Matera è Capitale Europea della Cultura perché la giuria ha riconosciuto che l’iniziativa si è evoluta in elemento di pianificazione cittadina e regionale, ambito nel quale la candidatura ha avuto un ruolo di indirizzo e di rappresentanza. Quello che racconterò è come Matera sia stata il punto di arrivo di un percorso di maturazione e il punto di partenza di un programma di sviluppo.
La storia di Matera Capitale della Cultura ha un antefatto importante nel 2011 quando il Carro della Bruna, oggetto simbolo della festa più importante della città, entrava a Torino per la mostra “Fare gli italiani”: in occasione del del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Matera voleva incontrare il resto d’Italia, voleva uscire dai suoi confini, ma soprattutto proponeva le proprie radici come un tema nazionale. Mentre la Bruna rientrava a casa con tale, esatta consapevolezza, molti altri si mettevano in moto verso i sassi.
Pubblichiamo un estratto da Venezia chiama Boston (Marcianum Press) a cura di Maurizio Busacca e Lucio Rubini
Il mio viaggio era iniziato, a mia insaputa, con il recupero e la valorizzazione delle Catacombe di Napoli, nel Rione Sanità.
Le catacombe sono il luogo sacro della città, il luogo delle pene sommesse e ritualizzate. Nel tempo, la struttura a forno delle sepolture è diventata la nervatura ossea di Napoli. Nel tessuto urbano, un’impalcatura silenziosa, densa di storie e di avvicendamenti umani, vive come “resto di un mondo” e, al contempo, come “altro” mondo. Dopo aver abitato la parte cava di Napoli, la parte segreta, avevo una suggestione nello sguardo che indirizzava i mie interessi.
La direzione artistica della candidatura a Capitale Europea della Cultura era selezionata a mezzo bando internazionale, di cui apprezzavo la logica delle procedure: trasparenza ed eccellenza. Devo dire che l’attenzione professionale si è tramutata velocemente in un vero e proprio richiamo. Sentivo la pulsione ad aprirmi al paesaggio materano, alla regina delle città cave e scavate. Con qualche iniziale titubanza, accennai a colleghi non ancora il desiderio di partecipare, ma il mio complessivo consenso verso la procedura di ingaggio. Iniziai a percepire che fosse una comune impressione il fatto che la mia esperienza aveva elementi di continuità con il futuro di Matera. Colleghi, professionisti, associazioni mi invitavano a farmi parte di un processo, finché una spontanea iniziativa su twitter, #agostinoamatera, rappresentò anche la mia selezione come esito di una visione condivisa.
Venezia chiama Boston sarà presentato oggi giovedì 8 settembre al Festival della Politica alle 18.00 a Mestre
Ecco cosa emergeva con esaltazione ed entusiasmo: il desiderio di essere autori della propria storia. È un atteggiamento di riscatto che da alcuni anni vedo animare il Sud, una riconquista spiegabile non tanto in termini meramente agricoli o produttivi, quanto mentali e creativi. Una riconquista cercata e concretizzata per desiderio di parola, di riconoscimento, per volontà di fare.
Noi, direzione artistica del comitato promotore della candidatura, cosa dovevamo fare con questa “signora”? Con Matera, città della vergogna, città che ha abbandonato e ritrovato i suoi sassi, città antica, resistita al tempo per ridursi a luogo di consumo di opere culturali già impacchettate? Matera, signora marginale, doveva mettersi al passo dell’Europa? O forse si trattava di convogliare una storia millenaria, fatta anche di ferite, verso la definizione collettiva di un immaginario nuovo?
Sono arrivato a Matera in treno, la prima volta. Dalla vivacità di una città cosmopolita come Napoli, proiettata sulla costa, proposizione urbana all’incontro e al mescolamento, passavo lentamente verso un’altra dimensione del Sud, dove l’urbano convive nel selvaggio, dove la presenza dei Sassi è dialogo con lo spaccato della gravina. Sì, un’altra dimensione del Sud. Una discesa nel “dentro”, in un Sud interiore.
