione di valore capitalista. Questa tesi diventa particolarmente interessante se applicata allo sviluppo dell’arte contemporanea nella seconda metà del XX secolo, uno sviluppo che avviene al culmine della rivalutazione del rapporto tra arte e vita e della ribellione contro la standardizzazione della vita moderna. Lo status attuale dell’arte è molto controverso. L’arte è strettamente legata ai modi di produzione della soggettività, che la fanno operare come un potere creativo, affettivo e sociale che si fonde sempre più con altre forme di produzione creativa. Allo stesso tempo, c’è ancora grande fiducia nel potere utopico, emancipatorio e autonomo dell’arte. Sembra che quanto più è politicamente e socialmente impegnata, tanto più l’arte diventi avulsa dal proprio potere sociale e politico.

    Almeno dalla seconda metà del XX secolo, la crisi della soggettività è stata al centro di molte pratiche artistiche emancipatorie e sperimentali, soprattutto nella performance, nell’arte visiva e nella danza. Non si tratta tanto di una crisi della soggettività politica, quanto dell’instaurazione di nuove forme di un soggetto ormai disintegrato e non più organizzato gerarchicamente. La soggettività non si costituisce più a partire da un nucleo autentico. Non è più possibile parlare di un rapporto proporzionato tra l’interiorità e l’esteriorità del soggetto. La soggettività si svolge esteriormente come un processo vuoto, una struttura disintegrata di linguaggio e gestualità (come per esempio in Beckett). Molte pratiche sperimentali e neoavanguardistiche si rifanno alla rivendicazione di Artaud di un «corpo senza organi», che indica un rifiuto radicale di qualsiasi tipo di «organizzazione» dell’organismo3Si veda Antonin Artaud, The Theater and Its Double, Grove Press, New York 1994, ed. it. Il teatro e il suo doppio, a cura di Gian Renzo Morteo e Guido Neri, trad. it. di Ettore Capriolo, Einaudi, Torino 2000. Il concetto di un corpo senza organi come assenza di organizzazione dell’organismo è anche una delle nozioni chiave de L’Anti-Edipo. Capitalismo e schizofrenia di Deleuze e Guattari.. Allo stesso tempo, numerose pratiche artistiche sembrano ricollegarsi all’affermazione di Bataille della negatività come forza trasformativa, dove le forze del divenire e il potere dell’affermazione sono ricondotte alla negatività. Il soggetto, quindi, esiste spesso come una somma pulsante di molteplici energie e forze confliggenti. Alle sue spalle vi sono la negatività del divenire e la dimensione desiderante del potere, che lo rendono più un assemblaggio di varie tracce e intensità. Nella danza e nella performance contemporanee questa perdita del fulcro del soggetto (dove il soggetto non è più il locus della verità) dà luogo a nuove procedure creative e influenza la poetica dei gesti corporei e discorsivi. La crisi della soggettività, inoltre, interferisce in modo radicale con le forme dell’impersonificazione, trasferendo le origini del moto corporeo all’esterno e nel quotidiano, e aprendo lo spazio della soggettività alla sperimentazione con la trasformazione e la negatività. Questa crisi della soggettività è legata anche a un altro aspetto dell’arte degli ultimi decenni, la crescente prossimità tra arte e vita, che sposta l’autonomia dall’interiorità del soggetto all’indipendenza esteriore dei processi materiali dell’essere, il flusso volatile della vita e dell’essere.

