Oltre la rigenerazione di spazi: imprese sociali e sviluppo locale

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    La “spazialità” e il “visivo” hanno avuto un ruolo di primo piano nel plasmare gli spazi urbani ed i centri storici di molte città italiane. La peculiarità di alcune esperienze sta nel radicamento della qualità degli spazi pubblici nella vita della comunità, piuttosto che nel considerare la qualità degli spazi come una dimensione rarefatta o distinta della vita sociale e dell’esperienza umana. Piazze, edifici o altri luoghi non costruiti ai quali le persone hanno accesso per realizzare attività lavorative e imprenditoriali, ricreative, sociali, o ancora ove usufruire di servizi, simboleggiano e segnalano l’importanza dello spazio come condizione preliminare per la realizzazione delle potenzialità individuali e collettive, all’interno di tale spazio e, quindi, al di là di esso.

    In questo senso, risulta interessante capire quali capacità lo spazio attiva, ossia che cosa sta oltre gli elementi visivi e materiali della spazialità. In altre parole, si pone l’accento sui valori, le finalità e i contenuti degli spazi, sottolineando l’interconnessione che si trova tra lo spazio fisico e le esperienze che questi spazi offrono alle persone, quali bisogni soddisfano, come questi spazi si situano all’interno della vita sociale e culturale di una comunità, come possono attivare dinamismo sociale ed economico, così come nuove opportunità.

    Pensare in questi termini è quanto mai attuale, in un momento in cui il territorio appare ampiamente eroso da eccessivo sfruttamento, e la direzione che si è andata delineando nell’approccio urbanistico e paesaggistico corrente è quella di rigenerare le aree edificate, riutilizzare edifici esistenti, ri-qualificare le riserve naturali.

    A fronte di questi scenari, le imprese sociali hanno di fronte l’opportunità di porsi come attori privilegiati, sfruttando le loro caratteristiche e competenze nel coinvolgere dal basso gli attori della comunità. Questo è infatti il tipo di processo che l’impresa sociale mette in pratica nel momento in cui ricerca soluzioni imprenditoriali alle sfide di sviluppo locale (come, ad esempio, migliorare l’inclusione sociale, l’impegno culturale, la rigenerazione del territorio e l’uso sostenibile delle risorse ambientali e del paesaggio).

    Se da un lato in passato le imprese sociali si sono proposte come attori capaci di dare risposte ai bisogni di particolari categorie di utenti attraverso lo sviluppo di servizi di welfare, dall’altro emergono forme di disagio diffuso che interessano trasversalmente le comunità locali e la società più in generale. Si pensi, ad esempio, alla spinta generalizzata verso comportamenti opportunistici ed esclusivi, in certa misura legati alla centralità della competizione e a valori legati al consumo. Si pensi altresì agli effetti di isolamento ed emarginazione connessi ai nuovi stili di vita e al rapporto consumistico degli individui con gli spazi urbani, rurali, naturali.

    Il bisogno di rigenerazione sociale, che fino ad ora ha interessato prevalentemente le esigenze di particolari gruppi di individui, tocca i territori e le loro comunità in maniera diffusa. In risposta a questi fenomeni, gli studi sul capitale sociale hanno evidenziato che, laddove il tessuto di relazioni sociali sia eroso e prevalga l’isolamento, vengono meno anche la capacità di confronto, i comportamenti virtuosi di cooperazione, responsabilità sociale, valorizzazione degli asset privati e comuni (Fukuyama, 1995). La comunità intesa come spazio di relazione, cooperazione, comunicazione, deliberazione e democrazia, sviluppo e autodeterminazione rischia lo sgretolamento e la scomparsa. Allo stesso modo, possiamo chiederci se la carenza di momenti di confronto che diano voce e potere decisionale agli attori comunitari (spazi deliberativi) e spazi fisici destinati all’interazione tra individui con esperienze e bisogni diversi non contribuisca altresì ad un deficit di relazionalità, forme di governo e risposte ai bisogni delle comunità (Sacchetti, 2014; Sacchetti, Campbell, 2014). Il momento è favorevole per il settore, di slancio, con la possibilità di focalizzarsi sullo sviluppo delle comunità e dei territori a partire dalla spazialità fisica e dallo sviluppo della relazionalità.

