Una mano solitaria attraversa un paesaggio spaziale, indica una meta invisibile, sempre fuori dall’inquadratura. Ascoltiamo la ripetizione ossessiva di una voce femminile che intona frasi che appaiono sovraimpresse in un karaoke un po’ dissonante “Let’s become a spacefaring, multiplane civilization, we need to extend life beyond Earth as quickly as we can.” La melodia è di Albertine Sarges, i testi sono dell’imprenditore e guru della NewSpace economy Elon Musk.
Il calco 3D della sua mano che incita alla colonizzazione dello spazio è il protagonista di Pointing at a New Planet (2020), video loop del collettivo IOCOSE, visibile fino al 23 luglio in versione web based sul sito www.inbtwn.it. L’opera è il primo intervento artistico di INBTWN – In Between, rassegna a cura di Claudia D’Alonzo dedicata al rapporto tra corpo e tecnologie per XL di Centrale Fies. Programma integrale www.centralefies.it/xl/chapter6.html
Pointing at a New Planet è un primo capitolo di una più ampia indagine artistica del collettivo IOCOSE sulla NewSpace economy, una delle ‘economie del futuro’ e sulle relazioni tra queste economie e gli immaginari sul futuro evocati da imprenditori quali Elon Musk e Jeff Bezos. Il NewSpace è un movimento che intende colonizzare i pianeti attraverso investimenti privati, muovendo le proprie mire dalla Silicon Valley verso lo Spazio.
Da anni IOCOSE lavora sul fallimento delle narrazioni legate all’innovazione tecnologica e culturale. Nel far questo scandaglia e preleva immagini e fonti legate a queste narrazioni, sabotandone il senso originario attraverso una poetica ironica e surreale.
Per Pointing at a New Planet IOCOSE ha raccolto e analizzato video presenti in rete dei discorsi e le conferenze stampa di Elon Musk. Qui la sua narrazione della colonizzazione spaziale si esprime principalmente attraverso un continuo gesticolare, indicare luoghi e mete mai viste da essere umano. Il gesto dell’indicare è stato scelto dal collettivo come soggetto cardine del lavoro. Un gesto carico nella storia dell’’arte occidentale di significati molteplici legati all’incanto e all’inganno, come nella prestidigitazione, alla lettura del futuro, come nell’iconografia della buona ventura, alla conoscenza e al comando.
Attraverso lo studio del linguaggio del corpo di Musk e del suo legame con i codici delle culture visuali storiche e contemporanee, come quelle generate in rete, IOCOSE fa emergere come questo personaggio, a metà tra guru e imbonitore, stia proiettando nello spazio disuguaglianze e modi di rappresentare il potere molto, molto terrestri.
Claudia D’Alonzo: Elon Musk, forse anche più di Zuckerberg e Bezos, incarna l’icona dell’innovazione e la mitologia della Silicon Valley. Quali gli stilemi della loro leadership di uomini bianchi occidentali, o naturalizzati tali? Vedete delle trasformazioni, per esempio tra Steve Jobs e Elon Musk.
IOCOSE: A nostro avviso, lo stilema che accompagna tutti questi personaggi che hai citato è il loro paragonarsi in maniera implicita a Dio. Nel suo recente best seller “The Future of Humanity”, il fisico teorico, divulgatore scientifico dai toni esclusivamente otttimistici Michio Kaku, li definisce “a fresh new generation of visionaries” e continua [… More than likely, we would consider our descendants to be like Greek gods, like Mercury, they would be able to soar into space to visit nearby planets. Like Venus, they would have perfect immortal bodies. Like Apollo, they would have perfect immortal bodies. Like Apollo, they would have unlimited access to the sun’s energy … In other words, our destiny is to become the gods that we once feared and worshipped. Science will give us the means by which we can shape the universe in our image.]
Non vediamo trasformazioni degne di nota in questa nuova generazione di personaggi rispetto ai loro predecessori, anzi, vediamo una precisa uniformità con il passato: la creazione tecnologica viene paragonata alla creazione divina. La figura del genio in grado di creare ex-novo è ancora difficile da scalfire nell’immaginario collettivo. Creazione che, secondo lo storico David F. Noble, il sesso maschile si è ritagliato per compensare la sua incapacità, rispetto alla donna, di creare vita. Sempre Nobel, nel testo “The Religion of Technology,” parla di come la convinzione che l’apocalisse sia vicina abbia accelerato il desiderio di progresso tecnologico, di come la scienza abbia in passato operato sotto questa premessa, preparandosi per il mondo che verrà dopo la fine di quello che stiamo vivendo. Spostandoci al giorno d’oggi, l’apocalisse è un tema ricorrente. Durante la presentazione dell’ultimo modello di auto della Tesla Musk ha detto: “ We want to be the leader in the apocalypse technology”. E anche quando questi imprenditori non parlano esplicitamente di apocalisse, la costante minaccia della fine del mondo è sempre ben presente, come nello slogan di Blue Origin, l’azienda di Bezos per i viaggi suborbitali, “Going to space to save earth”.
