Esplorare la città: interconnessione e spazio pubblico

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    Quando ero piccolo, nei lunghi viaggi in macchina con i miei genitori (in realtà lunghi o brevi non faceva differenza: erano sempre lunghi per me) mi ritiravo in un silenzio ascetico focalizzando la mia attenzione su pochi elementi ricorrenti:

    l’ascolto delle cassette di musica italiana anni ‘60 di mio padre, l’osservare lo scorrere delle gocce di pioggia sul finestrino, e, tra le altre, la lettura attenta e curiosa, velocità permettendo, delle liste di città gemellate presenti sui cartelli di ingresso di una città o paese.

    Online è presente la definizione di questa pratica “Il gemellaggio (town twinning), ideato in Europa attorno al 1950, rappresenta la stipulazione ufficiale di un’unione fra due o più comunità […] allo scopo di cooperare e collaborare in diversi settori […] e di stabilire rapporti duraturi nel tempo”.

    Quei nomi esotici, i loghi e le bandiere strane erano per me motivo di grande interesse, fantasticavo di viaggiare, erano i tempi in cui alle scuole elementari facevano gli incontri per dirti quanto fosse cool l’Unione Europea, l’Euro era una cosa ganza e sì, in classe ci scambiavamo le figurine dei vari stati per completare l’album “Europa” (sì sì tranquilli, ci scambiavamo anche quelle dei Pokémon e dei calciatori Panini, tutto regolare).

    Forse vi ricorderete di me per l’articolo della scorsa settimana sul tema dell’interconnessione, in cui ho spiegato perché ci sia bisogno di parlarne, auspicando la costruzione di un immaginario più plurale sul tema. Per dare avvio a questo processo occorre iniziare a relazionarsi con qualcosa di più concreto e tangibile, con un’applicazione che sia in grado di far emergere delle domande sul ruolo dell’interconnessione nelle nostre vite. Ecco perché qui parleremo di interconnessione e territorio.

    Oggi quelle stesse città sono interconnesse le une altre altre non solo tramite accordi, protocolli e strani cartelli per le strade. Anzi, si può proprio affermare che negli ultimi 20 anni sia stato attuato un processo che ha portato alla creazione di un vero landscape digitale urbano, dove la grande “Rivoluzione dell’Informazione” citata da Floridi ha portato a trasformare il concetto di città in qualcosa di ancora più complesso.

    Iaconesi e Persico, che hanno fatto di questi temi i punti cardine della loro ricerca artistica, anni fa hanno scritto un piccolo saggio dal titolo “Societing e co-creazione della città” in cui il tema viene esplorato proprio in questi termini, e a cui questo articolo deve molto.

    Al suo interno sono citati molti studiosi e ricercatori che hanno trattato il tema fin dagli albori di Internet, se non prima, affrontando di volta in volta aspetti specifici: ecco che troviamo il “DigiPlace”, la “Digital Ground”, la “City of Bits” fino al “Thirdspace” (da non confondere con il Terzo Paesaggio di Clément) tutti concetti che, con sfumature e accenti diversi, hanno cercato in qualche modo di descrivere nuovi spazi urbani nati grazie alle tecnologie dell’informazione (e quindi non solo Internet, ma anche le tecnologie come il GPS, tutto il mondo delle telecomunicazioni ecc…). Oggi ci troviamo a vivere gli spazi urbani immersi in uno stato di “feedback reciproco” tra noi, la città, l’informazione e le tecnologie, innovando continuamente e lasciando che le tecnologie vadano a modificare il nostro stile di vita e le nostre abitudini.

    Questa condizione ha fatto sì che il significato di spazio e tempo in relazione alla nostra vita digitale abbia parzialmente perso senso. Si può osservare il passaggio da una concezione lineare del tempo, il Cronos greco, che caratterizza le nostre vite analogiche, a quella ben diversa del Kairos, dove siamo noi (e gli algoritmi, in realtà) a decidere cosa è importante e cosa no, chi viene prima e dopo, cosa guardare, a cosa dedicare attenzione.