    Il coinvolgimento e l’empowerment della comunità sono riconosciuti anche da recenti politiche regionali (ad esempio in Toscana ed, in certa misura, in Emilia-Romagna) che promuovono un particolare meccanismo di partecipazione: quello di democrazia deliberativa. La sfida per i processi di coinvolgimento della comunità è quella di includere bisogni molteplici, mettendo a punto ed applicando il metodo deliberativo. Lo scopo è duplice: dare voce ai soggetti interessati, generare capitale sociale e, allo stesso modo, avere un quadro più chiaro degli esiti indotti dalle scelte di rigenerazione e dei loro effetti nel lungo periodo. L’approccio favorisce lo sviluppo di competenze democratiche e deliberative all’interno della comunità (ad esempio, attraverso i forum pubblici, festival o altre iniziative di coinvolgimento), riunisce attori provenienti da diversi settori (privato nonprofit, privato a scopo di lucro, settore pubblico, famiglie, etc.) e con diverse competenze (ad esempio, imprenditoriali, di sviluppo locale, sanitarie, sociali, artistiche, storicoculturali, di housing, di rigenerazione urbana e paesaggistica) (Sacchetti, Sugden, 2009).

    La logica che sta alla base dell’inclusione e della deliberazione può essere spiegata guardando ai problemi (o costi sociali) che emergono quando questo non accade o, in altre parole, quando gli interessi esclusivi prevalgono nei processi di rigenerazione del territorio, nonostante quelli espressi da altri (Sacchetti, 2015). Cowling e Sugden (1998) chiamato questo problema specifico “fallimento strategico”. Quando questo si verifica, gli esclusi dal percorso decisionale non possono portare esperienze, conoscenze e interessi, peggiorando la qualità delle decisioni e il loro impatto (ad esempio, gli interessi degli esclusi possono essere danneggiati).

    Nel conteso offerto dalle politiche partecipative e deliberative, le imprese sociali possono diventare parte integrante di un framework decisionale ampio. Quando le imprese sociali supportano processi deliberativi, la rigenerazione sociale si esprime non solo tramite i servizi offerti, ma anche trasversalmente, per mezzo di percorsi di valorizzazione del pensiero critico, della creatività e promuovendo atteggiamenti cooperativi all’interno della comunità.

    Inoltre, a causa della loro natura nonprofit, del modello di governance e dell’obiettivo di interesse pubblico, le imprese sociali possono rappresentare attori privilegiati che permettono a più soggetti di contribuire ad individuare il rapporto adeguato tra l’uso dello spazio da un lato, e lo stile di vita, le identità, i bisogni, e l’economia di una comunità dall’altro. Questo può avvenire in quanto l’impresa sociale parte da un rapporto privilegiato con le categorie più deboli, la storia, la cultura e l’ambiente naturale che caratterizzano una comunità.

    La rigenerazione e l’uso dello spazio, in questo contesto, ha lo scopo esplicito di migliorare la qualità della vita all’interno delle comunità e riconosce altrettanto esplicitamente che i valori e le identità multiple presenti nella comunità si riflettono in maniera piuttosto permanente nelle scelte che riguardano l’uso dello spazio (Lefebvre, 1974).

    La prima sfida per la rigenerazione è quella di creare una rete dinamica di attori che condividano il metodo di coinvolgimento (inclusione, cooperazione e democrazia deliberativa) e lo scopo generale, in termini di creazione di public value attraverso la rigenerazione degli spazi e la rigenerazione sociale.

    A seguito di queste considerazioni, uno dei compiti che possiamo darci, come studiosi e professionisti del settore, è quello di spiegare come le imprese sociali possono contribuire a sostenere la creazione di rapporti di cooperazione, democrazia e fiducia nella comunità, nel contesto di progetti che vanno ad identificare opportunità di sviluppo, bisogni e contenuti per i percorsi di rigenerazione spaziale.