    La crisi della soggettività diventa particolarmente interessante se ricollegata alla produzione nel capitalismo contemporaneo, soprattutto per quanto riguarda il modo in cui la sperimentazione con la soggettività è al centro della produzione capitalista. Non è un caso che siano emerse numerose critiche all’arte per la sua somiglianza con le modalità di lavoro postfordiste. Ciò che l’arte e il capitalismo hanno in comune è soprattutto la perniciosa e seduttiva appropriazione della vita. Ma, a mio avviso, molte critiche che riflettono sulla somiglianza tra arte e capitalismo sottovalutano il ruolo cruciale che la vita e la sperimentazione con la soggettività hanno nel capitalismo. La flessibilità e l’incessante trasformazione tipiche della crisi della soggettività sono le forze di investimento e consumo fondamentali che guidano la produzione della vita. Oggi la crisi della soggettività ha perduto il potenziale emancipatorio che le era proprio nelle pratiche artistiche degli anni sessanta e settanta o, quantomeno, necessita di ripensare e accrescere tale potenziale in modo del tutto nuovo. La principale ragione di questa impotenza è il fatto che oggi l’essere umano affronta una brutale intensificazione dei processi di individualizzazione, descritti da Lazzarato come la produzione della soggettività. Le vecchie forme di vita diventano obsolete persino prima di poter essere assimilate. Ciò apre la strada alla soggettività, che sperimenta la propria trasformazione attraverso dei costanti paradossi esistenziali, cosa che ci fa vivere in un perenne stato di tensione, al limite dell’inquietudine. È questo stato a causare l’aumento dei nostri investimenti. «Il processo, inoltre, si intensifica ancor di più a causa del fatto che questa tensione esacerbata e questa energia inventiva accelerata non solo nutrono il capitale, ma di fatto costituiscono la sua principale fonte di valore, il suo investimento più redditizio»4Suely Rolnik, Life on the Spot, online, disponibile al sito: www.caosmose.net/suelyrolnik/index.html (ultimo accesso 26 gennaio 2015). Rolnik descrive in modo esaustivo questo tipo di trasformazione, basando la propria tesi soprattutto sulla filosofia della soggettività di Félix Guattari, che è un importante punto di riferimento anche nel pensiero di Lazzarato..

    La performance art e la danza della seconda metà del XX secolo si incentravano su questo «consumo radicale», l’intenso potere trasformativo attraverso cui la crisi della soggettività entra nel campo della performance come un’energia, una forza di negatività e un conglomerato di affezioni e desideri. In un simile contesto, io vedo il consumo radicale come un consumo del corpo, della presenza, delle azioni e delle abilità umane, della prestanza fisica, dell’energia spirituale e degli affetti. Questo consumo mira a intervenire nella natura intersoggettiva e produttiva della soggettività, e così a dischiudere anche il rapporto tra performer e spettatori. Spinge gli scenari comunicativi della performance contemporanea oltre il convenzionale, stabilisce rappresentazioni e forze di significazione. Ciò vale anche per il teatro interessato alla ricerca sulle capacità umane, gli affetti e la diffusione di nuove modalità di recitazione ed esibizione (René Pollesch, Ivica Bujan, Rodrigo Garcia e così via). L’evento dal vivo, quindi, diventa un campo privilegiato per saggiare gli effetti del consumo radicale, un campo per praticare l’intersoggettività, lo scambio e testare gli scenari comunicativi, per una saldatura tra il corpo e la sua espressione (gestualità, linguaggio, movimento). Tale espressione chiama in causa anche l’attuale status del consumo quale potere economico primario inteso dalla società e dalla cultura odierne come una forza affermativa di progresso e successo: più consumiamo, meglio staremo. Secondo Robert Pfaller, il consumo contemporaneo avviene in un modo molto specifico: spendiamo senza che ciò ci provochi un reale godimento e limitando di continuo gli eccessi della vita5Un aspetto discusso nel suo lavoro Das schmutzige Heilige und die reine Vernunft. Symptome der Gegenwartskultur, Fischer Verlag, Frankfurt am Main 2008. In un libro più recente, Pfaller raffronta questo tipo di consumo con le riflessioni di Freud sul piacere. Il piacere esiste sempre, ma non sempre nella forma di un piacere pieno. Può esistere anche come un piacere inconscio, che suscita i propri stessi sintomi. Così, di fatto, possiamo godere senza accorgercene. Si veda Wofür es sich zu leben lohnt. Elemente materialistischer Philosophie, Fischer Verlag, Frankfurt am Main 2011, p. 202.. In tal senso, il consumo odierno è una forza nevrotica. Ci offre l’illusione di una trasformazione infinita, ma tale trasformazione è priva di negatività: è una trasformazione del soggetto standardizzata. Nel proseguire, vorrei quindi sostenere che, negli ultimi decenni, è avvenuta una svolta nella concezione della soggettività e nello status del consumo radicale. Tale svolta è legata alle svolte sociali e culturali del capitalismo postindustriale. La soggettività è al centro dei metodi di produzione e dei processi di lavoro contemporanei. Allo stesso tempo, il consumo sta diventando una forza negativa che distrugge i tradizionali modi di essere collettivi e la vita in quanto tale. In questo senso, il legame tra l’arte e i meccanismi della soggettività necessita di essere ripensato, perché ciò ci permetterebbe di intervenire in alcuni dei più interessanti rapporti tra arte e politica.