    Soffermandosi ora sul concetto di spazio, ci accorgiamo che non sono solo le tecnologie ad essere ubique, ma lo siamo noi stessi.

    Posso postare uno status di sostegno agli amici dell’Erasmus a Barcellona per il referendum della Catalogna seduto in un bar a Berlino, mettere come foto profilo un rettangolo nero con scritto “Je suis Paris” dal mio ufficio a Messina, festeggiare la vittoria di Trump twittando #MakeAmericaGreatAgain sulle rive del Po.

    Calvino oggi potrebbe scrivere 32 volumi di città invisibili che si perdono nell’infosfera, e il Gran Khan potrebbe visitarle tutte in ordine sparso scegliendo l’apposito hashtag o tramite un buon visore di realtà virtuale, con Marco Polo triste in un angolo senza neanche una foto per il suo profilo Instagram.

    Tornando su esempi più concreti, è possibile trovare diverse esperienze volte all’esplorazione del landscape digitale urbano. Tra questi rientrano i progetti svolti negli ultimi 10 anni dal Senseable City Lab del MIT. Il laboratorio guidato da Carlo Ratti, che si descrive come “Urban imagination and social innovation through design & science” sembra andare proprio nella direzione descritta fino ad adesso.

    Purtroppo questo è vero solo in parte. L’impressione è infatti che occorra uno sforzo in più per dare a questi strumenti virtuali una dimensione concreta ed arrivare al punto: come oggi poter portare, nello spazio pubblico, l’interconnessione? Come riconciliare la vita “informativa” con le pratiche svolte ogni giorno dagli abitanti del territorio?

    La risposta a delle domande così complesse, ovviamente, non è una sola. Già qualche anno fa qualcuno si faceva domande simili, e oggi contributi sul tema arrivano continuamente.

    Con il progetto GarBAOTAZ vogliamo tentare la via della sperimentazione, e avviare un processo di co-progettazione per la costruzione di un’opera, un Osservatorio sull’identità fisica e digitale della Garbatella del presente, passato e futuro.

    Il progetto GarBAOTAZ nasce specificatamente sull’area romana della Garbatella, la cui tradizione storica si caratterizza per una forte coesione e interazione tra gli abitanti, espressa dalla vita quotidiana all’interno dei lotti, e dalle molteplici esperienze di condivisione sociale.

    Con GarBAOTAZ si cercherà un rapporto di interazione-azione con il pubblico, che potrà nel tempo imparare a conoscere le reazioni espresse dall’Osservatorio rispetto alla vita del quartiere stesso. Il quartiere sarà partecipe anche nella sua realizzazione e progettazione, che sarà svolta tra i partecipanti ai laboratori, gli abitanti dei vari lotti e le varie realtà coinvolte, tra cui in la community dello stesso FabLab Roma Makers (co organizzatore), il Coworking Millepiani, la Casetta Rossa, i fruitori della Biblioteca Moby Dick, le varie realtà afferenti a “La Strada”, gli Orti Urbani e i vari comitati di quartiere.

    Grazie al supporto tecnico fornito da Human Ecosystems Relazioni, fisico e digitale si incontreranno per una nuove definizione dell’Identità di Garbatella: il tempo (il passato, il presente, il futuro) e lo spazio (cosa le persone di Garbatella dicono su Garbatella, e cosa le persone fuori da Garbatella dicono su Garbatella) si uniranno tra pratiche di ricerca etnografica urbana, scenari di near future design e social media listening, da esplorare senza visori alcuni.


    Immagine di copertina ph. Xavier von Erlach da Unsplash

    GarBAOTAZ è un progetto organizzato da Nefula e Roma Makers, con il supporto tecnologico di Human Ecosystems Relazioni, e la collaborazione di Artribune, La Cura, Casetta Rossa, CivicWise, BAOTAZ.

    Note