Ecologismo è un sostantivo maschile presente in fortunate e importanti parole quali ecologia ed economia, e che sta anche nella radice del termine comunità. La radice comune è il greco oikos, che vuol dire casa e logos, che sta per discorso. Pertanto l’oggetto di questo discorso sono i sistemi della casa, l’insieme delle interazioni tra gli organismi e il loro ambiente, ovvero gli ecosistemi e i beni comuni.
È un pensiero culturale e un movimento d’opinione che matura nel XX secolo ma che solo nel XXI secolo diventa necessario come reazione all’eccessivo sfruttamento del pianeta. Ha cominciato a esercitare un deciso fascino concettuale verso la fine degli anni ’60, contemporaneamente al trionfo del consumismo e al risvegliarsi di atteggiamenti sociali e culturali di allarme nei confronti dei possibili esiti del progresso.
È un pensiero differente dalle classiche proposte del novecento implicate nell’opposizione tra progresso e conservazione. L’ecologismo incarna sempre e comunque un lato progressista perché come orientamento politico deve necessariamente guardare al futuro, ma ha sempre anche un lato conservatore perché deve essere una reazione a qualsivoglia sfruttamento sia dell’ambiente che dell’individuo (per dirla con Kant deve fare in modo che l’essere umano sia sempre un fine e mai un mezzo, e deve riuscire a spostare questa tensione anche all’ambiente).
Al contrario l’intelligenza moderna è antiecologica perché implica soluzioni stabili, non flessibili riducendo quindi ogni dialettica a dualismi oppositivi. Infatti quando predispone ipotesi di realtà, prepone all’adattamento i sistemi che garantiscono la permanenza delle sue ipotesi. Così il moderno assume un problema quando è fisso, fermo, stabile perché la risoluzione è un estrarlo dal mondo e fissarlo. Succede quindi che il potere (la potenza se vogliamo dirlo in senso filosofico) della soluzione viene implicata, e misurata, sulla sua capacità di annullare l’instabilità del reale. Questo è il pensiero calcolante di origine platonica in atto, che secondo vari epigoni del pensiero del novecento ma sopratutto secondo la cosiddetta Scuola di Francoforte, è la causa di tutti i problemi del contemporaneo.
Ma se oggi siamo consapevoli che il pianeta è al collasso, la politica sembra perdersi in mille correnti, mentre la tecnologia digitale, al posto di aiutarci sembra accelerare ancora di più gli effetti dello sfruttamento planetario.
Il moderno si è edificato su una caratteristica forma di sapere: quella specialistica come ben spiegato da Marcuse nel suo ‘uomo a una dimensione’1Marcuse E., L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata, Torino, Einaudi, 1967. (1964). Il postulato, che è un dogma, è che nella realtà si possano porre solo problemi risolvibili mediante saperi specialistici, particolari, calcolabili e circoscritti. Secondo questa intelligenza, un problema di organizzazione va affrontato da un ingegnere gestionale. È l’idea stessa che esista qualcosa che si chiama produzione isolabile dal resto del reale, e un sapere ad essa dedicato però incapace di giudicare ad esempio un fermo produttivo per una pausa sacra, simbolica, celebrativa… ha qualcosa di talmente riduttivo da apparire offensivo.
Questa intelligenza moderna utilizza come motore immobile suo proprio alcuni principi, che adopera come precetti indiscutibili non trasformabili se non con estrema indolenza. Ha bisogno di un principio (per dire: l’uguaglianza) e poi è dispiegata motori logici (sequenze di decisioni sensate) che si implicano in quel principio: per difenderlo, per tramandarlo, per migliorarlo. La cosa che non fa è porre in discussione il principio, e quindi descotruire l’immaginario e ri-costruirlo. Lo fa, ma con cicli, appunto indolenti e lunghissimi. La cosa ha funzionato nella modernità dal XV secolo, che era un mondo che cambiava lentamente, ma non rispecchia più la nuova intelligenza del XXI secolo dove il mondo in costante accelerazione cambia sempre più velocemente.