    Ad ora, abbiamo una conoscenza piuttosto limitata delle forme di governo e delle innovazioni organizzative che favoriscono il coinvolgimento della comunità nei processi di rigenerazione spaziale e sociale, in un contesto definito da interessi molteplici e talvolta contrastanti. Per inciso, questo è l’indicatore di un vuoto più ampio: ossia della necessità di passare da una discussione sull’impresa, ad un dibattito a livello di sistema, e di governo del sistema nello specifico. Un approccio integrato allo sviluppo della comunità ha bisogno di aumentare la complessità delle risposte e richiede sistemi sofisticati di coordinamento tra chi domanda e chi offre servizi, o garantisce opportunità (Ben-Ner, Van Hoomissen, 1991; Pestoff, 2012). Il collo di bottiglia si presenta quando mancano la rete di relazioni e le strutture istituzionali che permettono agli stakeholder di inserirsi nel governo delle decisioni, ossia quando le parti interessate sono escluse dal processo di scelta strategica, perdendo voce, visione, direzione e controllo su come, nel nostro caso, gli spazi vengono recuperati e utilizzati piuttosto che dimenticati.

    In sintesi, quale nuovo “punto di partenza” possiamo trarre da questa riflessione sullo scopo e le potenzialità della rigenerazione? Il potenziale di rigenerazione delle imprese sociali si somma e va oltre la valorizzazione di spazi fisici (ad esempio, edifici). Comprende spazi relazionali e immateriali, come sottolineato dai comportamenti cooperativi e democratici che le leggi regionali vogliono promuovere. Le imprese sociali possono inoltre combinare rigenerazione territoriale, sociale e ambientale, esplicitando finalità di interesse pubblico in relazione all’utilizzo dello spazio fisico. Tuttavia, le modalità per la creazione di valore pubblico a mezzo di rigenerazione territoriale devono essere sviluppate, sottolineando anche e soprattutto i punti critici che sono destinati ad emergere in un sistema governato tramite relazioni multiple, soprattutto quando i punti di vista, i sistemi di valori e gli interessi che entrano nel dibattito sono in conflitto.

    Si evidenzia dunque la necessità di studiare come la rigenerazione sociale, urbana, rurale ed ambientale possa essere intesa come processo di creazione di capitale non solo materiale ma anche relazionale, e di come la rigenerazione possa essere integrata nella strategia innovativa dell’impresa e implementata con meccanismi di coordinamento inclusivi e deliberativi.

    Ben-Ner A., Van Hoomissen T. (1991), Nonprofit Organizations in the Mixed Economy: A Demand and Supply Analysis, Annals Of Public and Cooperative Economics, 62(4), pp. 519-550.
    Cowling K.
    , Sugden R. (1998), “The essence of the modern corporation: markets, strategic decision-making and the theory of the firm”, The Manchester School, 66(1), pp. 59-86.
    Fukuyama F. (1995), Trust: the Social Virtues and the Creation of Prosperity, Free Press, New York.
    Levebvre H. (1974/1992), The production of space, Wiley-Blackwell.
    Pestoff
    V. (2012), “Co-production and Third Sector Social Services in Europe: Some Concepts and Evidence”, Voluntas, 23(4), pp. 1102-18.
    Sacchetti
    S. (2014), Prassi deliberativa, creazione di spazi pubblici e community welfare: Il modello di sviluppo di un piccolo centro cittadino”, Aiccon Working Paper, 134/2014.
    Sacchetti
    S. (2015), “Inclusive and exclusive social preferences: A Deweyan framework to explain governance heterogeneity”, Journal of Business Ethics, 126(3), pp. 473-485. Published online November 2013.
    Sacchetti
    S., Campbell C. (2014), “Creating space for communities: social enterprise and the bright side of social capital”, JEOD Journal of Entrepreneurial and Organizational Diversity, 3(2), pp 32-48.
    Sacchetti F., Sacchetti S., Sugden R.
    (2009), “Creativity in socio-economic development: space for the interests of publics”, International Review of Applied Economics. Special Issue on “The Economics of Creativity” edited by Sacchetti S., Sugden R., 23(6), pp. 653-672.

    Note