
Nel contesto culturale e tecnologico, l'intersezione tra arte e scienza sta diventando sempre più un tema ricorrente, spesso inquadrato come due linguaggi diversi ma complementari che possono illuminarsi a vicenda. Tuttavia, il loro rapporto è frequentemente caratterizzato da subordinazione e dipendenza. Il dialogo tra Arte+Scienza si concentra sul riconoscerle come due pratiche differenti. Una - la Scienza - che contribuisce ad aumentare la conoscenza umana, spingendo in avanti l'orizzonte di ciò che è noto. L'altra - l'Arte - che agisce sui risultati della prima per far emergere, quando non si limita alla divulgazione, significati più individuali, taciti e ambigui.
Le arti liberali, come le intendiamo oggi, affondano le loro radici nel Rinascimento e si sono sviluppate nel XIX secolo come una visione integrata della conoscenza, comprendendo le belle arti, le belle lettere, la storia, la filosofia, la matematica, le scienze naturali e le scienze sociali emergenti. Inizialmente, queste discipline erano interconnesse, offrendo una comprensione olistica dell’esperienza umana.
Tuttavia, con il progresso metodologico e la nascita di nuove discipline, i campi accademici sono diventati sempre più specializzati, portando a una frammentazione della conoscenza. Questa crescente focalizzazione, se da un lato ha contribuito al progresso intellettuale, dall’altro ha allontanato le discipline dalle preoccupazioni sociali più ampie e dal dialogo interdisciplinare.
Le questioni sociali contemporanee, come il cambiamento climatico, la povertà globale e la perdita di risorse naturali, sono sempre più intese come problemi complessi o "wicked problems" (Rittel & Webber, 1973). Questi richiedono una riconsiderazione delle regole (in)formali, dei modi di pensare e agire dominanti, delle strategie di risoluzione dei problemi e della gestione delle risorse, poiché tali elementi sono spesso parte del problema stesso (Verwoerd et al., 2021). In risposta, il XX secolo ha visto una crescente enfasi sulle discipline integrate, finalizzate a riconnettere la conoscenza tra i campi e garantire la sua applicazione pratica per arricchire la vita umana (Buchanan, 1992).
In questo contesto, è particolarmente interessante apprendere dal caso del design come disciplina recentemente formata. Il neopositivismo, il pragmatismo e la fenomenologia hanno significativamente influenzato l'educazione e la pratica del design nel XX secolo. Mentre la teoria del design si è spesso allineata con il neopositivismo, la pratica del design ha abbracciato il pragmatismo e il pluralismo, con prospettive fenomenologiche presenti in entrambi.
Lavorare con questa tensione non significa ridurla, ma espanderla, ampliando lo spettro dell’apparente contrasto tra teoria e pratica della ricerca attraverso l'esplorazione dei risultati della loro interazione; non come un modo per colmare il divario tra teoria e pratica, ma come un processo di ricerca autonomo derivante dalla combinazione di diverse conoscenze e pratiche. Come affermano Gonzalez-Piñero et al. (2021, p. 36), la cross-fertilization si riferisce alle combinazioni interdisciplinari di diverse conoscenze e tecnologie [che intendiamo come pratiche] che avvengono attraverso la collaborazione tra più discipline, istituzioni e organizzazioni, favorendo lo scambio di conoscenze, l’innovazione e la convergenza tecnologica.
In altre parole, cosa accadrebbe se spostassimo il dibattito da "cosa può dirci l'arte sulla conoscenza scientifica?" a "dove possono condurci le pratiche cross-fertilizzate?". Si è spesso ritenuto che, per unire il creativo e lo scientifico, sia necessario esprimere gli aspetti indeterminati della natura e dell’esistenza umana attraverso mezzi espressivi determinati. Nelle parole del romanziere Italo Calvino, il bisogno di "esprimere l’indefinito con il definito e l’impreciso con la massima precisione", lo ha portato ad adottare un metodo strutturato di ricerca nella sua pratica per ridurre la complessità della relazione tra la definitività di un argomento specifico e l’indefinitezza di tutte le variabili e alternative possibili.
«È un’ossessione divorante, distruttrice, che basta a bloccarmi. Per combatterla, cerco di limitare il campo di quel che devo dire, poi a dividerlo in campi ancor più limitati, poi a suddividerli ancora, e così via. E allora mi prede un’altra vertigine, quella del dettaglio».
