Il mercato del libro deve progettare una rivoluzione per sopravvivere al Coronavirus

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    Non possiamo stare in piazza, allora ci siamo messi alla finestra, al balcone. Osserviamo, ci parliamo a distanza, cerchiamo di farci coraggio. Qualcuno canta, qualcuno applaude, qualcuno accende una torcia. E noi sopportiamo tutto questo di buon grado, convinti che da questa comunione a distanza possa scaturire un senso nuovo, più solido e pulito, di comunità.

    Quelli come me, che sono sempre stati restii alle forme collettive di socialità, si sono trasformati in tanti Jeff Jefferies e, in silenzio, cercando di non farsi troppo notare, osservano come la vita riesca ad andare avanti, anche in tempi difficili.

    Da qualche settimana dalla mia finestra sul cortile del libro osservo con molta attenzione quel che accade. Lo faccio abitualmente, ma mi sembra che in questo momento, indubbiamente difficile per tutti, sia opportuno tenere le orecchie e gli occhi bene aperti.

    La ragione di questa esigenza di attenzione è la convinzione che questa, oltre a essere una circostanza difficile e tragica, sia anche uno stimolo all’istinto di sopravvivenza che ci farà trovare soluzioni a problemi nuovi e antichi, aprirà la strada a interessanti innovazioni.

    Molte delle cose interessanti che vedo accadere sono legate alla necessità delle librerie indipendenti di superare il blocco del fatturato imposto dalla inaccessibilità al pubblico dei locali di vendita. Fino a un certo punto, molte librerie sono state attive con la consegna a domicilio: si ordina il libro per telefono, Whatsapp o email e lo si riceve tramite un fattorino. Molte altre spediscono libri avvalendosi del benemerito, ma troppo spesso inefficiente, servizio Piego di libri di Poste Italiane.

    Due librai particolarmente intraprendenti (Valentina Pellizzoni e Tommaso Falzone di Spazio Libri la Cornice di Cantù) hanno pensato che, essendo aperte le edicole ed essendo consentito recarsi ad acquistare il giornale, proprio le edicole potessero essere il punto di raccordo fra la domanda e l’offerta e la camera di compensazione del sistema di pagamento; e così adesso, ogni giorno, preparano eleganti sacchetti bianchi che riportano nome e importo da pagare, li portano all’edicolante e i clienti li vanno a ritirare. [Questa esperienza potrebbe suggerire ad associazioni di categoria locali, come LIM – Librerie Indipendenti Milanesi, di tentare un accordo con le edicole della città per tenere vivi i commerci dei loro associati, nel caso in cui la chiusura si protraesse].

    Anche che le librerie si cominciano a rendere conto dell’importanza della comunicazione in rete

    A guardar bene, mi pare anche che le librerie si comincino a rendere conto dell’importanza della comunicazione in rete, attraverso strumenti diversificati e articolati: se Facebook e Instagram per alcuni librai sono diventati un succedaneo della vetrina della libreria, per altri acquisisce particolare importanza un contatto più diretto e personalizzato con la clientela, attraverso le newsletter. E, probabilmente, l’avere più tempo a disposizione, liberato dalla scomparsa di molte delle attività burocratico amministrative della gestione quotidiana della libreria, permette ai librai di essere più accurati e interessanti nel comunicare.

    Questa attività potrà avere, a mio avviso, un certo peso con il ritorno alla normalità: per alcune settimane, i librai indipendenti avranno avuto la possibilità di far capire al pubblico in generale in che cosa consiste la loro peculiarità, sia come categoria professionale, sia come singoli, beneficiando, oltretutto, sia della sostanziale latitanza comunicativa delle librerie di catena sia della presenza di un pubblico più vasto e più attento in rete.

    I dati di vendita, finché sono stati disponibili, cioè fino a mercoledì 13 marzo, non sono affatto rassicuranti. Il mese di febbraio si è chiuso nel complesso con una contrazione: circa -6,5% in termini di volumi e -4,5% in termini monetari a livello nazionale (campione Arianna). I primi giorni del mese di marzo hanno visto aggravarsi la tendenza: rispettivamente, -11% e -10,5% circa.