È un’intelligenza che si crede razionale, che fonda la sua forza sulla convinzione di agire secondo razionalità ma come sostene bene Paul Valery la fiducia nel divenire tecnico ci svela il fondamento immaginario del pensiero moderno e della stessa civiltà occidentale che addirittura senza abbandonare la “retta via” della scienza esalta l’immaginario del titanismo romantico2Valéry P., Discorso sul progresso, in Sguardi sul mondo attuale, Adelphi, Milano 1994. Credere, che si possa capire e gestire la realtà con il solo meccanismo della ragione è stato ben sconfessato già nel XIX secolo da Emile du Bois Reymond, il quale da positivista, dichiarava le cose inconoscibili, e credere, in sovrappiù, di esserne una perfetta espressione, aliena da qualsiasi rigurgito irrazionale è un errore di metodo molto grave3Du Bois Reymond E., Ai confini della conoscenza della natura, a cura di a cura di Vincenzo Cappelletti, Universale Economica 668, Feltrinelli, 1973. Noi siamo essere immaginari prima che razionali, la razionalità è una tecnica e ne siamo avvezzi ma l’immaginazione è la sostanza dell’essere umano e ne siamo analfabeti4Vico GB., De antiquissima Italorum sapientia, 1710.
Oggi nel XXI secolo bisogna riportare l’immaginario nella casa, superare il pensiero moderno. La crisi ambientale ci chiede a gran voce di abbandonare il culto della permanenza, l’ambizione a staccare le cose dal mondo naturale. Come dice lo scrittore e drammaturgo Alessandro Baricco “l’intelligenza novecentesca è ormai inadatta a gestire la realtà, o quanto meno questa realtà.” dobbiamo rientrare nella casa e ripensarla5Baricco A., The Game, Torino, Einaudi, 2018 e Mai più, il Post, Storie/idee, 9 marzo 2021.
In verità il pensiero sulla casa, sull’oikos, inizia nell’antica Grecia dove la natura è la ‘casa’, ma dove nella tarda ellenicità si sottolinea uno stacco netto, che coincide con la prima diffusione del cristianesimo, e con l’ipotesi che l’uomo sia, per volere divino, il padrone della natura. Da qui si arriva attraverso controversie all’Illuminismo, che inizia a elaborare teorie sempre più sofisticate sul tema del diritto e dei diritti dell’uomo e che introduce in questa problematica anche alcuni principi ambientali. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento questi principi si cominciano a tradurre in forme legislative di tutela (del paesaggio, di alcune specie animali, della natura in genere), specie nel contesto del Nordamerica e del Nord Europa.
È quindi una presa di coscienza e un orientamento politico e sociale che si fonda sulla necessità di difendere la casa-oikos di tutti, intesa come natura, comunità ed economia. È una visione politica dello Stato, che oltre che per definizione è contemporanea, aggiornata, attuale e si fonda sullo stare assieme, nella comunità nel rispettare il passato e nel tutelare il futuro.
Sotto questa luce l’ecologia si propone come un pensiero politico agente, ovvero una facoltà che estrae verità direttamente da una urgenza che si articola nella convivenza di processi di conoscenza e pratiche comuni che sono contemporaneamente conservatori e progressisti, ovvero implica una dialettica che produce una nuova visione politica adatta al XXI secolo.
Se nel XVIII secolo la fede nel sapere inizia a coincidere con la fede nella tecnica, è nel XX secolo che avviene la svolta industriale che porta attraverso le varie rivoluzioni all’avvento contemporaneo dell’informatica, dell’internet e della robotica, e che crea una super intelligenza capace di raccogliere una quantità di informazioni impossibile da gestire per la mente umana (i cosiddetti «Big Data»). In tal modo il mondo si trova a essere comunicato, manipolato e gestito da processi inconoscibili di cui non possiamo nemmeno immaginare la magnitudo.
La natura viene intesa sempre più solo come oggetto da manipolare, non tenendo conto del fatto che l’ambiente terrestre, così come la società, presenta una complessità sconosciuta e, senza un approccio prudente, può portare a disastri. Nel XXI secolo è iniziato un processo di cui nessuno è in grado di prevedere lo sviluppo; è la nuova era dell’Antropocene, dove l’agire di una specie è causa di mutamenti geologici, estinzioni accelerate, mutamenti climatici, inquinamento insostenibile, esaurimento delle risorse, così come di accumulo esponenziale di rifiuti tossici e di pandemie. La narrazione mitologica del progresso ha avuto come esito la sesta estinzione di massa, che a differenza delle altre è una estinzione pianificata da un essere vivente e che, secondo molti scienziati e umanisti, sta portando questo stesso essere all’estinzione6World Scientists’ Warning to Humanity) è un documento pubblicato nel novembre 1992 da Henry W. Kendall, premio Nobel, viene rinnovato nel 2018, su https://www.ucsusa.org/.
Tutto ciò non può certamente venire spacciato come crescita di qualità della vita, ma, al contrario, come aumento del disagio di vivere.