Come Italo Calvino, Piet Mondrian affronta la sua pratica come un esercizio di conoscenza e indagine, dimostrando che un linguaggio visivo chiaro e preciso non esclude l’espressione del misterioso, purché si possegga una visione più ampia delle cose e la capacità di mettere quel linguaggio al suo servizio. Le linee perpendicolari di Mondrian non sono pensate per creare una griglia rigida; al contrario, dovrebbero essere comprese non come rappresentazioni di oggetti, ma come espressioni di un flusso dinamico, uno che comprende ogni possibile oggetto visto da ogni possibile prospettiva. Nelle sue parole:
«Tutto è espresso attraverso le relazioni. Colore, dimensione e posizione esistono solo in opposizione a un colore, una dimensione e una posizione differenti. È per questo che chiamo la relazione l'elemento fondamentale. (…) Ogni cosa diventa conoscibile solo attraverso un’altra, come ogni forma di saggezza ci insegna».
Non sorprende che il processo di ricerca e la metodologia di Piet Mondrian abbiano influenzato la ricerca accademica, dove il suo approccio alla costruzione degli oggetti nell’arte è stato adattato a strutture per l’organizzazione della conoscenza e per l’interpretazione delle dinamiche relazionali (Pomiès & Tissier-Desbordes, 2016).
Senza la pretesa di definire cosa sia la conoscenza, riconosciamo che nel contesto in cui operiamo essa prende forma lungo uno spettro con due estremi: la conoscenza esplicita (accademica, scritta, codificata e descritta attraverso parole e immagini) e la conoscenza tacita (artistica, trasferita attraverso l’esperienza, spesso relazionale e incorporata negli oggetti).
Tornando all’esempio della ricerca nel design, la conoscenza nel design risiede nelle persone (ad esempio, i designer), nel processo (di ricerca) e nel prodotto stesso (Petrelli, n.d.); presto si è riconosciuto che l’artefatto di design incorpora conoscenza. Tuttavia, più che l’artefatto, è il processo, il metodo attraverso cui viene generato il risultato della ricerca, a essere coinvolto nella produzione della conoscenza.
Con Radical Creativities, vogliamo portare avanti l’interazione tra questi due tipi di conoscenza, incarnati nel mondo scientifico/accademico e in quello culturale/artistico, affermando l’urgenza di superare questa dicotomia.
Il nostro ambito d'azione è la cultura e la creatività, sia per scelta che per vocazione, e ci posizioniamo all'interno della vasta gamma di persone e progetti che operano con/per/tramite la cultura e la creatività. La forza trainante dietro Radical Creativities nasce da una serie di domande. Domande a cui non pretendiamo di avere risposte definitive, ma che contribuiscono a definire e guidare le azioni del progetto. La prima, e forse la più ambiziosa:
Cos'è la conoscenza? Pur riconoscendo la complessità della domanda, adottiamo una definizione che risuona con noi: "Un lavoro svolto con l’intenzione di produrre conoscenza per l’uso da parte di altri." (Stappers & Giaccardi, 2014)
Da qui, passiamo alla seconda domanda:
Chi sono ‘gli altri’? Crediamo che ‘l’altro’ includa tutti coloro che interagiscono con la cultura e la creatività con consapevolezza e con l’obiettivo di costruire e ampliare la conoscenza, che si tratti di accademia, pratica culturale o espressione artistica.
La prima azione che vogliamo intraprendere con Radical Creativities riguarda la seguente domanda: cosa accadrebbe se legittimassimo la cross-fertilization di pratiche diverse nella creazione di conoscenza?
È partendo da questi presupposti e con l’intento di interrogarsi ed esplorare queste domande che Radical Creativities muove le proprie azioni. Un nuovo progetto editoriale no-profit lanciato dal team di KEA - European Affairs, con l'obiettivo di superare i compartimenti stagni in cui oggi è confinata la produzione di conoscenza sulle pratiche culturali e creative. La ricerca accademica, la pratica culturale e l’arte non sono tre mondi separati, ma modi diversi di interpretare, comprendere e assimilare la stessa realtà.
“Quando qualcuno riflette nell’azione, diventa un ricercatore nel contesto della pratica. Non dipende dalle categorie della teoria e della tecnica consolidate, ma costruisce una nuova teoria per il caso unico [...] Non separa il pensiero dall’azione, non razionalizza per poi prendere una decisione da tradurre successivamente in azione. Poiché il suo sperimentare è una forma di azione, l’implementazione è insita nella sua indagine.”