CD: Il rinvio del lancio di fine maggio ha scatenato moltissime reazioni nelle varie comunità della rete e moltissimi meme. Cosa pensate si possa leggere in questo avvenimento e nelle reazioni circolate, considerando anche che il fallimento è un tema importante nella vostra ricerca?
IOCOSE: Questi lanci mancati, esperimenti falliti, o vetri dell’ultimo modello Tesla in frantumi durante una dimostrazione che dovrebbe provare la loro resistenza, fanno parte della storia che il narratore, in questi casi i promotori della campagna “Launch America” o “SpaceX”, sta raccontando. Sono funzionali al mito dell’incessabile progresso tecnologico, quello che ‘per fare una frittata deve rompere qualche uova’, quello che se non fallisce mai significa che non sta innovando abbastanza. Sono pseudo-fallimenti, in realtà rafforzano l’autenticità e di conseguenza l’autorevolezza della voce narrante. Se dobbiamo pensare ad un lancio che in maniera più smaccata ci abbia dato il senso del fallimento, allora pensiamo al lancio riuscito del 30 maggio 2020. Quando la maggior parte dell’America era in rivolta per l’assassinio di George Floyd avvenuto solo 5 giorni prima, una piccola parte, con l’endorsement della leadership politica, guardava ammaliata il razzo che si staccava dal Kennedy Space Center ed il giorno dopo festeggiava l’attracco alla stazione spaziale internazionale. In quei giorni il mito del progresso tecnologico che dovrebbe “muovere avanti” l’umanità doveva fare i conti con una realtà più sfaccettata, ricca di contraddizioni, complessità e diversità. In quel momento particolare, ci sembrava palese come la retorica techno-entusiasta da space-cheerleader del movimento del NewSpace stesse fallendo nel momento stesso in cui veniva enunciata.
CD: I nomi delle missioni spaziali e delle navicelle hanno avuto un impatto importante in termini di cultura di massa, diventando delle icone, penso ad esempio alle missioni Apollo, e nella costruzione di immaginari condivisi che poi si sono ibridati con quelle di fantasia prodotti da cinema, letteratura, fumetti. Quali sono i riferimenti culturali o subculturali ai quali attinge per le proprie strategie di marketing il progetto SpaceX ad esempio per il naming dei propri mezzi – Dragon, Crew Dragon?
IOCOSE: Il nome del Falcon 9 deriva dall’astronave Millenium Falcon di Star Wars. È un riferimento esplicito alla fantascienza con la quale molti coetanei (e non) di Musk sono cresciuti, un riferimento facile da cogliere e col quale è facile provare un legame emotivo. Quando intervistati sul perché del loro desiderio di andare nello spazio, Musk e Bezos rispondono allo stesso modo: “era il desiderio che avevo da bambino”.
Da un lato abbiamo il desiderio puerile di due bambini cresciutelli che dopo aver giocato coi trenini vogliono provare i razzi, dall’altro abbiamo un sistema scolastico e culturale che tende ad allontanare dal mondo dell’industria tecnologica chiunque abbia uno spirito critico riguardo alle nuove tecnologie (pensiamo ad esempio allo storico David F. Noble, cacciato dal MIT per le sue posizioni non conformiste) e ad accogliere solo ed unicamente ingegneri e megalomani che hanno come unico scopo la perfezione e le performance, indipendentemente dalle implicazioni che queste possono avere nel contesto sociale.
Negli anni ‘50 tre episodi della serie “Disneyland”, prodotta dalla Disney (il più popolare dei quali si intitola “Man In Space”), mostravano ad un pubblico di bambini e ragazzi come funziona un razzo e le difficoltà che l’uomo avrebbe incontrato nello spazio, specificatamente sulla Luna e su Marte. Il cast annoverava nientemeno che Wernher Von Braun, l’ingegnere tedesco che progettò i razzi V2 che bombardarono Londra e che gli americani misero ai loro servigi dopo la fine della seconda guerra mondiale. Quello show aveva il preciso compito di attirare bambini e ragazzi verso la carriera di ingegnere o scienziato. Allora come oggi, la produzione culturale mainstream è intrisa di messaggi invitanti da parte dell’industria tecnologica verso ingegneri e scienziati o aspiranti tali. Allo stesso tempo, il mondo tecnologico non perde occasione per ricambiare il favore ammiccando alla produzione culturale, fumetti, serie televisive o saghe spaziali che siano. La scelta da parte di SpaceX di chiamare il proprio modello di punta Falcon 9 si inserisce in questo discorso.
CD: Che legame leggete tra l’attrazione che questa industria esercita su milioni di persone e l’esclusività alla base del progetto? Chiaramente è un binomio chiave in molte strategie di marketing ma è la prima volta che il viaggio nello spazio si avvia a diventare un prodotto o un servizio.
IOCOSE: Non crediamo che diventerà un prodotto di massa o un servizio a pagamento nei termini in cui viene descritto, o almeno non lo sarà in maniera tanto diversa da quanto la base spaziale russa di Baikonur sia stata un prodotto che la Russia ha venduto agli Stati Uniti.
