Un sabato vista la giornata uggiosa e dopo aver finito di leggere Black Tulips di Trevisan, attraversato da un incontenibile senso di avventura e trasportato dalle vicende dell’autore a Benin City, in Nigeria, mi sono fatto un giro da Decathlon alla ricerca di un pantaloncino, inutile in quel momento ma di buon auspicio. Ovviamente era l’inferno, uno di quei frutti velenosi della speculazione edilizia che lo stesso Trevisan odiava; chiunque quel giorno era stato impossibilitato dal maltempo a fare una gita o dello sport, aveva optato per autoflagellarsi verso le direttrici periferiche, nel vuoto architettonico e formattato dell’area industriale, e poi dentro ai luminosi capannoni multiproprietà.
Fra bambini urlanti che infilavano le manine nei guantoni da pugilato e impiegati palestrati che indugiavano sui bilancieri del sollevamento pesi, ho individuato due coppiette che studiavano le tende da campeggio. Un immenso reparto anche quello, in cui le svariate tipologie, marche e prezzi ti fanno rimpiangere i piani quinquennali di sovietica memoria. Alla mia compagna ho fatto una battuta (non prontamente colta): “Saranno degli studenti”.
Battuta fino a un certo punto. Nella protesta degli studenti contro il caro affitti c’è stata l’intuizione di realizzarla attraverso quella che storicamente è stata l’abitazione delle popolazioni nomadi, una casa mobile, sicura e autosufficiente, utile anche alla guerra (si pensi ai legionari romani) ma che a inizio ‘900 cambiò di senso, divenendo matrice dell’avventura all’aria aperta, grazie a Thomas Hiram Holding che ne raccontò le qualità e consigli in The Camper’s Handbook e fondò la Association of Cycle Campers, la prima associazione dei campeggiatori.
Vista l’aria che tira, quelli che vengono chiamati con più di una punta di disprezzo “giovani”, e di cui si parla solo in termini generazionali (ne scrive chiaramente Giuliano Santoro ne il manifesto del 20 maggio 2023) come se il loro attivismo sia uno scherzo dell’età che va di pari passo al nomadismo di inizi ’90, legato in quegli anni più alla curiosità e ai vagiti della cosiddetta globalizzazione, e non a quello di futuri lavoratori costretti a rispondere alle ristrettezze economiche. A Padova in uno striscione c’era scritto: “homeless students”, il primo ragionevole nesso che attraversa la testa è Nomadland, il film di Chloé Zhao, ispirato al libro di Jessica Bruder, dove i nomadi, in camper furgone tenda, sono i lavoratori sputati fuori dal sistema produttivo dopo la crisi del 2013.
Il significante (la tenda) slitta in un nuovo significato (la protesta) che magari ha avuto (o avrà) una durata minima, come sempre nell’era della comunicazione digitale, ma che è stata di grande impatto. Forse perché a noi più anziani la tenda da campeggio produce un certo senso di tenerezza, di amarcord, ci porta a momenti irripetibili in cui, come spesso capita, per un processo di memoria selettiva, si ricordano solo momenti magici, speciali, magari con qualche impulso pedagogico, dimenticando lo scorpione dentro al sacco a pelo, il freddo o quando nella fretta di montarla e dopo aver urlato a Dio e a tutti gli altri in cielo, con un colpo secco che sembrava decisivo per la stabilità dell’intelaiatura, si è spezzato uno dei pali flessibili. La mia prima tenda è stata una canadese, quelle a triangolo in cui, per capirci, l’Orso Yoghi andava a fregarsi il cestino, un lascito di famiglia, aveva i pali in alluminio e un tessuto spesso, pesava esageratamente, l’ho montata solo una volta, è restata poi in un treno in Normandia. Ma fra le tende che più ricordo e che hanno per me un significato attivo, politico, ci sono quelle del maggio 2011 (era il secondo governo Zapatero, sinistra, quel tipo di sinistra, quella che stava arrivando con Tony Blair per capirci) montate in Plaça Catalunya a Barcellona nelle proteste del movimento M15 o anche detti Indignados, una piazza strampalata e colorata in cui sul palco erano saliti i lavoratori di Telepizza, Parco y Jardins, Autobus BCN, Nissan e altri, a raccontare le sconce vicende dello sfruttamento. Mi colpì soprattutto l’intervento di Diosdado Toledano, presidente dell’Assemblea dei disoccupati di Barcellona, il quale fece un discorso a braccio commovente e suggestivo che veniva voglia almeno di sfasciare almeno una vetrina. Ero lì per un mensile per cui lavoravo all’epoca, la ricordo una festa, giorni di perpetuo confronto e di quella cosa chiamata solidarietà che con le tende ha tanto a che fare, nelle prime righe di uno dei pezzi che inviai scrissi: “Oggi non ci sono barricate ma tende da campeggio. Centocinquanta anni dopo [parole che ebbe a dire Engels su Barcellona], gli spagnoli sono indignados, indignati, e anche questa volta scelgono la via più difficile, quella della non rappresentanza, quella in cui non ci sono bandiere. Né anarchici, né sindacati, tanto meno partiti politici. Fino a qualche settimana fa i giornali parlavano di una serena trasversalità fra i partecipanti, di ideologie diverse in dialogo, di un fermento del pensiero ma ora, è chiaro, questo che sembrava un gioco, il classico gioco degli insubordinati tollerato per garantire l’apparente democrazia, inizia a impensierire. Soprattutto perché questi pazzoidi ubriaconi tossici senzatetto della piazza Cataluña o della piazza di Neptuno a Madrid ancora non hanno saccheggiato, incendiato, violentato né ucciso. Ma allora che rivoluzionari sono? Chi sono?”. Risuona parecchio con quello che vedo ultimamente, solo che oggi sin dal principio non sono nemmeno tollerati, nel 2023.