     

    Nell’arte il consumo radicale è una conseguenza della crisi del soggetto, o del bisogno che la sua costituzione e natura scissa siano visibili. Ciò che questa visibilità determina è una critica radicale dell’essenzialismo e delle strutture patriarcali del soggetto. La visibilità del soggetto può essere anche descritta come una modalità di trasgressione e resistenza all’autenticità. Lo svelamento della negatività del soggetto come momento costitutivo di soggettivazione ha profondamente segnato le riforme dell’esecuzione teatrale e delle modalità di presenza nella performance art e nell’arte dal vivo, influendo anche sull’articolazione di nuove relazioni con il pubblico. Tuttavia, costituisce anche il fondamento del potere «emancipatorio» dell’arte, soprattutto nella sua resistenza ai rigidi modelli della vita odierna. Nella performance contemporanea, l’evento dal vivo spesso diventa un’occasione di consumo radicale del soggetto, un evento privo di ripetizione6È così che Derrida descrive il desiderio artaudiano nel suo saggio The Theater of Cruelty and the Closure of Representation, in “Theater Summer”, 9, 3 (1978), pp. 6-16., per un uso radicale del corpo e un dissolvimento fenomenologico del confine tra la percezione e il visibile, il corpo e il suo margine. Il potere potenziale dell’evento dal vivo è spesso colto in questa forza di negatività liberante. Tale negatività non solo abbatte il confine tra palco e spettatore, ma rovescia anche radicalmente il mandato simbolico dell’attore e dello spettatore. Infrange le caute convenzioni in cui si suppone che l’evento artistico dal vivo debba svolgersi. La crisi del soggetto è anche al centro delle riforme della recitazione e della ricerca su come poter abbracciare il consumo della sua energia e del suo potere, combattere la falsa efficienza, dischiudere il potenziale intercomunicativo del teatro e creare una scissione tra presenza e rappresentazione. Così il privato, l’intimo e il più recondito entrano nella performance dalla porta principale, ma non come un esibizionismo a buon mercato (rafforzato, sul versante opposto, dal voyeurismo dozzinale); è piuttosto una ribellione contro le rigide strutture del potere e uno scontro con l’apparato della rappresentazione convenzionale. La scissione all’interno del soggetto diventa visibile grazie all’assenza di uguaglianza tra presenza e rappresentazione, che è al cuore di ogni processo di soggettivazione7Si veda Amelia Jones, Body Art / Performing the Subject, University of Minnesota Press, Minneapolis 1998..

    Quando discutiamo di questa apertura dell’economia dello sguardo e della dialettica del piacere dello spettatore, di questa partecipazione desiderante che ci convince dell’intersoggettività dell’esibizione, dovremmo chiederci se ciò non sia in realtà un lato ancor più problematico dell’evento dal vivo contemporaneo. Il performare la crisi della soggettività non nasconde forse una sostanziale mercificazione dell’evento artistico e l’impotenza della performance, della performance art e dell’azione corporea? In altre parole, le azioni radicali del corpo che si ribella contro le rigide strutture del potere non lo fanno forse soccombere ancora di più al potere? Non si tratta tanto del fatto che il consumo radicale non ci riempie più di affezioni intense, di vergogna o disgusto, ovverosia che ha smesso di svelare il desiderio da parte di chi osserva. Possiamo ancora essere scioccati, sorpresi e persino esposti nel nostro mandato simbolico di spettatori; possiamo ancora essere chiamati a ciò che Erika Fischer-Lichte definisce il «loop del feedback»8Erika Fischer-Lichte, The Transformative Power of Performance: A New Aesthetics, Routledge, New York 2008.. Ciò nonostante, il potenziale del consumo radicale sembra essersi profondamente indebolito. Sembra aver perso l’arco su cui la sua freccia doveva posarsi. Questa intensa affezione, così come lo svelamento del desiderio e dell’intersoggettività, sono al cuore delle strutture di potere contemporanee, ovverosia dei metodi di produzione e controllo delle relazioni sociali. «Più è variegato, persino eccentrico, meglio sarà. La normalità sta perdendo consensi. La metodicità comincia ad allentarsi. L’allentarsi della normalità fa parte della dinamica del capitalismo. Non si tratta solo di liberazione, ma della forma di potere/autorità tipica del capitalismo. Non è più un potere/autorità disciplinare e istituzionale a determinare ogni cosa, ma un potere/autorità che mira a produrre diversità, perché il mercato si satura. Persino le più assurde tendenze affettive vanno bene, a patto che portino soldi»9Brian Massumi, Navigating Movements, in Hope, M. Zaournazzi (ed.), Routledge, New York 2003, p. 224..

     

    Immagine di copertina di Norbert Kowalczyk su Unsplash

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