Lontano da un vago vitalismo: un saggio di Emanuele Braga

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    Fin da un primo sguardo Moleculocracy. Ecologie, Conflitti, Turbolenze di Emanuele Braga si presenta come un libro agile: capitoli brevi, intervallati da diagrammi che, come appunti grafici, sembrano presentare visivamente quanto viene esposto con la scrittura.

    Moleculocracy viene descritto dagli stessi editori come un “pamphlet politico di ecologia radicale”. Come tutti i pamphlet che si rispettino, anche in questo caso le argomentazioni emergono grazie a dei distanziamenti critici nei confronti di altri posizionamenti teorici e politici. Un approccio alternativo per entrare in questo testo potrebbe dunque consistere nel domandarsi: quali sono gli obiettivi polemici di Moleculocracy? O, meglio, da cosa intende prendere le distanze questo testo?

    Una risposta che non lascia spazio a equivoci si può trovare già nelle prime pagine, dove Braga dichiara apertamente la sua lontananza sia da una visione tecnocratica del mondo, e sia da un approccio fondato su un vago vitalismo, che vira verso un rifiuto preconcetto di qualsiasi forma di organizzazione tecnica della vita. Ecco che proprio grazie a questo allontanamento critico si libera lo spazio per poter esplorare uno dei temi centrali del libro, ovvero individuare e, in un certo senso, favorire, i punti di contatto tra prospettive che apparentemente potrebbero sembrare incomunicabili: le strategie di lotta dei movimenti transfemministi, ecologici e decoloniali e le scoperte che derivano dalla fisica, dalla biologia e dalla chimica che hanno portato queste scienze fuori dai paradigmi del neodarwinismo competitivo; le tattiche di resistenza post-operaiste e le forme di pensiero che hanno contribuito, negli ultimi anni, a delineare nuove modalità di convivenza con universi e agenti inumani; il materialismo dialettico e il materialismo speculativo.

    Non si tratta però di un’operazione volta a livellare, a offuscare le differenze creando un unico, generico, contenitore speculativo. Al contrario, la strada che sceglie Braga si basa sulla fondamentale irriducibilità di queste esperienze, favorendo gli attriti che possono emergere quando un concetto o una strategia, originati in specifiche coordinate teoriche e pratiche, vengono impiegati in un contesto differente. Allo stesso tempo, sono proprio le situazioni di conflitto, di agitazione, a far saltare i confini. Ossia a mostrare che strani e nuovi mutualismi possono generarsi di fronte a situazioni critiche condivise, com’è quella portata dai cambiamenti climatici. Questo punto costituisce un aspetto cruciale che vale la pena sottolineare, per evitare malintesi. Se fin dal terzo capitolo si impiegano concetti ripresi dalla termodinamica e dalla fisica quantistica, non si tratta di un tentativo di reinterpretare le lotte e i movimenti sociali attraverso quello che si potrebbe definire un approccio analogico. Un approccio, in altri termini, che legge le pratiche sociali e politiche attraverso analogie riprese da tali scienze, con il rischio di appiattire e banalizzare entrambe le prospettive. Nessuna unità ideale a cui aspirare, dunque, ma nemmeno una sfilza di analogie che tenta, attraverso confronti e metafore, di collegare i diversi piani discorsivi.

    Scappa, diserta, rifiuta e, nel rifiutare, cerca di costruire nuove ed effimere alleanze

    Per chi è alla ricerca di una sintesi conclusiva, rimarrà deluso dalla frammentarietà creativa che anima il testo. Quello che viene proposto è invece un continuo cambio di scala che, come una danza, passa dalle analisi di Prigogine, Stengers, Haraway e Margulis alle dinamiche di autoformazione collettiva derivanti dall’occupazione di Torre Galfa e, in generale, dall’esperienza legata a MACAO. Scelgo appositamente di utilizzare il termine danza, dal momento che, come viene scritto in una nota, l’esperienza fisica della danza e della coreografia costituisce il filo conduttore invisibile che attraversa il libro. È dalla danza, infatti, che viene ripreso questo continuo spostamento tra corpi teorici, così come l’idea di una pratica politica basata sul montaggio temporaneo tra metodi e pratiche eterogenee, come se fossero le situazioni e i contesti esterni a dettare il ritmo che permette di unire i concetti in un medesimo concatenamento.

    Su questo punto si misura la distanza fra Moleculocracy e altri lavori che si sono posti obiettivi affini. Ad esempio, pur condividendo con Andreas Malm una posizione scettica nei confronti dei possibili eccessi speculativi dei nuovi materialismi – i quali rischiano di ridurre le responsabilità e le capacità di mutamento umane attraverso un’attribuzione ad ampio raggio del concetto di agentività a tutta la materia – allo stesso tempo, si discosta dal suo approccio nel momento in cui rifiuta di scartare completamente tali teorie. L’attivismo di Malm, inoltre, si differenzia da quello presentato in Moleculocracy per una mancanza di fiducia nella capacità dei movimenti ecologisti e anticapitalisti di trovare spontaneamente forme di autoorganizzazione e cooperazione efficienti.

    Prediligendo la variante Capitolocene, Braga non lascia spazio nemmeno a visioni ecopessimiste o a prospettive accelerazioniste: «Se il cambiamento climatico è la reazione di Gaia al capitalismo, il nemico non è Gaia ma le ragioni che lo hanno provocato. Gaia è un’estranea, per coloro che la feriscono si trasforma in un fantasma, mentre altri la conoscono solo attraverso il rimpianto della sua perdita. E chi è il soggetto rivoluzionario? Il soggetto è in cerca di un collettivo che non è composto solo da umani». Se ho insistito con le differenziazioni è perché Moleculocracy è molto esplicito nel sottolineare l’importanza di abbandonare scenari politici che non risultano più adeguati alla situazione contemporanea. Lo si può vedere in uno dei capitoli conclusivi, dove a una serie di “No” più scontati – “no al negazionismo”, “no al biofascismo” – si aggiungono altri rifiuti come un “no al marxismo tradizionale” e al già menzionato “no al fully automated luxury communism”. In questi “no” sembra risuonare la lezione di Bifo contenuta in Disertate: scappa, diserta, rifiuta e, nel rifiutare, cerca di costruire nuove ed effimere alleanze. Questa sezione, tuttavia, non segna la fine del libro.

    Nell’ultimo capitolo, come per invertire una rotta che potrebbe assumere delle sfumature pessimiste, Braga presenta allə lettorə una serie di lotte e forme di resistenza in corso, prendendo esempi da tutto il mondo, e che vanno dall’occupazione della fabbrica ex-GKN, alle richieste del reddito di autodeterminazione di Non Una Di Meno, passando per la piattaforma europea Transnational Social Strike e il Manifesto anti-futurista indigeno. Ciò che sembra suggerirci, ponendo in modo discontinuo e frammentato queste rivendicazioni, è che gli elementi per costituire nuove forme di commonig e per creare dei concatenamenti all’altezza del Capitolocene sono già presenti nella nostra contemporaneità, sta a noi però saperli assemblare collettivamente.

     

    Immagine di copertina di Casey Horner su Unsplash

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