I cambiamenti sociali sono innescati quando l’uomo è animato dal desiderio di colmare le proprie indigenze
Anche Matera, come molte realtà mediterranee, porta la storia come un tesoro, che è, sì, un bene, tuttavia pesa come un carico, come un ingombro; un tesoro che, in alcune fasi del proprio vissuto, Matera non si è sentita all’altezza di trasportare, pur patendo il dolo di vederlo deperire.
Accade, però, che il cittadino cominci a collocarsi di fronte all’eredità storica con un nuovo stato d’animo. Si accorge di non avere necessità solo di servizi o di occupazione, bisogni comuni a tutte le città. Ha esigenza di nuovi ambiti di esperienza per la propria identità di cittadino. Sente di avere una cognizione nuova delle carenze, delle inadempienze, delle distanze, metaforiche e fisiche, della propria vita urbana. I cambiamenti sociali sono innescati quando l’uomo «è animato dal desiderio di colmare le proprie indigenze», ma il desiderio di qualcosa è pura evanescenza, se attivarsi concretamente verso la sua realizzazione non fosse sostenuta dalla capacità concreta di compiere i propri desideri.
Mentalità progettuali – quel modo di guardare al proprio ambiente come materia per costruire, come realtà per la quale ha senso costruire – operano quando bisogno e desiderio, confermati e confortati dalla capacità di fare, fondano giustizia e civiltà. Le strategie della direzione artistica di Matera hanno risvegliato e messo in moto la capacità di fare, termine medio tra bisogno, desiderio e civiltà. Ciò che rende tale rapporto una dialettica viva, e non la funzione temporanea di una iniziativa di servizio, è la cultura.
Sono la cultura, l’arte, il sentimento della natura che hanno la potenza di conferire alla marginalità un ruolo simbolico, di crescita e di sviluppo per l’uomo contemporaneo, temprando nell’etica della misura l’incontrollato andamento verso l’espansione. E la dispersione.
Il patrimonio culturale di Matera è unico, tuttavia non offre risorse meramente storiche ed artistiche. Abbiamo pertanto condiviso modalità di elaborazione dell’identità ereditata che incontrassero le esigenze della contemporaneità, reperendo nel territorio linguaggi, strumenti, percorsi. Matera ha sprigionato un profondo sentimento di sostenibilità, ri-attuando valori quali la frugalità, la lentezza, valori tanto forti quanto propri di un’umanità fragile.
Fare spazio a un’economia della lentezza in un posto come Matera, che non deve essere punito dall’antichità, ma nobilitato, significa ridare alla geografia dei luoghi la capacità di significare il carattere degli abitanti. La città è un contesto privilegiato per ricondurre esperienze culturali alla dimensione comune del cittadino. Questo il materano lo scopre per il motivo più semplice: è un suo diritto, è un suo bisogno.
Il passaggio successivo è pura opera di coraggio. Definisco “coraggio” la “virtù del cominciamento”, soprattutto però è una virtù avvalorata da altri, neppure utilizzabile senza il riferimento a qualcuno. Il coraggio non è una virtù straordinaria, piuttosto è un tratto della coscienza civile: esso è, in effetti, la qualità che ricompone l’homo publicus con l’homo privatus nella scelta della responsabilità e della partecipazione.
Il sentimento culturale della propria terra offre all’innovazione sociale l’ispirazione per utilizzare gli strumenti e gli spazi in modo da non “rappresentare” il bene comune come espressione della volontà politica in carica, ma come frutto dell’esperienza di gruppo e del lavoro collettivo. È questo lo spirito con cui si fonda la civitas.
Il patto sociale è un’equa distribuzione di responsabilità vicendevoli, finalizzare alla felicità della collettività
L’innovazione sociale interviene appunto allargando la civitas. Il cittadino materano, quindi, ha compreso di essere tale, non in quanto persona sottoposta a una certa burocrazia, con diritto di voto, bensì in quanto soggetto fondante della vita sociale, di esserne responsabile.
