Annemarie Naylor è una hacker di biblioteca. Frustrata dall’idea che il settore pubblico inglese potesse rinunciare alla sua piccola biblioteca rurale e sentendo voci sui tagli al bilancio della sua istituzione, iniziò a creare un nuovo modello di biblioteca per la comunità. Nel 2013 si attivò per lanciare la nuova Waiting Room a St. Botolph, con l’aiuto delle biblioteche dell’Essex e di un gruppo di volontari.
Invece di cercare di salvare la biblioteca tradizionale, Naylor e i suoi colleghi decisero di creare uno spazio dove le persone potessero creare e scambiare conoscenze in forma pubblica.
Pubblichiamo un estratto da Bibliotech di John Palfrey (Editrice Bibliografica)
Da ex stazione di autobus, la Waiting Room è oggi uno spazio creativo per la comunità dove opera Naylor: un luogo attraente e colorato, con soffitti alti e un allestimento flessibile. Naylor la chiama “uno spazio di biblioteca fra hacking e making”. Le persone della comunità sono sollecitate a proporre eventi e attività con al centro idee, sviluppo di competenze e progetti creativi. Gli ambienti ospitano laboratori accanto al Micro Social History Museum, dove i residenti del luogo possono condividere e conservare le loro fotografie, le loro memorie e le storie sulla vita a St. Botolph. Lo spazio funziona anche come caffè, bar e luogo di intrattenimento.
La Waiting Room ha destato moltissima attenzione. Attraverso il lavoro di Naylor e di altri, l’idea di questo tipo di biblioteca di comunità è stata replicata in Inghilterra e altrove. 65 comunità in tutto il paese hanno discusso questo modello e dimostrato l’interesse pubblico verso nuove forme di biblioteche pubbliche nell’era digitale. Naylor ha anche raggiunto le sponde opposte dell’Atlantico e ha avviato delle collaborazioni con bibliotecari come Nate Hill a Chattanooga, Tennessee, per migliorare il suo modello e formare una rete. In collaborazione con Hill e un terzo bibliotecario, Marc De’ath, Naylor ha avviato un nuovo progetto, “Common Libraries”, per aiutare le comunità a determinare i loro stessi bisogni informativi.
Per Naylor e i suoi collaboratori, le biblioteche sono la risposta alla povertà, alla disoccupazione, alla noia. Come piattaforma per lo scambio di conoscenza e informazione, la versione di biblioteca proposta da Naylor è profondamente allineata con i bisogni e gli interessi specifici della sua comunità, non basata su una singola visione di che cosa una biblioteca dovrebbe essere come luogo deputato a conservare collezioni o come luogo pubblico. In alcune comunità, l’obiettivo della biblioteca di comunità è di contribuire a insegnare nuove competenze ai disoccupati e avvicinare gli inesperti al mondo della tecnologia. In altre, l’obiettivo si rivelerà essere il supporto alla capacità di fare impresa o al settore creativo e artistico. Non c’è un modello universalmente valido di biblioteca di comunità.
Quello che Naylor, Hill e De’ath stanno facendo al di qua dell’Atlantico è un grande esempio di come le biblioteche possano passare dal competere le une con le altre alla collaborazione. Se non avessero cooperato gli uni con gli altri, questi tre bibliotecari non sarebbero mai stati in grado di lanciare il programma “Common Libraries” e avere la libertà e le risorse di ripensare completamente le rispettive biblioteche locali. In un certo senso, il livello di “decostruzione” che hanno raggiunto si era fatto già molta strada per decenni, ma in modo discontinuo. In generale, i bibliotecari sono fra i migliori collaboratori al mondo, e il sistema delle biblioteche si è sviluppato in molti secoli di storia in una rete potente.