Ma se oggi siamo consapevoli che il pianeta è al collasso, la politica sembra perdersi in mille correnti, mentre la tecnologia digitale, al posto di aiutarci sembra accelerare ancora di più gli effetti dello sfruttamento planetario. Siamo in un’epoca in cui l’ambiente viene condizionato, su scala sia locale che globale, dagli effetti del progresso umano e, al di là di qualsiasi censurato complottismo, una super struttura tecnica e acefala sembra regolare la politica umana: l’essere umano è ridotto a mero funzionario della tecnica, la politica non conta più nulla e comanda l’economia e la finanza (che ne è l’automazione tecnica) la quale osserva la tecnica per prendere le decisioni, le quali di conseguenza sono sempre eterodirette da queste ultime7Cfr per approfondimento su https://www.eticaeconomia.it/emanuele-severino-e-la-tecnica-alcune-riflessioni-dal-punto-di-vista-della-teoria-economica/ e su http://www.filosofia.it/archivio/index.php?option=com_content&view=article&id=113&Itemid=55.
Qui si manifestano come reazione possibile le matrici del pensiero ecologico, ovvero la prima che è quella della “conservazione” dell’ambiente che implica un agire umano, sia pure di difesa della natura, e ha come sfondo una finalizzazione umana degli interventi, tesi a garantire l’uso, o anche il semplice godimento estetico della natura; poi la seconda matrice ovvero la “preservazione”, che sottintende la rinuncia a intervenire, sulla base di un rispetto totale, per l’equilibrio che la “natura” si dà da sé sola. Nasce una tensione specifica dell’ecologismo tutta tesa alla dialettica interna tra ‘agire umano, progresso e futuro’ e ‘preservazione conservativa, rispetto’ verso una casa-oikos naturale superiore all’essere umano.
Ecco che l’Ecologismo sistemico è un pensiero che unisce in maniera critica e dialettica conservazione, libertà e progresso ponendo come punto di fuga centrale della sua prospettiva il problema del futuro. E qui appare una parola che ha innervato praticamente tutte le ideologie del XX secolo. L’idea di Futuro è essenziale in quanto è una rappresentazione della storia senza la quale la nostra identità appare a rischio. Il futuro è dove si trovano tutti gli eventi che ancora non sono accaduti. In questo senso il futuro è l’opposto del passato, momenti ed eventi, che già sono accaduti. Ecco che l’Ecologismo sistemico è un pensiero che unisce dinamicamente futuro e passato, e lo fa ispirandosi alla lezione di un importante e stimato giurista italiano che va sotto il nome di Ugo Mattei e che reclama a gran voce di agire nel presente a tutela del futuro, introducendo, da giurista, un vero e proprio diritto al futuro delle nuove generazioni.
In una tradizione giuridica a somma zero fin dalle origini del diritto, in cui o vince l’attore o vince il convenuto, non dandosi pareggio se non transattivo, e dunque nel mondo del fatto e non del diritto, sarebbe proprio il pensiero politico a fare da rappresentante oggi dell’interesse di chi ancora non c’è. Esso produrrebbe un giudizio ecologico, che dunque, può far penetrare l’impersonale, e auspicabilmente dando ragione proprio a quello, nel conflitto fra due persone. Infatti, se il conflitto resta fra le persone, prevale inevitabilmente un interesse capace di manifestarsi in corte qui e adesso, perché la non-persona non può far sentire la propria voce: tamquam non esset8Cit. Mattei U., L’innesto della giustizia ecologica nel codice civile. Eguaglianza e beni comuni fra legge e diritto.
L’ecologismo Sistemico ispirandosi alla lezione di U. Mattei (e S. Rodotà), apre concreti ed entusiasmanti spazi di riscrittura di un diritto civile ecologico, non sostituibile dalle macchine perché finalmente capace di governare con metodo sistemico e qualitativo la grande trasformazione in corso nel XXI secolo.
Qui appare la profondità del pensiero politico ecologico e della società che ne deriva, con i suoi correlati concettuali e filosofici, di una giurisprudenza non più meramente biunivoca che tiene conto del diritto delle generazioni future a un diritto bioculturale, ovvero a un consolidamento di un rapporto privilegiato di radicamento di ciascuno con il proprio specifico in cui vive (e qui rieccheggia la massima di Jacques Ellul che ‘la tecnologia e globale ma le culture sono locali’9 In Monico F., Fragile un nuovo immaginario del progresso Meltemi 2020, su https://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2021/01/fragile-unn-uovo-immaginario-del-progresso-g.-cucci-sj-civ-cat.pdf, così come i vecchi-nuovi pensieri sui glocalismi di Piero Bassetti).