L’innovazione sociale contrasta appunto quel modello socio-economico per il quale “essere comunità” si riduce all’adesione a standard che non sanciscono affatto patti sociali, ma solo programmi occasionali e a termine. Il patto sociale è invece ciò su cui si regge una comunità e non si ferma allo scambio di servizi, si tratta di un atto di fiducia più profondo, non limitabile nemmeno alla mutua solidarietà.
Il patto sociale è un’equa distribuzione di responsabilità vicendevoli, finalizzare alla felicità della collettività. Non uso impropriamente o ingenuamente il termine “felicità”. Credo che sia una parola potente, la preferisco a “benessere”.
Matera ha scoperto che lo scarto tra la volontà, la fantasia, la benevolenza dei cittadini e l’impermeabilità delle “cose così come sono” è una distanza violabile. La cultura e l’arte non hanno solo il compito museale di avvicinare tempi distanti, congelando ciò che è tutelato. Hanno anche il fine di adempiere l’essenziale umano che è “essere presenti”.
Il dossier di candidatura – snodo, foro, porto metaforico di Matera – è dunque una “dichiarazione di esistenza” e, in secondo luogo, una prospettiva di sviluppo.
Sono stati mobilitati centinaia di volontari e di associazioni, tutti i comuni della regione, privati, e la collaborazione – prima ritenuta impensabile – tra Potenza e Matera. La costruzione del dossier di candidatura ha potuto trainare molteplici forze perché, superato il clima di sfiducia e il senso di inferiorità, ciascuna di esse desiderava inventare un futuro collettivo di riprogrammazione dell’economia locale, sulla base di valori culturali e sociali.
I progetti che costituiscono il programma culturale della candidatura sono nati dalla collaborazione tra artisti, collettivi, istituzioni, associazioni locali e un ampio ventaglio di artisti, network e istituzioni europee. Quindi ogni progetto racchiude tre dimensioni: quella locale, quella mediterranea, quella europea.
Noi non siamo a sud dell’Europa. Siamo al centro di un mondo di culture e rapporti ed è questa stessa relazione ad essere base culturale di identità. Questa stessa relazione va considerata come “bene culturale” e “patrimonio sociale”.
La candidatura di Matera ha superato il concetto di infrastruttura, generando una rete di conoscenze
La partecipazione degli abitanti di Matera è stata perseguita attraverso numerose e capillari strategie di animazione territoriale. Durante Museo per un giorno, ad esempio, il Museo Nazionale d’arte Medievale e Moderna della Basilicata ha esposto in due diverse manifestazioni – per un giorno appunto – alcune delle sue opere più importanti in sei appartamenti privati, in diverse parrocchie, in centri di aggregazione e di aiuto dei quartieri di Serra Rifusa e di Spine Bianche, chiedendo ai ragazzi del quartiere di allestire un loro proprio museo con gli oggetti personali o famigliari più preziosi.
In occasione della Festa della Bruna, invece, più di quattromila bandiere con il logo della festa e quello di Matera 2019 sono state distribuite gratuitamente per abbellire i balconi della città, stabilendo un visibile e consapevole legame di continuità tra le radici e il potenziale, auspicato, futuro.
La candidatura di Matera ha superato il concetto di infrastruttura, generando una rete di conoscenze, oltre che di opere. È stata dunque come la fabbricazione di un prototipo, per costruire il quale sono state trovate soluzioni proprie, originali, senza ricorrere alla sterile importazione di modelli attuati altrove.
I temi e i progetti pilota sono stati tratti dallo scenario materiale e immateriale che la città offriva. Workshop e laboratori hanno permesso l’individuazione degli ambiti di riflessione e di creazione: la cultura può vivere oltre l’evento se è pratica integrante dell’esperienza quotidiana.