    Mi ha meravigliato che la contrazione abbia assunto i connotati del disastro proprio nell’area normalmente la più ricettiva dei libri e dei prodotti culturali in genere: il milanese. È indubbiamente da valutare l’ipotesi che sia una distorsione del campione (che sottostima le librerie indipendenti e non rileva i dati di Amazon) ciò che fa rilevare quasi il 20% in meno a febbraio e quasi il 40% in meno nei primi tredici giorni di marzo, con punte di quasi -90% per la giornata di domenica 8 marzo (confrontata con il 10 marzo dello scorso anno). Ma il quadro è tetro.

    Ciò di cui avremo davvero bisogno, quando torneremo almeno a una parvenza di normalità sia una visione finalmente non avversaria delle relazioni economiche nel comparto editoriale

    Sono in molti a domandarsi, in questo frangente, quante e quali librerie riusciranno a riaprire, nel caso la sosta si dovesse prolungare. Proprio per questo si deve cominciare a pensare a una nuova sostenibilità, anche al di là dell’emergenza. Ho accolto con grande favore, per non dire con vero e proprio entusiasmo, l’iniziativa del mio distributore nazionale (ALI – Agenzia libraria international) di prolungare di sessanta giorni i termini di pagamento delle fatture in scadenza al 31 marzo alle librerie indipendenti, rendendosi disponibile anche per le scadenze successive, nel caso l’attività economica dovesse restare limitata. Per quanto possa essere un modesto palliativo, questa decisione unilaterale di un soggetto della filiera, a beneficio quasi esclusivo degli altri soggetti dai quali dipende il suo benessere economico, mi ha fatto riflettere su come ciò di cui avremo davvero bisogno, quando torneremo almeno a una parvenza di normalità sia una visione finalmente non avversaria delle relazioni economiche nel comparto editoriale.

    Sono convinto che una delle cose sulle quali sia giusto cominciare a riflettere, ora che tutto è fermo e abbiamo il tempo, le energie per – e la necessità di – farlo, sia cercare soluzioni ad alcune evidenti inefficienze del mercato.

    Proviamo insieme a indagare su che cosa sono e che cosa comportano queste inefficienze partendo da una considerazione: tutti (dico tutti) i librai indipendenti che conosco lamentano margini insufficienti a garantire la redditività, quindi la sopravvivenza, delle librerie che gestiscono. L’insufficienza dei margini è quello che li costringe a continue acrobazie e salti mortali e che li mette, in una situazione come quella attuale, nella sgradevole condizione di non poter contare su riserve accumulate nel tempo per far fronte con più tranquillità (o meno terrore) a un’emergenza. Proprio per avere margini più ampi, i librai indipendenti hanno fortemente sostenuto la nuova legge sul libro e la limitazione dello sconto; e sono da sempre in lotta con le società di distribuzione e gli editori per ottenere sconti più elevati.

    Se, da una parte, sono convinto che il nuovo provvedimento legislativo (che entrerà in vigore il prossimo 25 marzo) sarà benefico soprattutto per le librerie indipendenti, dall’altra temo che sarà largamente insufficiente a garantire alle librerie una redditività adeguata. E la cosa mi preoccupa, perché le librerie indipendenti sono la mia chiave d’accesso al mercato, i mediatori fra i miei libri e chi li compra, a sua volta mediatore fra i miei libri e i miei lettori. Quindi, da editore, ho la necessità di poter contare su un tessuto solido, vivo e vivace di librerie indipendenti che riescono a lavorare e a trarre un giusto guadagno dalla loro attività.

    Le soluzioni a questo stato di cose, finora, sono state idiosincratiche, cioè specifiche, ad hoc, e non sistematiche e di carattere generale. Per esempio, in alcune occasioni particolari agisco sul distributore affinché conceda a un libraio (o a un piccolo gruppo di librai) particolari condizioni economiche per rendere sostenibile un’iniziativa e favorirne la replica o la duplicazione. Rientrano in questa categoria la concessione di forniture in conto deposito e a maggior sconto in occasione di iniziative particolari come presentazioni, manifestazioni e festival. In questo fare sporadico ho sempre trovato, per mia fortuna, ascolto presso il mio già citato distributore.