La rete istituita fra i bibliotecari ha già molte delle caratteristiche che servono per l’era digitale. Ma se le biblioteche vogliono sopravvivere in un’epoca nella quale le risorse sono più che mai carenti rispetto al passato, si deve fare di più. […]
Si sta profilando una vasta collaborazione, che tuttavia non è ancora la norma. Troppo pochi sono i bibliotecari e le scuole di biblioteconomia che partecipano a tale cooperazione destinata a ridefinire in modo sostanziale le biblioteche per l’era digitale. Nel segno della condivisione, le collaborazioni che faranno un’enorme differenza implicano creazione di piattaforme open- source, opportunità di aggiornamento professionale, sviluppo delle collezioni e una digitalizzazione massiva coordinata.
Ciò di cui abbiamo bisogno nelle biblioteche non è una collaborazione marginale o accessoria, ma radicale, che vada molto al di là di quanto accade oggi. I bibliotecari devono misurare il loro successo non come istituzioni o persone singole, ma piuttosto come collaboratori che lavorano insieme per costruire un nuovo ecosistema dell’informazione e che soddisfano i bisogni di un gruppo di utenti in rapida evoluzione. Questa serie di cambiamenti concettuali non sarà facile, né sarà esente da controversie.
La prossima fase di cooperazione fra strutture bibliotecarie potrà essere piuttosto difficile. Lo sviluppo di biblioteche digitali dovrebbe essere fondato su piattaforme aperte, con API (Application Programming Interface) aperte, dati aperti e codici aperti a tutti i livelli. Nessuna biblioteca sarà proprietaria del codice, della piattaforma o dei dati, che potranno essere scaricati “da tutti, in modo libero”. Lo spirito necessario è lo spirito hacker rappresentato da Code4Lib, un gruppo di volontari legati alle biblioteche, agli archivi e ai musei, che si sono dedicati a condividere approcci, tecniche e codici necessari a riconfigurare tali istituzioni per l’era digitale. A livello internazionale, la comunità che si ritrova alle conferenze di NEXT Library persegue lo stesso compito di “decostruire” le bibliote- che attraverso una collaborazione su vasta scala.
Le biblioteche diventeranno tanto più autorevoli quanto più saranno collegate ad altri tipi di istituzioni formative. Le scuole sono un punto di collegamento ovvio. Le “biblioteche piatta-forme”, con API aperte, potrebbero aiutare le scuole pubbliche americane, ad esempio, a introdurre gli standard curricolari di base in tutta la nazione. I materiali di biblioteca ad accesso aperto, che corrispondono a tali standard curricolari di base, potrebbero essere resi facilmente disponibili agli insegnanti e ai loro studenti nel momento in cui creano i nuovi piani formativi. I sistemi aperti potrebbero servire anche da “palestre” per gli studenti che stanno imparando a scrivere in codice e a lavorare con materiali digitali.
In un gioco di associazione di parole, spesso “innovazione” e “biblioteche” non si abbinano in modo naturale.
Probabilmente questo è un po’ ingiusto per i molti bibliotecari che mettono nel loro lavoro uno spirito di sperimentazione e cambiamento simile a quello che ha creato Internet e il web. Tuttavia, per promuovere ulteriormente l’innovazione nelle nostre biblioteche, noi, in quanto membri della società che contiamo su di loro, dobbiamo assicurarci che esse e i loro hacker dispongano dei fondi, delle risorse e del tempo di cui hanno bisogno per operare questa transizione.
Oggi i bibliotecari hanno un canovaccio quasi infinito sul quale lavorare. Oltre a tutti i libri, alle immagini e agli altri documenti che già esistono, devono anche occuparsi continuamente di gestire e preservare la straordinaria mole di nuovo materiale prodotto. Come ci ricordano le grandi aziende tecnologiche nelle loro pubblicità, viviamo in un’epoca di grandi dati (big data). Ogni giorno produciamo due quintilioni e mezzo di byte. Di conseguenza, il 90% dei dati esistenti al mondo sono stati creati negli ultimi due anni.
I bibliotecari devono iniziare ad aiutare le persone a dare un senso alle enormi quantità di dati che produciamo. Molto probabilmente, le capacità richieste per fornire una tale assistenza non saranno presenti in una singola persona. Le biblioteche dovranno sviluppare gruppi di lavoro che operino insieme, in modalità quasi totalmente sperimentali, per soddisfare tali bi- sogni in continua evoluzione. I membri di questi gruppi dovranno avere competenze in informatica e design, che molti bibliotecari oggi non hanno. E avranno bisogno di una infrastruttura aperta e di una quantità massiccia di dati aperti e metadati con cui operare.