A detta di John Logsdon, un esperto di space policy all’università di Washington, “non ci sono abbastanza ricchi su questo pianeta per fare dei viaggi spaziali un business profittevole”. SpaceX ha al momento solo due clienti. Blue Origin di Jeff Bezos e la Virgin Galactic di Richard Branson offrono viaggi suborbitali di 20 minuti, non offrono viaggi spaziali. A detta di Johnson, un possibile cliente di SpaceX potrebbero essere gli stati. Ci sono stati che hanno un equipaggio spaziale addestrato, ma non hanno razzi o basi di lancio. SpaceX o altri operatori del NewSpace potrebbero vendere una sorta di pacchetto spaziale, che offra una gita su Marte agli stati che non possono permettersi di investire così tanto come fatto dagli Stati Uniti e da SpaceX, ma che otterrebbero così quello che Johnson definisce “spatial pride”, l’orgoglio nazionale di essere “andati nello spazio”. Lo stesso amministratore della Nasa, Jim Bernstein, ha più o meno lasciato intendere che non hanno nulla in contrario a questo tipo di business, anzi, sono assolutamente favorevoli: “vogliamo che SpaceX e gli altri operatori trovino altri clienti al di fuori della NASA ”. Quindi, per tornare alla tua domanda, dall’esclusività del prodotto a livello personale si sta passando all’esclusività del prodotto a livello statale, un prodotto che attira stati che non hanno un accesso allo spazio ma che vorrebbero averlo. Nell’articolo citato sopra si parla appunto di “countries from the developing world”, termine quasi dismesso, alla stregua di “third world”, ma che ben evidenzia la visione colonialista degli attori del NewSpace. Una sorta di colonialismo a matrioska, un colonialismo all’interno del colonialismo spaziale.
Ma tralasciando per un momento le sorti del reparto vendite di SpaceX, il maggiore investimento è ancora un investimento per alimentare l’economia interna. Il governo degli Stati Uniti è il principale cliente di SpaceX, lo stesso governo ha da poco formalizzato la creazione di una Space Force (con lo scopo non troppo celato di assicurarsi il monopolio dello spazio) dove molto probabilmente aziende private come SpaceX avranno la loro fetta di commissioni. Si ripropone quindi un pattern consolidato, quello dell’iniezione di denaro pubblico in un’economia capitalista, che a parole non necessita di alcun intervento statale, ma che nei fatti è costantemente sorretta dallo stato, nella forma classica della spesa militare. N. Chomsky definisce questa commistione tra industria tecnologica e risorse pubbliche “Pentagon System”, ed in riferimento al NewSpace dice “One of the peculiarities, if you’d like, of our system of innovation and development is that it’s radically anti-capitalist in many ways. For one thing, so much of the risky, creative work is done at public expense and also because it violates the capitalist principle that if you invest in something and there’s profit made, then you get a share of the profit… I think that’s a social pathology and the same carries over into space.”
CD: Da quando esistono i mass media, molto di ciò che ha avuto a che fare con viaggi nello spazio, gli altri pianeti e gli esseri da altri mondi ha costituito un’area molto fertile di sperimentazione dell’ambiguità dei limite tra vero e falso, realtà e fiction. Cosa sta generando in questo senso le retoriche prodotte dal NewSpace e da Space X in particolare in epoca di post verità?
IOCOSE: Uno dei nostri film preferiti di sempre è Capricorn One, diretto da Peter Hyams (1977). Nel film la NASA mette in scena un atterraggio su Marte, onde evitare di perdere i finanziamenti statali in seguito ad un probabile fallimento. Il film riprende a piene mani dal mito cospirazionista che considera l’allunaggio del 1969 una messa in scena, presumibilmente girata in uno studio hollywoodiano.
La retorica del NewSpace è quasi del tutto ribaltata rispetto al film. I finanziamenti e il valore delle azioni arrivano in seguito agli annunci, non ai risultati effettivamente ottenuti. È il motivo per cui è fondamentale per Elon Musk fare annunci alla stampa e mostrare ricostruzioni 3D dell’eventuale colonizzazione di Marte. Creare rumore attorno agli esperimenti è più importante del loro effettivo successo. Più si parla delle operazioni di SpaceX, maggiore è il valore della compagnia, perché maggiore è il suo potenziale e la promessa di ritorno futuro degli investimenti.
Da questo punto di vista il NewSpace può essere visto come una frontiera del capitalismo, che trae valore dall’infinita frontiera spaziale. Ogni eventuale conquista di un pianeta può essere rilanciata promettendo un altro pianeta più distante. Se vogliamo tracciare un parallelo con la post-verità, l’immaginario del NewSpace è slegato dal suo valore di verità. Non c’è bisogno di fare finta di essere atterrati su Marte. L’atterraggio diventa pressoché irrilevante. Ha importanza la sua promessa, il poterne parlare.