(Schön, 1985)
Nel nome del progetto, usiamo il termine Creativities al plurale, per sottolineare la necessità di legittimare una pluralità di pratiche e storie, portandole insieme e permettendo loro di contaminarsi reciprocamente, unendo il “pensare” e il “fare” (Schön, 1983). Crediamo che, in tempi di “wicked problems”, questo sia necessario per riconnettere l’avanzamento della conoscenza alle sfide della società, senza criticare la specializzazione e la frammentazione del sapere, ma muovendoci verso un altro spazio, uno spazio di cross-fertilization delle pratiche.
Radical Creativities accoglie contributi che abbracciano l’uso espressivo di modalità di espressione, linguaggi e media differenti, con l'obiettivo di sovvertire le forme dominanti di produzione e diffusione della conoscenza. Su Radical Creativities troverai contributi di diversa natura, tutti accomunati dall'affermazione della cultura come elemento necessario per ottenere una trasformazione giusta ed equa delle comunità, esplorando chi siamo come collettività attraverso il tempo e lo spazio, in una transizione permanente.
Radical Creativities cerca proposte concrete su come generare trasformazioni radicali e sostenibili, concentrandosi su come artisti, imprenditori, istituzioni e operatori culturali possano affrontare le sfide globali e dimostrare leadership, contribuendo alla costruzione di economie e sistemi sociali altruistici. Basando le nostre azioni sul principio della cultura come agente di trasformazione, riconosciamo l’arte, la programmazione culturale e la ricerca come potenti strumenti di cambiamento sociale. Ci focalizziamo su pratiche culturali che guidano o supportano le transizioni della società, ossia azioni culturali e creative radicate nelle sfide contemporanee e al tempo stesso orientate verso uno sviluppo umano sostenibile.
Radical Creativities è strutturato in due spazi complementari e interconnessi:
Rc Publications
Il Radical Creativities Journal è una rivista peer-reviewed che sfida i modelli tradizionali di pubblicazione scientifica e di produzione della conoscenza. Accettiamo tutte le forme di espressione culturale (contributi accademici, registrazioni, poesie, film, opere d'arte, ...), in tutte le lingue e in tutti i formati. Un elemento chiave di questo processo di scambio è il nostro sistema di peer review: i contributi vengono rivisti da altri autori, esperti del tema trattato ma non necessariamente del mezzo espressivo utilizzato, per raccogliere prospettive trasversali sui fenomeni in esame, studiati attraverso diverse lenti epistemiche e teoriche. Crediamo che questo approccio avvii un processo di sperimentazione e deconfinamento dei metodi di produzione della conoscenza.
Rc Lab
Il Lab è il nostro spazio di sperimentazione. Non è uno spazio curato, ma un luogo in cui proponiamo spunti e invitiamo la comunità a rispondere. Gli spunti sono selezionati dai nostri editori in collaborazione con i nostri partner. Insieme, identifichiamo le domande più urgenti a cui vogliamo trovare una risposta e poi chiediamo a voi, la comunità, di aiutarci a trovarla insieme.
Bibliography
Calvino, I. (2023). Il castello dei Destini Incrociati. Mondadori.
González-Piñero, M., Páez-Avilés, C., Juanola-Feliu, E., & Samitier, J. (2021). Cross-fertilization of knowledge and technologies in collaborative research projects. Journal of Knowledge Management, 25(11), 34–59. https://doi.org/10.1108/jkm-04-2020-0270
Stappers, P. and Giaccardi, E. (2014, January 1). Research through Design. Interaction Design Foundation - IxDF
Verwoerd, L., Klaassen, P., & Regeer, B. J. (2021). How to normalize reflexive evaluation? Navigating between legitimacy and integrity. Evaluation, 27(2), 229–250. https://doi.org/10.1177/1356389020969721
Buchanan, R. (1992). Wicked Problems in Design Thinking. Design Issues, 8(2), 5–21. https://doi.org/10.2307/1511637
Petrelli, D. (n.d.). On Tacit Knowledge in Design Research. Schön, D. A. (1985). The Reflective Practitioner: How Professionals Think in Action. Routledge. https://doi.org/10.4324/9781315237473
Pomiès, A., & Tissier-Desbordes, E. (2016). Constructing the object of research in the manner of Piet Mondrian. In Marketing Theory (Vol. 16, Issue 3, pp. 279–298). SAGE Publications. https://doi.org/10.1177/1470593116635875