Brexit: gli antidoti al “corto-termismo”.

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    Al di lá dell’esito del referendum in Gran Bretagna, quel che appare evidente è piuttosto la separazione tra società civile, società politica e mercato, da un lato, e la non sufficiente dotazione di fiducia generalizzata, dall’altro lato: una strozzatura che aggrava inesorabilmente i problemi di governance della nostra società. La governance della complessitá necessita infatti di capitale istituzionale, di nuove forme di democrazia deliberativa e di politica. Il primo punto su cui riflettere è, senza dubbio, l’assetto istituzionale di un paese.

    “È oggi riconosciuto che è la diversa qualità del capitale istituzionale a determinare, in buona parte, le differenze di performance economica di paesi pur caratterizzati da dotazioni sostanzialmente simili di capitale fisico e di capitale umano. In altro modo, senza nulla togliere alla perdurante importanza dei fattori geografico-naturali e di quelli materiali, è un fatto che l’assetto istituzionale di un paese è, oggi, l’elemento che più di ogni altro spiega la qualità e l’intensità del processo di sviluppo di una determinata comunità.” (Zamagni 2014).

    L’esempio più rilevante di istituzione politica è costituito dal modello di democrazia in atto: elitistico-competitivo, oppure maggioritario, oppure comunitarista, oppure deliberativo. Ebbene, con riferimento all’attuale passaggio d’epoca, il modello elitistico-competitivo di democrazia – la cui teorizzazione è associata ai nomi di Max Weber e Joseph Schumpeter – non è più in grado di assicurare elevati tassi di progresso e di dilatare gli spazi di libertà dei cittadini. E’ piuttosto il modello deliberativo di democrazia la meta verso cui tendere se si vuole che lo stock di capitale sociale di un territorio cresca. ( A. Sen)

    D’altro canto, la democrazia non può consistere solo nei meccanismi della rappresentanza e della tutela degli interessi. La vita democratica non riguarda solo le procedure ma la definizione di uno spazio aperto di garanzie e di diritti perchè ciò che non passa dalla politica non sia ridotto al rango di residuo o a qualcosa che tutt’alpiù può venire tollerato. E ciò per la fondamentale ragione che la società non è l’oggetto della politica; è piuttosto il fine che la politica, col suo organo principale che è lo Stato, deve servire.

    Dentro questa evoluzione forse si comprende meglio anche perché sulle future generazioni spesso si caricano costi di scelte fatte solo con lo sguardo ripiegato al presente. Questa visione oramai è diventata una prassi nota in politica come “corto-termismo” (short-termism): i partiti politici predispongono la propria piattaforma elettorale pensando alle elezioni successive e non agli interessi delle generazioni future. È questa, infatti, la strategia che spesso viene posta in atto per sperare di vincere nella competizione elettorale. Ma la politica democratica è la visione degli interessi lontani. La responsabilità verso le generazioni future è questione che, soprattutto nella stagione attuale, non può essere elusa. La natura della più parte delle questioni rilevanti in ambito sia sociale sia economico è oggi tale che le decisioni che i governi prendono sulla base di un orizzonte temporale di breve periodo generano quasi sempre effetti negativi di lungo periodo che si ripercuotono sulle generazioni future, alle quali però essi non rispondono elettoralmente.

    È dunque la discrasia crescente tra assetti politici pensati per il breve periodo e le conseguenze derivanti da quegli assetti, a fare problema. Di qui la miopia di cui sembra soffrire la gran parte delle scelte politiche.

    Si genera così una deriva “economicistica” della concezione della cittadinanza.
    Mentre quando lo stock di capitale sociale è elevato, i cittadini sono più coinvolti nella partecipazione alla vita comunitaria, così che le autorità di governo locale si sentono monitorate e dunque si trattengono da pratiche di rent-seeking e di corruzione (Zamagni 2015). Non solo, ma dove è alto il capitale sociale, le preferenze politiche dei residenti tendono a privilegiare linee di policy che beneficiano tutta la popolazione piuttosto che quelle che favoriscono alcuni gruppi a spese di altri.

    Per combattere il corto-termismo “è indispensabile che la politica torni ad essere il regno dei fini e il mercato il regno dei mezzi, e non il contrario. In definitiva, abbiamo “bisogno di ricongiungere mercato e democrazia per scongiurare il duplice pericolo dell’individualismo e della tecnocrazia statalista. Si ha individualismo quando ogni membro della società vuol essere il tutto; si ha centralismo quando a voler essere il tutto è dimensione collettiva” (S. Zamagni)

    Nel primo caso si esalta a tal punto la diversità da far morire l’unità; nell’altro caso, per affermare l’uniformità si sacrifica la diversità, e questo non possiamo permettercelo.

    Note bibliografiche

    Fiducia, Reciprocità e mercato – Stefano Zamagni, 2015 Aiccon
    Perché una democrazia non demofobica ha bisognoi dei corpi intermedi – Stefano Zamagni, 2014 Aiccon
    L’idea di Giustizia – Amartya Sen 2010
    Lo sviluppo è libertà – Amartya Sen 2000

    Note