    Le librerie indipendenti sono la mia chiave d’accesso al mercato, i mediatori fra i miei libri e chi li compra, a sua volta mediatore fra i miei libri e i miei lettori

    So anche di librerie che attivano rapporti di fornitura diretta con alcune case editrici. Trovo che questa prassi che scavalca un importante attore del mercato con la finalità di spartirsi il margine del quale normalmente si appropria, sia inefficiente e deleteria – oltre che illegale in presenza di un contratto di esclusiva – e, per quanto vi abbia occasionalmente e limitatamente aderito in passato, cerco oggi di evitarla.

    La ragione è che il distributore non è un parassita, ma un attore professionale del mercato che offre un contributo importante in termini di valore aggiunto. Un’altra ragione si traduce nel detto milanese «Offelée, fa’ ‘l to mestée»: chi sa fare le offelle [per chi non lo sapesse, sono deliziosi biscotti al burro originari di Parona, nella provincia pavese] deve fare le offelle e se si mette a fare altro deve essere consapevole dei rischi e delle inefficienze a cui si espone. Sono convinto che il favore di cui gode la prassi dello scavalcamento del distributore sia in larghissima parte da addebitare all’incapacità dei librai e degli editori che vi si dedicano di fare bene i conti, includendo in questi, al di là delle voci più evidenti e chiare, anche tutti i costi nascosti e indiretti, come gli oneri amministrativi e il rischio di insolvenza.

    La ragione è che il distributore non è un parassita, ma un attore professionale del mercato

    Va aggiunto che nessuno degli attori della filiera, distributore incluso, ha margini particolarmente ampi: facciamo tutti un mestiere difficile e, se si eccettuano i volumi, le differenze di margine sono sostanzialmente irrilevanti. Di conseguenza, non è immaginabile far aumentare i margini dei librai indipendenti sottraendolo ad altri attori, perché ci troveremmo punto e a capo con lo stesso problema riversato su un altro soggetto.

    Bisogna quindi capire dove poter agire per trovare nuove efficienze e spartirsene i benefici; ambiti nei quali una patente inefficienza apra possibilità di innovazione dei processi che portino a un recupero di marginalità tali da permetterne una condivisione. La mia personale convinzione è che il sistema delle rese sia uno degli ambiti nei quali si possono realizzare importanti recuperi di efficienza.

    Il sistema delle rese è quello che permette al libraio (penso sempre al libraio indipendente) di restituire quasi senza oneri i libri che abbia ordinato in eccesso rispetto alle sue effettive esigenze, ottenendo l’accredito dell’ammontare relativo. In virtù di questa prassi, che non è invalsa solo in Italia, l’editore non ha mai la certezza che quanto fattura sia fatturato effettivo, perché in qualsiasi momento il libraio può restituire l’invenduto (che spesso non è più vendibile, essendo stato esposto e manipolato in libreria, inscatolato in fretta e affidato a fattorini che non brillano certo per cura e attenzione); il distributore deve sobbarcarsi l’onere della gestione fisica e contabile delle rese (per dare un esempio, il mio distributore afferma di ricevere 2000 bancali di rese per giorno lavorativo e alla gestione fisica di questi dedica molto spazio, investimenti in macchinari di selezione e smistamento e non poche risorse umane; e la società nel suo complesso deve sostenere le esternalità negative dell’inquinamento, del congestionamento del traffico e dell’usura delle infrastrutture stradali, e delle materie prime sprecate nella produzione di libri che non saranno mai venduti.

    In un mondo ideale, il diritto di resa sparirebbe e, con lui, tutti i relativi costi. Il libraio acquisterebbe un libro e, nel caso non riuscisse a venderlo, lo potrebbe offrire in saldo, come avviene in molti altri settori merceologici, o cedere a specialisti della vendita degli invenduti (gli stockisti, in questo settore, un tempo si chiamavano librerie remainder ed erano una specie di luogo di iniziazione alla bibliofilia). Per evitare di sovraccaricarsi troppo, potrebbe beneficiare di rifornimenti just-in-time, che sono già la prassi nella distribuzione libraria verso i retailer online e le librerie di catena. E non dovrebbe più sostenere i costi dell’amministrazione e della gestione delle rese, che magari sembrano nulla, ma poi quando devi allestire lo scatolone, chiamare l’agente per autorizzare la resa, chiamare il corriere per il ritiro, preparare il documento di trasporto e verificare la correttezza dell’accredito – al netto di eventuali contestazioni – sono ore, e noie che sottraggono tempo ed energie fisiche e mentali al core business del libraio, che è vendere libri, non restituirli al mittente.