Sono questi i correlati concettuali di un’ecologia profonda che vuole e deve essere una concezione complessiva dell’essere inteso come il ‘che fare della nostra vita e della vita altrui’10Monico Ibidem, e del suo rapporto col mondo, una concezione fondata sulla necessità di una sorta di ri-narrazione di civiltà che include la natura, e che tende a una autorealizzazione di tutti gli esseri, umani e non umani.
A questo proposito l’ecologismo sistemico parla di una sorta di egualitarismo della vita come sistema di una tensione etica che anima l’ecologia profonda, che respinge sia il versante trionfalistico del capitalismo sia le posizioni di una vetero-sinistra che, implicano sempre la megamacchina della fabbrica e dei territori operai (oggi mechanical turk, neo proletariato, lavoratori digitali precari, bikers…) come luogo della lotta di classe e dunque anche del progresso possibile.
Le interazioni con le problematiche storiche ed economiche non finiscono qui, Lorenzo Fioramonti, Ministro dell’istruzione e Università nel 2019, ha studiato l’insostenibilità dello sviluppo per come si è realizzato almeno dalla rivoluzione industriale, in particolare dal dopoguerra in poi, e ha puntato il suo accademico j’accuse ai fattori puramente quantitativi sulla cui base viene calcolata la ricchezza dei paesi e dei gruppi sociali, ovvero sulla dimensione normativa del PIL.
È questo uno strumento storico nato per la gestione dello sforzo bellico americano durante la seconda guerra mondiale che nel secondo novecento si è trasformato in un dispositivo (nel senso di generazione di regole à la Foucault) che genera e giustifica la creazione di valore dalla distruzione. Di fatto per Fioramonti il PIL è uno strumento bellico che ha generato un modo di fare economia che mantiene l’incentivo ad aggredire e che, in una eterogenesi dei fini, da mezzo si è trasformato nel fine stesso della distruzione dell’ambiente e della casa.
La discussione in tal senso è stata ampia, sia in ambito accademico che politico, e negli ultimi anni ha portato a una accettazione dei fattori qualitativi per la ricerca di indicatori più sensibili a un reale benessere rispetto al PIL. In questa direzione le Nazioni Unite a marzo 2021 annunciano di aver adottato il nuovo sistema di contabilità SEEA EA (System of Environmental-Economic Accounting – Ecosystem Accounting) con l’idea di generare un PIL che include anche gli sforzi per affrontare le emergenze ambientali, come il cambiamento climatico e il declino della biodiversità. In sostanza l’Organizzazione delle Nazioni Unite prova a inserire nel Prodotto Interno Lordo delle nazioni anche un nuovo indicatore che possa comprendere sia i dati economici che quelli ambientali.
È arrivato finalmente il momento di allargare il concetto di benessere oltre alla ricchezza, puntando sui temi ambientali, sulla sostenibilità e sulle politiche ambientali dei Paesi.
L’ecologismo sistemico è quindi un agire per le generazioni future, prefigurando l’intervento nell’interesse del futuro di un apposito pubblico ministero per i beni comuni, che sono appunto il futuro presente, e che, proprio in virtù di questo futuro-presente, non sono nostri ma delle nuove generazioni e di tutte le specie e le vite.
È un agire qui e adesso perché pone come motore concettuale critico-dialettico: conservazione, libertà e progresso ponendo come punto di fuga centrale della sua prospettiva il problema del futuro. È un agire una rivalutazione dei fattori qualitativi del benessere (in opposizione al PIL che ormai da mezzo è divenuto un fine di per sé stesso) e della qualità della vita nel nome di un Essere che si pone il problema del che fare della propria vita e della vita altrui. È un agire all’interno di una narrazione bioculturale, ovvero nel rispetto di tutte le culture e di tutte le vite.
In conclusione l’ecologismo sistemico ponendo il problema del passato, visto come bene comune da salvaguardare, tutela il futuro. È un pensiero politico nuovo che è sia una reazione che un progresso; ovvero un gettare oltre lo sguardo, oltre la visione di una modernità novecentesca tutta imbevuta di progresso, tecnica e macchine, verso la necessità di proporre un nuovo immaginario culturale e di tutelare e salvaguardare il pianeta visto come casa comune di tutti gli esseri viventi.