“Dopo il progetto del quartiere Leuca, qualcosa è cambiato a Lecce, non potremo più tornare a fare urbanistica alla vecchia maniera, calare progetti dall’alto, imporre una nuova forma alla città senza consultare gli abitanti, in un modo o nell’altro abbiamo segnato un punto di svolta.” Sono passati cinque anni dall’avvio del progetto di rigenerazione urbana nel quartiere Leuca di Lecce, partito nell’ottobre del 2009, e Juri Battaglini, architetto e tra i soci fondatori del LUA, Laboratorio Urbano Aperto, principale promotore dell’iniziativa, traccia un bilancio di quello che è stato fatto e di quello che ancora resta da fare in questa zona alle porte della città, tra le volute barocche del centro storico e la periferia.
“C’era una volta un cortile vuoto e sconsolato, ai margini della città di pietra”, questo almeno fino a qualche anno fa. È la lunga via Leuca a dare il nome al quartiere, un gomitolo di strade che, da Porta San Biagio, grandioso arco che chiude il centro storico, si dipana fino alla zona industriale e alle prime battute del vicino comune di Cavallino, includendo parchi, grandi viali, piccoli budelli nascosti, l’area della stazione.
Una curiosa sfilata di architettura che, dal barocco della città vecchia, passa all’architettura più regolare degli anni novanta, dalla dorata pietra leccese alle mattonelle, fino al cemento armato degli stabilimenti industriali. Un’area che il progetto ha riscoperto, grazie alla collaborazione tra LUA e Manifatture Knos, centro culturale della città di Lecce, al sostegno del Comune e all’importante legge regionale sulla rigenerazione urbana, emanata nel 2008 in Puglia.
Secondo la nuova normativa, infatti, tutte le trasformazioni devono essere concepite “mediante strumenti di intervento elaborati con il coinvolgimento degli abitanti e di soggetti pubblici e privati interessati”, puntando al “contrasto dell’esclusione sociale degli abitanti attraverso la previsione di una molteplicità di funzione e tipi di utenti e interventi materiali e immateriali”.
Punto chiave del progetto è quindi non solo la partecipazione, che implica assenso e consenso, talvolta acritici, ma la creatività, la voglia di rimettersi in gioco in prima persona, senza essere meri spettatori. Tutti sono chiamati a essere attivamente parte del territorio, sin dall’inizio. Ecco perché, prima di dare avvio ai cantieri, il primo passo è stato una sorta di raccolta di memorie, informazioni e idee.
Attraverso un bando comunale e il reclutamento di associazioni e gruppi informali, locali e non, infiltratisi nel quartiere, sono stati consultati i barbieri, i negozianti, le persone reali che animano il quartiere, chiedendo loro quali fossero i propri desideri, esperienze, ricordi su via Leuca e dintorni: “Dalle loro finestre e sulle loro poltrone vedono passare generazioni di abitanti e cambiare la città. Hanno visto giovani famiglie invecchiare, gli studenti mescolarsi ai migranti, conoscono a menadito la storia di chi vive nel quartiere, gli aneddoti e gli eroi che sono mescolati alla quotidianità.
Questi osservatori privilegiati fanno di mestiere i barbieri, i parrucchieri, la lavandaia, il riparatore di bilance, il venditore di motociclette, oppure tengono aperta la cappella e dispensano consigli”, così recita una sorta di dichiarazione di intenti del progetto, “la loro vita su via Leuca è scandita dal passaggio delle auto, un rumore che tiene compagnia, ed il via vai della gente di passaggio che, ne sono convinti, molto spesso qui non sa nemmeno di essere in città, a pochi passi dal centro. Hanno idee piuttosto chiare sulla segnaletica, sul verde, sulla necessità di animare la strada, farla vivere”. In fondo, come non partire da una sedia da barbiere per sapere cosa passa per la testa dei cittadini?
Raccolte le idee, abitanti, amministrazione e architetti si sono incontrati attorno a un plastico, per ragionare concretamente sulle modifiche, gli stravolgimenti e le reali necessità del quartiere. “Abbiamo utilizzato il metodo del planning for real, strumento di derivazione inglese nato negli anni Settanta”, spiega Juri, “solo così sono emerse esigenze e potenzialità del territorio che su carta non avevamo previsto”.