    In quello stesso mondo ideale, l’editore sarebbe certo della spendibilità del fatturato, perché un libro venduto non potrebbe più tornare indietro; potrebbe calcolare con più accuratezza le tirature; e beneficiare di un costo unitario più basso, non essendo più gravato dalla quota media di reso che ogni copia si deve caricare (anche se qui forse l’effetto netto rischia di essere ambiguo, stante la presumibile riduzione delle tirature, con conseguente aumento del costo unitario, nella stessa misura della percentuale media di resi).

    Il distributore, per parte sua, potrebbe avere magazzini più piccoli e agili, meno risorse impegnate in una funzione improduttiva, e un sostanziale sgravio di oneri amministrativi.

    Purtroppo, il mondo è tutt’altro che ideale e l’abbandono del sistema delle rese sarebbe una vera rivoluzione che, come tutte le rivoluzioni che si rispettino, porterebbe sconquassi. Quali? Per esempio, espellerebbe dal mercato tutti gli editori che vendono poco e che riescono a sopravvivere, in attesa di un fantomatico best seller che riporti i bilanci in pareggio, grazie alla sovrapproduzione di novità e a una platea di librai che tendono a privilegiare l’ampiezza dell’offerta a una selezione più severa, fondata su una approfondita conoscenza della propria clientela, secondo un modello reso popolare dalle grandi librerie di catena, e da un pubblico abituato a pensare che una libreria debba avere tutto, anche se sta in poche decine di metri quadri. Inoltre, per gli editori che riuscissero a sopravvivere all’iniziale falcidia, si presenterebbe il problema di una insufficiente capitalizzazione (o insufficiente capacità di credito) provocata dall’allungamento dei tempi per il recupero dei costi diretti di produzione.

    Costruirsi una clientela propria, diversa da quella di tutte le altre librerie

    Analogamente, il libraio si troverebbe con il problema di doversi addestrare a un mestiere nuovo, più raffinato e sottile: quello di costruirsi una clientela propria, diversa da quella di tutte le altre librerie, corrispondente alle sue competenze e capacità, avendo la forza di rinunciare alla genericità dell’offerta e del pubblico. A questo si aggiungerebbe il problema dell’immobilizzazione di capitali per l’allestimento del fondo, cioè per disporre in libreria di una massa di titoli sufficiente ad allettare il pubblico, che non potrebbe più essere finanziata con un abile gioco di resa e riordino.

    Come sempre ultimo, il distributore si troverebbe con una rete di promozione da ripensare per far sì che gli agenti attivi sul territorio riescano a produrre reddito lavorando più sul rifornimento che sulle novità. Questo porrebbe, non da ultimo, un serio problema di professionalità e competenza del promotore medio, con la conseguente necessità di investimento sulla formazione.

    Soppesando pro e contro, rimango convinto che questa rivoluzione possa essere fatta. Mi auguro che ci sia lo spazio per valutare, insieme ai colleghi editori, ai distributori e ai librai indipendenti, le reciproche esigenze e a individuare possibili soluzioni intermedie o interinali per cominciare a mettere da parte un sistema che ha già ampiamente rivelato tutte le sue inefficienze.

    Certo, a me piacerebbe fare tutta la rivoluzione subito, consapevole dei rischi che comporta. Ma non riesco a dimenticare di aver trovato, molto tempo fa, molto appropriato e saggio il comando che il Gran Cancelliere di Spagna, Antonio Ferrer, rivolge al suo cocchiere, in mezzo al tumulto di una folla di affamati, desiderosa di far polpette del suo Vicario di Provvisione: «Adelante, Pedro. Con juicio.»

    Note