Metaforicamente, pesano molto di più le tende tecniche dei ragazzi di oggi, carichi di anni di sconfitte, di strade sbagliate, di tradimenti. Dicevo, la tenda che nella sua storia si porta sulle spalle (scusate la boutade) una serie di valori già ben tracciati dal marketing e dall’immaginario generazionale, come libertà, esperienza, viaggio, amore, natura, ribellione, eccetera, dagli studenti è stata usata come strumento di protesta, una protesta giusta ovviamente, che non coincide solo con il drammatico costo degli affitti, ma con il drammatico costo della vita di tutti, il calo del potere d’acquisto e quindi con la diseguaglianza sociale che stiamo vivendo. Pardon, alcuni di noi sta vivendo. Sarah Gainsforth una delle giornaliste che meglio trattano il tema delle problematiche abitative, ne il manifesto del 12 maggio riporta alcuni dati fondamentali per capire di cosa si lamentano questi quattro scappati di casa di studenti in tenda (cit. Nicola Porro, 12 maggio 2023): i canoni di affitto sono aumentati in un anno del 4,9% a Roma, del 10,8% a Milano, 5,4% a Napoli, 10,6% a Torino, 17,8% a Bologna, 20,2% a Firenze, 14,1% a Venezia. Giusto per infliggere un po’ di sano odio di classe, un’altra breve parentesi di chi commenta gli studenti: Se invece di passare le loro giornate a fare il campeggio in tenda fuori dall’università, certi pseudo studenti passassero il tempo a studiare, potrebbero costruirsi un futuro migliore come fanno migliaia di giovani (tanti pendolari) che con sacrificio frequentano l’università. (via Twitter in data 11 maggio 2023, Francesco Giubilei, consigliere del Ministro della Cultura Sangiuliano); sia nel caso di Giubilei che di Porro, cercatevi per curiosità in rete l’albero genealogico di questi celebratori della morale del lavoro.
Fra i tanti fattori che incidono negli aumenti, specialmente nelle città d’arte come ben si sa, c’è Airbnb che propone affitti brevi a vacanzieri mordi e fuggi, capace di triplicare gli affari di un anno dei locatori, quindi dei proprietari e delle agenzie. Senza dati alla mano, mi viene da pensare che lo stesso Airbnb sia l’affittacamere di quella media borghesia che sta svanendo come il ghiaccio al sole ma che non rinuncia al viaggio e che, troppo spesso, in questo Paese si contrappone ai più giovani incriminati di oziare. Dimenticando che oziano perché non vogliono lavorare per stipendi da fame. Sono temi che, a ben vedere, convergono anche con quelli dei movimenti come Ultima Generazione o Extinction Rebellion (i “giovani” scandalosi, che imbrattano con vernice lavabile i monumenti), per cui l’argomento principe è l’emergenza climatica, che ragionano su come cambiare la vita collettiva ormai insostenibile, insostenibile come lo è un affitto per motivi legati alla gentrificazione e all’estrazione di valore dallo sfruttamento del territorio. Estrazione di valore che, per esempio, avviene attraverso il turismo (quindi aerei/consumi/eccetera) e i selvaggi interessi connessi.
Il binomio casa-tenda in questo senso diventa perfettamente coerente nel suo paradosso: chi dovrebbe avere meno a cuore l’idea di stabilità e di casa – i “giovani” – e avere più nelle corde la vita avventurosa, rovesciano l’assunto, vede il pericolo arrivare, se quanti hanno vissuto i privilegi degli anni d’oro si nutrivano di avventura positiva, emozionale, quella che li faceva diventare persone adulte prima di una stabilità più o meno garantita, oggi la generazione Z o Alpha o come diavolo viene etichettata, rischia che la sua avventura sia quella più concreta e per niente ricreativa della sopravvivenza. Non so se vi è mai capitato di parlare senza troppo ragionarci di “viaggi” o di “camminate” (non ho mai usato “trekking” per rispetto, il mio) con un subsahariano, al suo primo sguardo ti si appiccica addosso la sensazione di essere un idiota, il nostro occhio occidentale su alcune categorie di azioni ormai preclude una concentrazione di divertimento puramente ornamentale. L’impressione è che fra i tanti che traccheggiano disorientati, gli studenti si stiano divertendo molto meno e comincino a sentire il peso della loro avventura, che è cominciata già ma senza guide di viaggio, non nell’accezione edulcorata e propositiva, come eravamo stati abituati a raccontarcela. Avevano ragione in Spagna nel 2011, hanno ragione ora, eppure siamo sicuri che oggi come ieri gli adulti, se così vogliamo definirli, resteranno sordi.
A margine: il rinomato mensile per cui ero a Barcellona qualche anno dopo cambiò editore lasciando a casa buona parte della redazione e dei collaboratori. Io incluso.
Immagine di copertina: ph. Edward Paterson da Unsplash