Quali saranno le conseguenze di lungo termine del conflitto tra Russia e Ucraina? Come si ridefiniranno gli equilibri politici interni alla Comunità Europea, nel quadro di mutati equilibri geopolitici globali? L’esplosione del conflitto ha rapidamente polarizzato il dibattito in tutti i paesi europei, consolidando opposte visioni degli eventi in corso. cheFare e il Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere dell’Università di Bergamo hanno deciso di sviluppare, nel quadro di un progetto di Terza Missione, un percorso editoriale che intende interrogare il nostro tempo, analizzando le sfide sociali e culturali che la guerra pone al continente europeo e al suo futuro. Autrici e autori con diversa formazione ed estrazione culturale ragioneranno di istituzioni comunitarie, di equilibri migratori, di geopolitica, di politiche energetiche, di crisi ambientale, di economia, di culture europee.
È notizia di questi giorni la mobilitazione parziale per rilanciare l’offensiva militare in Ucraina annunciata da Putin, che non ha neppure fatto mistero di un possibile ricorso all’arma atomica in caso di nuove intromissioni delle nazioni occidentali. Ebbene, dopo settimane in cui la nostra attenzione nei confronti del contesto ucraino stava iniziando a scemare (eccezion fatta per le possibili ricadute sull’aumento delle bollette del gas in vista delle stagioni più fredde), ecco che la mossa del capo del Cremlino ha nuovamente riacceso i riflettori sul conflitto, innescando la spirale delle preoccupazioni in Occidente.
A proposito della nuova minaccia nucleare, sul “Manifesto” del 23 settembre, Alberto Negri a ragione ha scritto che da «oltre sessant’anni» il mondo vive su un precario equilibrio in cui è generalmente accettata la massima secondo cui «non si attacca un nemico se si pensa che anche lui possa distruggerti»1Cfr. A. Negri, Il pericoloso “bluff” di Putin, “Il Manifesto”, 23 settembre 2022.. Insomma, per dirla in maniera esplicita, una Guerra fredda che di fatto non è mai finita nonostante la dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Perché non accettare che il mondo sta diventando sempre più multipolare e reagire di conseguenza?
Come si è giunti a questo punto? È la “semplice” reazione di USA e UE all’aggressione russa e alla nuova escalation preannunciata da Putin oppure le radici della nuova turbolenza sono più profonde e dunque più intricate?
Non voglio nascondermi. Temo che le drammatiche tensioni di questi giorni non siano affatto riconducibili all’instabilità che segna le relazioni internazionali dal 24 febbraio 2022, giorno in cui ha preso via l’offensiva russa contro l’Ucraina. Allora, sgombriamo il campo da ogni possibile equivoco: è innegabile la responsabilità di Putin e dell’establishment russo in questa drammatica vicenda bellica. Al di là di questo punto, che non può essere messo in alcun modo in discussione, a livello di discussione pubblica credo si debba provare a ragionare proprio sulla storia dell’oggi, non rinunciando però a formulare qualche speranza per il futuro prossimo.
Da un punto di vista più propriamente storico, a più di vent’anni dalla fine formale della Guerra fredda, possiamo affermare che il mondo non è divenuto affatto un luogo più sicuro, né tanto meno più stabile. A conferma di questo assunto, si prenda in considerazione quanto scritto da Antonio Varsori nel suo manuale Storia delle relazioni internazionali: mentre la fase immediatamente successiva alla dissoluzione dell’Unione Sovietica poteva essere descritta alla stregua di un ordine globale illusorio, a partire dal 2001 si è affermato un vero e proprio disordine internazionale2Cfr. A. Varsori, Storia internazionale. Dal 1919 a oggi, Il Mulino, Bologna, 2015..
All’interno di un simile scenario, davvero segnato da una profonda trasformazione, anche la Russia fu segnata da un processo di rivisitazione del proprio status globale. Per accorgersene, al di là dei numerosi libri di storia, basta sfogliare Tempo di seconda mano, il capolavoro di Svetlana Aleksievič: dopo il disfacimento dell’URSS, il processo di rinascita della Russia post-sovietica fu non solo tormentato e problematico, ma anche contrassegnato dall’affermarsi di un modello di capitalismo selvaggio che impoveriva ampi strati della popolazione3Cfr. S. Aleksievič, Tempo di seconda mano, Bompiani, Milano, 2013..
In Occidente abbiamo chiuso gli occhi di fronte alla progressiva destabilizzazione delle relazioni tra Ucraina e Russia
Giunto al potere dopo la stagione di Boris El’cin, Putin ridiede centralità allo Stato anche attraverso la progressiva emarginazione di quegli oligarchi che avevano potuto prosperare nel Paese a partire dai primi anni Novanta. Saldo sul fronte interno, dopo una prima fase di avvicinamento agli USA (in particolare dopo l’11 settembre 2001), con il prosieguo del primo decennio del Duemila Putin mise in campo una politica estera neoimperialista via via più aggressiva, che ebbe nelle guerre in Cecenia e in Georgia gli esempi più lampanti. Nell’ottica dell’espansione della sfera di influenza russa, la questione ucraina riesplose proprio negli anni di Putin, fino ad arrivare a quanto sta accadendo anche in questi giorni.
In Occidente, colpevolmente, abbiamo chiuso gli occhi di fronte alla progressiva destabilizzazione delle relazioni tra Ucraina e Russia, sperando di poter tutelare i nostri interessi sul piano delle risorse energetiche. Risvegliati dal torpore a partire dall’inizio del 2022, i governi occidentali hanno deciso di sostenere la causa ucraina, interpretando la Russia di Putin alla stregua di un rinnovato “impero del male”.
Domanda: è sufficiente il pur giusto sostegno militare e di intelligence a Kiev per portare ad una stabilizzazione del quadro internazionale una volta – speriamo presto – che il conflitto con Mosca sarà concluso? In sincerità, penso di no. La storia del Novecento ci insegna che proprio quando le fratture sembrano insanabili, è il caso di gettare il cuore al di là dell’ostacolo: nel 1916-1917, forse nella fase più acuta della Grande guerra, statisti e intellettuali iniziarono a riflettere sull’ordine post-bellico, poi segnato dalla Società delle Nazioni ispirata dal presidente americano Woodrow Wilson. Nel 1941, quando le forze dell’Asse sembravano imbattibili, Winston Churchill e Franklin Delano Roosevelt sottoscrissero la Carta Atlantica, di fatto le fondamenta teoriche delle Nazioni Unite.
Perché non provarci anche oggi? Perché non accettare che il mondo sta diventando sempre più multipolare (gli USA, l’UE, la Russia e la Cina, solo per citarne alcuni) e reagire di conseguenza? A mio avviso, se questo fosse l’obiettivo di massima, la discussione dovrebbe essere arricchita da una certa dose di idealismo, dove con questo termine non dobbiamo intendere un teorico astrattismo, bensì la capacità di immaginare uno scenario diverso dall’esistente. Ebbene, abbracciare un afflato ideale vorrebbe dire – esattamente come si sosteneva poco più di cent’anni fa – pensare di rinunciare alla guerra come soluzione per le controversie internazionali: sarà forse utopistico, ma perché non provarci?