I progetti chiave sono due, in un certo senso sono matrici “temporali” entro cui la sensibilità progettuale ha collocato i percorsi artistici: l’Istituto Demo-Etno-Antropologico [I-DEA] e l’Open design School. L’Istituto I-DEA permette alla memoria di diventare ricchezza aperta, mette in rete gli archivi della Basilicata, disegnando una cartografia culturale di inestimabile valore che, in questo modo, può ancora costituire la materia prima dell’arte e della cultura. L’Open Design School è il laboratorio che mette in pratica l’apprendimento come esperienza tra pari, che genera e testa modelli didattici, che realizza progetti e sistemi. Questi due progetti, quindi, sono gli strumenti operativi che permettono soluzioni o confronti rispetto alla cesura tra antico e contemporaneo.
L’ambiente fisico di Matera, non meno del racconto orale, ci incoraggia a ripensare le cose e a considerare questioni essenziali e valori fondamentali, come quello del tempo. Open Future è lo slogan di Matera. Lo sviluppo del programma culturale è stato un continuo ripensamento dei traumi del passato nel rilancio verso il futuro. Concepire l’antichità come una dimensione ricollocabile nel futuro ha implicato il superamento della condizione svantaggiata e ferita del sopravvissuto, nonché la riscoperta orgogliosa della nozione di resistenza, di resilienza.
I sassi sono la bellezza e la colpa. Alla fine di quel primo viaggio, del giorno cioè in cui arrivai a Matera per entrare nello staff direttivo, sentii con forza la violenza dialettica tra questi due termini: bellezza e rimprovero, bellezza e colpa. Ero stato spinto lì dall’esperienza delle Catacombe, come dicevo, viscere riportate alla luce, ma avevo a che fare con qualcosa di nuovo. Osservavo Matera e Matera osservava me. Il doppio binario, intimo-collettivo, personale-professionale, non era solo una mia percezione, ma un rapporto dialogico che stava impegnando tutti e che il programma culturale stava naturalmente sviluppando.
Per il 2016-2019 il programma di candidatura prevede, ad esempio, su un tema così soggettivo come quello della bellezza e della vergogna, una piattaforma – La più bella delle vergogne – che coinvolge artisti. Questa piattaforma ha implicato un ribaltamento nella percezione della realtà geofisica di Matera. A differenza di coloro che, fino ad un certo punto, hanno concepito la modernità come un progressivo abbandono dell’inospitalità, i cittadini materano hanno fatto i conti con la propria terra, accettandola come luogo che può accogliere.
Accoglierà, ad esempio, concerti sperimentali, riconnettendo alla spiritualità o alla cosmologia, sulle tracce di Pitagora, il pensiero estetico dell’uomo contemporaneo, il quale è alla ricerca, in effetti, non solo di nuovi linguaggi, ma di nuovi modi di abitare il mondo.
Conviviamo nella stessa terra. Con il cluster Dark skies progetti quali Socialight 20-19%, Lumen e Silent City, l’arte si fa portavoce della necessità di ridurre l’inquinamento sonoro e luminoso. Il contatto con le tematiche ambientale apre un percorso rieducativo, con impatto sulla condotta civica, tuttavia comprende temi, come quello dell’acqua, che rappresentano una questione geo-politica, essendo anche motivi metaforici, culturali e mitologici.
Insieme alle città di Guimaraes, Riga e Leuwardeen, e con la collaborazione dei Ministeri della Cultura e dell’Ambiente italiano e olandese, sono proposti programmi di studio che dalle ipotesi geniali di Leonardo documentano le tecniche messe a punto di fronte all’acqua in quanto risorsa e minaccia. Gli esiti del lavoro saranno parte integrante della mostra Ars Excavandi. In continuità e in rottura con l’ambiente, Matera racconta il proprio paesaggio, ridiscutendo anche il tema del petrolio. Attraverso una serie di giochi e sport urbani e rurali, Matera si trasformerà nel campo di prova di ipotesi alternative alle soluzioni correnti.