Gli abitanti, portatori di domanda d’uso e di una conoscenza del territorio, delle sue offerte e delle sue carenze, rappresentano un grosso contributo alle scelte e dare loro voce comporta soprattutto la creazione di un linguaggio comune, la diffusione e condivisione di conoscenze, procedure di consultazione e decisione rinnovate, il superamento dell’interesse strettamente privato per trattare quello comune.
Da qui la decisione di intervenire in maniera più mirata e operare per creare ponti pedonali, aree verdi, aiuole in comune, marciapiedi e piste ciclabili, lì dove per i cittadini sono davvero necessari, collegare i parchi, renderli un’area fruibile anche per gli animali, limitare il monopolio dei parcheggi e creare spazio ricreativo.
Tutto con il beneplacito delle istituzioni coinvolte. “Il progetto deve partire dal basso ma non in contrasto”, continua Juri, “è necessario che il Comune, la Regione, la Comunità Europa, tutti gli enti siano implicati nel processo di rigenerazione urbana, lo sostengano e lo finanzino”. Non si tratta, però, di puro mecenatismo, bensì di intuire le potenzialità economiche e imprenditoriali delle iniziative e di renderle autosufficienti e autonome, di sorreggerle nei primi passi e portarle poi a sostenibilità.
La peculiarità del progetto risiede proprio in questo intervento immateriale, portato avanti dalle tante associazioni, ben prima dell’avvio dei cantieri. Il principio è sempre lo stesso: essere attori e non solo spettatori. Così, durante gli spettacoli teatrali che hanno investito via Leuca negli ultimi mesi, non ci si siede solo in platea, ma si è chiamati a raccontare i propri ricordi, storie e aneddoti su personaggi presenti e futuri e il teatro stesso è a domicilio e si accomoda sul divano di casa.
Lungo le strade, piccoli altarini urbani hanno colonizzato crocevia e spiazzi, per raccogliere memorie e curiosità. Sono nati colonie feline e dog park e sono sbocciate aiuole collettive, a cura dell’intero isolato. Piazza d’Italia si è riempita di piccole aule all’aperto per i corsi di lingua. Una cena etnica di quartiere ha coinvolto più di 300 persone, un banchetto lungo quanto la strada, con piatti da ogni parte del mondo e scambi di ricette e consigli.
È nata un’orchestra popolare di via Leuca, che ha riunito sullo stesso palco le diversità etniche del quartiere, dai cori cattolici alle sonorità sikh degli indiani alle danze sufi fino ai canti malawi. “L’orchestra ha iniziato una tournée autonoma”, racconta Juri, “è un ottimo esempio di come iniziative del genere possano sopravvivere anche alla fine dei finanziamenti”.
Il progetto ha fornito uno spunto anche per ragionare sul tema della gestione dei fondi e il coinvolgimento degli utenti. “Un esempio: dall’inizio del progetto, ci sono almeno 500 alberi in più e si è passati da 1000 a 8000 metri di verde”, continua, “tutti si sono chiesti se il costo delle nuove aiuole avrebbe gravato sulle casse comunali, ma la risposta è già in atto: il lavoro delle associazioni, la sensibilizzazione al proprio territorio, il coinvolgimento dei cittadini, sono la risposta”.
L’affezione al quartiere, allo spazio davanti a casa, la partecipazione in prima persona è possibile solo con progetti mirati e costituisce il primo passo verso l’abbattimento dei costi di gestione e la sopravvivenza di un progetto. “Se coniugassimo la gestione con quanto fatto dalle associazioni, avremmo già la soluzione”, dichiara Juri, “e poi ci vorrebbe una gestione più snella dei fondi, senza necessariamente la mediazione delle istituzioni, questo aiuterebbe a responsabilizzare i destinatari, a renderli, da semplici utenti, protagonisti dei processi decisionali”.
“In fondo non abbiamo più bisogno di grandi investimenti o di progetti milionari”, conclude, “ma di azioni capillari, che sappiano conciliare l’intervento urbanistico con l’integrazione sociale, che, se coordinate e integrate, siano in grado di sopravvivere alla fine dei finanziamenti, rendersi autonome e creare impresa sul territorio”.
La grossa incognita, la sfida per il futuro per il quartiere Leuca, sembra essere proprio questa: puntare su progetti maneggevoli, auto-sostenibili, in grado di proseguire il cammino da soli, perché il territorio possa evolversi, a immagine e somiglianza di chi lo vive, perché non ci sia più “un cortile vuoto e sconsolato, ai margini della città di pietra”.
da doppiozero
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