In questo processo di reinvenzione, i bibliotecari dovranno lavorare con tutti i tipi di collaboratori, anche inaspettati. I grafici e gli esperti di user experience possono aiutare i bibliotecari a re-immaginare come gli scaffali digitali possano presentare i libri e altri materiali in modi nuovi e rivelatori. I consulenti di business possono sperimentare nuovi modelli per il prestito elettronico di documenti elettronici che consentiranno di avere risultati finanziari migliori, senza violare il senso o lo spirito della legge sul copyright. Ma, cosa ancora più importante, i bibliotecari dovranno essere pronti a collaborare con coloro che amano le biblioteche e cercano di essere al servizio dell’interesse pubblico in questo momento cruciale in cui la loro riconfigurazione è assolutamente necessaria.
Il fine di “decostruire” le biblioteche è quello di infondere loro lo spirito di innovazione che porterà a una nuova e positiva impostazione, destinata ad avere successo. Molto spesso il progresso nella creazione e nell’uso della conoscenza avviene nel settore privato e commerciale. Finanziata da capitalisti ambiziosi e avventurieri, e perseguita inflessibilmente da CEO intraprendenti e dai loro team di programmazione, la scena delle start-up ha avviato da decenni nuovi progetti di successo legati all’informazione.
Considerate il servizio di ricerca di Google, il Kindle di Amazon, la piattaforma di app di Apple, Facebook e Twitter quali cinque fra i possibili candidati in concorso per l’innovazione più importante relativa al mondo dell’informazione nell’ultimo decennio. Wikipedia, Mozilla e la Khan Academy possono contendersi le posizioni sul versante no profit della bilancia. Qual è la più grande innovazione che emergerà dalle biblioteche nell’era digitale? È molto difficile rispondere, ma in questo momento di cambiamenti è chiaro che la prossima grande innovazione nella gestione della conoscenza dovrebbe arrivare proprio dal loro mondo. Esse possono offrire alternative importanti ai servizi forniti dalle aziende, che avranno sempre da guadagnare nell’offrire un accesso alla conoscenza costoso, limitato e parziale.
La buona notizia per le biblioteche è che c’è ancora tempo per avviare questa transizione. Gli oggetti fisici non scompariranno almeno per qualche anno e le loro vecchie modalità operative assolvono ancora a funzioni quotidiane importanti. Ma la finestra per agire non resterà aperta per sempre. Coloro che fra noi hanno a cuore le biblioteche devono escogitare come “decostruire” i grandi sistemi nei quali operano, al fine di ricalibrarli in vista di un’era “più digitale”.
Questa chiamata alla “decostruzione” delle biblioteche non ha nulla a che vedere con la loro distruzione, ma piuttosto con la loro ricostruzione in modi che le renderanno utili, attraenti e sostenibili, mentre cambiano i formati e le abitudini degli utenti. Re-immaginare e reinventare queste amate istituzioni non sarà facile. Le attività delle biblioteche che attualmente godono del positivo riscontro da parte di molte persone potrebbero dover essere abbandonate. Tuttavia, il risultato finale del “decostruire” le biblioteche sarà quello di salvarle come istituzioni, renderle più utili e meglio posizionate per raggiungere i loro obiettivi futuri, e di liberare la creatività in modi sui quali oggi possiamo soltanto speculare.
Se le biblioteche saranno “decostruite”, il lavoro del bibliotecario dovrà cambiare profondamente e i curricula nelle scuole di biblioteconomia dovranno essere riscritti. Altrettanto importante e necessario si rivelerà la capacità di trovare il modo di gratificare diversi tipi di leader nell’ambito della biblioteconomia.
John Palfrey, Bibliotech. Perché le biblioteche sono importanti più che mai nell’era di Google (Editrice Bibliografica)