Grazie a questa visione umanistica del dato geofisico, è possibile l’implementazione della ricerca scientifica in un quadro di saperi che può sembrare prevalentemente “creativo” e “artistico”, mentre ricompone le discipline.
Matera dimostra che l’innovazione sociale innesca micro-sistemi socioeconomici in cui sono messi a frutto tradizioni o interi comparti esperienziali
Il percorso che ha portato alla consegna e alla vittoria del dossier di candidatura è una complessa, grande esperienza di innovazione sociale, per la centralità del concetto di “cittadinanza culturale”, per il modello di vita urbana attiva e orientata dalla cultura. L’infrastruttura culturale è un processo auto-generativo di apprendimento, di coinvolgimento e sviluppo di competenze a lungo termine, che non solo crea alleanze strategiche, ma mette in rilievo relazioni e competenze. Essa presuppone e produce apertura e condivisione, libera la scienza e la tecnologia dallo stereotipo di “saperi per élite”. Si avvale della connessione fruttuosa del territorio fisico con quello virtuale. L’infrastruttura culturale, infine, annette anche alle tecnologie l’etica del “riciclo, riduco, riuso”.
Esistono risorse che l’economia finanziaria non può liberare, la storia di Matera dimostra che l’innovazione sociale innesca micro-sistemi socioeconomici in cui sono messi a frutto non prodotti, ma tradizioni o interi comparti esperienziali. Ecco allora che la comunità si aggrega e si organizza dietro un’impresa-mondo: la dieta mediterranea; il turismo non come intrattenimento e relax ma come viaggio di conoscenza; l’utilizzo della tecnologia per rendere democratici gli approcci alle risorse e all’impiego di queste stesse.
Ma esattamente cos’è l’innovazione sociale, alla base della storia che ho raccontato e vissuto?
In fondo, si tratta di uno sguardo, di un modo di vedere le cose intorno e di forgiarle.
L’innovatore sociale è un vecchio-bambino. Nomina le cose come Adamo, le combina tra di loro come un piccolo architetto, inventore di archetipi; organizza la cooperazione con la speranza e la fantasia del giovane, con la saggezza e l’umiltà del vecchio. L’innovatore sociale ha il coraggio del giovane, però coltiva il rispetto dell’anziano. Ha la gioia, la fiducia di chi inizia, serbando il dolore e la memoria del vecchio.
A Matera, agli esordi del nostro lavoro, tutto appariva un’utopia. Eduardo Galeano scrive: «Mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta dieci passi più in là. Per quanto io cammini non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare».
Lo stato attuale della situazione di Matera, rispetto al futuro adempimento del dossier di candidatura, non è pienamente rassicurante, in diversi temono l’eventualità di un “fallimento” e mi pongono domande che, in fondo, sono solo apparentemente circoscritte all’esperienza specifica: in definitiva, rimandano al senso ultimo del ruolo che la mia professione conquista ed esercita: la social innovation funziona? È valsa la pena?
L’efficacia di un’impresa ha diversi criteri di misurazione. C’è un valore, ad ogni modo, che non è ponderabile, ed è il senso del mio lavoro: l’amor mundi, l’amore per la bellezza, l’assenso a una filosofia, a una poetica della misura che proclama non esaurite le possibilità di «colonizzare il futuro con progetti di emancipazione»5
L’innovazione sociale non è una visione della politica, è la profezia dei cittadini che si rifondano. Sono loro che scriveranno il resto della storia. Matera mi ha insegnato che l’identità non è solo nella storia. È anche nella vocazione, nella prospettiva. Matera, dunque, disegni secondo la propria volontà la sua traiettoria. Anche questo è un modo per decidere chi essere.
Venezia chiama Boston. Costruire cultura, innovare la politica a cura di Maurizio Busacca e Lucio Rubini comprende i saggi di Michelangelo Savino, Francesca Gelli, Agostino Riitano, Cristina Alga, Chiara Galloni, Marco Liberatore, Maurizio Busacca, Lucio Rubini. Prefazione di Michele Bugliesi.